Giro d'Italia. Démare e la fuga dalla disperazione

Pascal Eenkhoorn, Mirco Maestri, Nicolas Prodhomme e Julius van den Berg ce l'avevano quasi fatta a beffare i velocisti. È andata male. La quantità, a volte, ingoia la qualità, perché la disperazione di tanti è più rumorosa di quella di pochi

Giovanni Battistuzzi

Far di conto, assieme a leggere e a scrivere, nei primi anni dell’Ottocento, era alla base del primo tentativo di allargamento della conoscenza scolastica. La scuola primaria a questo doveva servire, a gettare le basi dell’acculturazione minima della popolazione. L’allontanamento dalla società rurale lo imponeva, assieme ad altre decine di concause.

Nel ciclismo far di conto è più o meno la stessa cosa del leggere, almeno nel senso di leggere la tappa, le dinamiche di gara. Per la scrittura, quella dell’ordine d’arrivo, servono soprattutto le gambe, anche se per scrivere davvero il proprio nome nell’ordine d’arrivo servono anche le prime due abilità. Altrimenti si finisce indietro.

La tredicesima tappa del Giro d’Italia, la Sanremo-Cuneo, è stato un abbecedario di questa del tutto superflua premessa. E pure qualcosa di più, uno scontro tra due disperazioni opposte e quindi uguali. Perché era mica così scontato che il gruppo avesse davvero fatto i conti giusti e i quattro uomini in fuga, Pascal Eenkhoorn, Mirco Maestri, Nicolas Prodhomme e Julius van den Berg, quelli sbagliati. Tutti, gruppo e avanguardisti, almeno fino a cinque chilometri dall’arrivo, probabilmente di meno, non avevano capito e non potevano capire chi aveva fatto di conto bene e chi male. Procedevano cercando di lasciarsi alle spalle la loro disperazione. Altro non poteva essere.

 

 Foto LaPresse  
  

Beffare i velocisti nella penultima tappa che poteva vederli all’opera era un obbiettivo ambizioso ma per nulla impossibile. Per questo la possibilità di non riuscire a mettere in pratica la beffa spaventava chi era fuggito a ora di pranzo e per oltre centotrenta chilometri s’era convinto, per necessità mica per fantasia, che a Cuneo si poteva pure arrivare davanti ai professionisti della velocità.

Il gruppo invece pedalava cercando di scappare dalla disperazione di aver buttato via un’occasione, una delle ultime. I gregari pancia a terra e menare forte, il più forte possibile, per evitare di dare alle ammiraglie l’incertezza di dover recitare un mea culpa. Che poi va mai davvero a finire così, una colpa la si trova sempre da affibbiare a qualcuno per evitare di ammettere di essere stati poco accorti.

Perché, dice l’abitudine, cinque uomini al comando li si recuperano in un amen, quattro ancor più facilmente. Il gruppo è andato vicino a sbagliare, e di grosso. Sono rientrati sì, ma con la volata che era lì lì pronta a partire, che quasi il tempo era perso, l’occasione sprecata.

La delusione è rimasta solo nei volti di Eenkhoon, Maestri, Prodhomme e van der Berg. Rimpianto no, ci saranno altre fughe da prendere. Certo non avessimo fatto quel rallentamento… se non ci fossimo guardati alle spalle quella volta in più… ci si pensa sempre. Ma quasi mai è per quel rallentamento, per quella testa girata all’indietro che non si arriva davanti. È sempre, o quasi, perché dietro sono in tanti e la quantità, a volte, ingoia la qualità, perché la disperazione di tanti è più rumorosa di quella di pochi.

Sorda invece è quella di Romain Bardet, fermato dallo stomaco sulla via di Cuneo. C’aveva sperato il francese di poter risalire su un podio in una grande corsa a tappe. Ci poteva pure riuscire. Ha salutato tutti. Inglobando il rammarico di tutti.

Arnaud Démare lo ha allontanato alchimisticamente, trasformandolo in gioia. La terza. Almeno all’arrivo. E in una quasi certezza. Ormai la maglia ciclamino, quella che veste chi fa più punti al Giro (con vantaggio di punteggio ai velocisti, ma tant’è, serve pure a loro una buona motivazione per pedalare tra i passi alpini), è quasi sua, basterà arrivare a Verona.

Phil Bauhaus, secondo, si è messo di mezzo al francese e a Mark Cavendish, terzo, e Fernando Gaviria, quarto, gli unici due che potevano, alla lontana e come fosse una chimera, impensierire il regno veloce di Démare, ora a 238 punti, la somma esatta di quelli messi in saccoccia dall’inglese e dal colombiano.

Di più su questi argomenti: