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Milano-Sanremo. Il filo dell'artista Mohoric

Giovanni Battistuzzi

Giù dal Poggio Mohoric fa il suo capolavoro, dopo che Pogacar, van Aert e van der Poel avevano provato a rendere la Sanremo una questione privata

Quando i fortissimi sono tanti va a finire che ci sono più possibilità di vittoria per gli altri, per quelli forti e basta. Giorgio Albani di fortissimi se ne intendeva, dalla sua ammiraglia ha guidato, tra tanti, anche Eddy Merckx, il più fortissimo di tutti.

Un paradosso, ma neppure troppo. Perché a correre coi fortissimi, se si è fortissimi, c’è mai da fidarsi fino in fondo. E quando i fortissimi sono tanti, più di due, si può creare un’impasse dove tutti aspettano le mosse degli altri e così capita che i forti e basta possono sfruttare l’occasione.

Valeva un tempo, vale ancora oggi.

Alla Milano-Sanremo c’erano uno sloveno, un belga e un olandese che avrebbero voluto essere soli, rendere la corsa una questione personale.

Salendo verso il Poggio, Tadej Pogacar, Wout van Aert e Mathieu van der Poel avevano recitato da fortissimi. Cosa facile per loro che fortissimi sono. Soprattutto il primo, il più giovane. Si è alzato sui pedali in continuazione e in continuazione ha cercato di alzare il ritmo. Alla sue spalle sono rimasti in pochissimi, ma qualcuno c’era. Anzi più di qualcuno.

    

Tra loro Soren Kragh Andersen, che è un forte, non fortissimo, ma scaltro e di fondo. Il danese aveva provato il contropiede, rendere reale il paradosso di Giorgio Albani. Andata male. Pogacar non aveva lasciato spazio e scampo.

I fortissimi non si sono guardati. Non hanno atteso. Si sono buttati in discesa diretti verso Sanremo, pronti a giocarsi tutto.

Eppure a loro è andata male. E non per il paradosso di Albani. È andata loro male perché anche i forti possono trasformarsi in fortissimi quando le loro ruote incrociano ciò che preferiscono, ciò che dà loro più soddisfazione.

Matej Mohoric in cima al Poggio aveva tenuto le ruote dei fortissimi. Sapeva di non poter far altro. Che quello era non solo sufficiente, ma necessario. Poi… poi c’era da sperare che tutto andasse bene. Cioè che andasse veloce, velocissimo e a suo modo.

Sapeva di non poter sbagliare. Ha sbagliato due volte, ma gli è andata bene. Il resto è stato un capolavoro.

 

 

La discesa è terra di conquista per artisti dell’equilibrio, per architetti delle traiettorie. Non basta conoscere le basi delle forme geometriche, serve reinterpretarle. Mohoric in questo è un fortissimo, c’è n’è poco di meglio in giro.

Mohoric scendendo dal Poggio ha ridisegnato Sanremo, ha ridisegnato se stesso, la conoscenza di se stesso. Ha soprattutto reso omaggio a quel velocissimo mistero che è la discesa, quel sottile filo che ci attrae respingendoci, che ci allieta e ci fa paura. Mohoric se ha paura, non lo dimostra, se cade si rialza, se azzarda e gli va male non si infuria, impara. Mohoric al Giro dell’anno scorso se l’è vista brutta. I ricordi a volte frenano, lo sloveno ha deciso di non farci caso, di dimenticarli.

Mohoric ha vinto la Milano-Sanremo e questa volta i fortissimi non hanno colpe. Hanno semplicemente dovuto assistere a una prodezza.

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