Foto Spada/LaPresse

Intervista sullo Dnestr

Quella lunga strana trasferta in Transnistria

Francesco Gottardi

L'Inter sarà la prima italiana a giocare in questo paese non riconosciuto dall'Onu. Roberto Bordin è l'unico ad averci allenato: "Su Tiraspol se ne dicono di tutti i colori, ma lo Sheriff ha un progetto di calcio vero"

È un peccato che i tifosi dell’Inter non possano andare a Tiraspol – il ministero della Salute ha appena inserito la Moldavia fra i paesi ad alto rischio pandemico. Sarebbe stata una di quelle odissee da ricordare. “Ma anche per la squadra nerazzurra non sarà uno scherzo: la logistica molto rigida, una realtà a sé, stadio all’ultimo grido e colmo di tifosi avversari. Essere ancora la capolista di un girone di Champions League darà una carica incredibile allo Sheriff”. Parola di Roberto Bordin, che dei gialloneri è stato allenatore dal 2016 al 2018. E con cui centrò la prima storica qualificazione societaria in Europa League, gettando le basi – ma lui minimizza: “Il merito è di Vernydub, che guida la squadra oggi, e del club che ha investito tanto in questi anni” – per un clamoroso sogno d’autunno.

 

Monumento a Lenin a Tiraspol (AP Photo)

Non è facile trovare tracce d’Italia nell’abbottonata Transnistria, la striscia di terra lungo il fiume Dnestr indipendente de facto – lì sventola ancora la bandiera della Repubblica socialista sovietica moldava – ma non riconosciuta dall’Onu. Al punto che l’ambasciatore italiano in Moldavia, per avvertire l’Inter di tutte le criticità pratiche della trasferta di mercoledì, ha dovuto ricorrere a Bordin e al suo staff. “Le opzioni sono due”, spiega l’allenatore al Foglio. “Atterrare a Chisinau, la capitale moldava, e da lì fare 60 chilometri in pullman. Oppure ottenere un permesso speciale per dormire in albergo a Tiraspol: i visti ordinari durano 10 ore”. E così hanno scelto i nerazzurri: proprio oggi il club ha comunicato che la conferenza stampa di Inzaghi alla vigilia si terrà allo Sheriff Stadion. Partenza da Milano martedì pomeriggio.

Quindi immaginatevi pure dei top player del 2021 come Lautaro e compagni alle prese “con la scrupolosa dogana transnistriana, tra controlli e iter burocratici”. Ma senza scivolare nello scenario da Checkpoint Charlie. “Su Tiraspol ne raccontano di tutti i colori: non è che attraversata la frontiera cambia radicalmente il paesaggio”, come dall’ovest all’est di Berlino in tempi di guerra fredda. “Si percepisce l’essenziale tessuto urbano di un paese emergente, sia in Moldavia sia in Transnistria. Con due sole differenze. Dalla lingua e alla cultura moldava si passa al russo, al cirillico. E poi ce n’è una di un certo impatto visivo: lì la stella dello Sheriff è ovunque”. Supermercati, manifatture, fabbriche, cantieri. E naturalmente lo sport. È la holding fondata nel 1993 da due ex funzionari del Kgb – tra cui Victor Gushan, presidente della squadra di calcio –, che da allora, secondo gli osservatori internazionali, ha significativamente scandito la vita sociopolitica della regione, fatta di irredentismo e vicinanza a Mosca. “È un argomento delicato”, continua l’ex centrocampista di Napoli e Atalanta. “Io posso raccontare la mia esperienza da allenatore di un club che mi ha messo a disposizione il meglio del meglio. Strutture splendide, imponenti in mezzo alla campagna. E poi la clinica privata, il massimo dell’attenzione anche per la mia famiglia che è venuta a stare con me. La mia vita a Tiraspol era interamente dedicata alla squadra e alla preparazione delle partite”.

   

Roberto Bordin sulla panchina dello Sheriff nel 2017 (EPA/Leszek Szymanski)

E chi pensa all’uomo di sport italiano finito dal magnate di turno in qualche realtà esotica, si ingannerebbe di nuovo: “A Tiraspol sanno fare calcio. Ne capiscono. Quando abbiamo vinto campionato e coppa”, ricorda Bordin, “il presidente ci chiamò nel suo ufficio. E iniziò un lungo discorso sul progetto tecnico dello Sheriff e di come avrebbe continuato a crescere. Poi ci diede una mezza pacca sulla spalla, grazie e arrivederci. Era il suo modo di farci stare sul pezzo. Di non adagiarsi sulle vittorie e non accontentarsi mai: una mentalità che si riflette nei risultati”. Oltre la Transnistria: dallo scorso febbraio Bordin è il commissario tecnico della nazionale moldava e il suo passato nella dissidente Tiraspol non è stato un problema. “Anzi: mi ha aiutato a conoscere un paese nel profondo e a costruirmi una reputazione. Lo Sheriff stesso mi ha incoraggiato ad accettare l’incarico. Dopo avermi raccolto dalla Serie D italiana: ero stato per dieci anni il vice di Andrea Mandorlini”, soprattutto a Verona, dove l’allenatore 56enne oggi vive dividendosi con la Moldavia, “poi all’improvviso non mi rinnovarono il contratto e dovetti ricominciare da capo. Volai a Tiraspol e mi convinsero in tre giorni”.

Anche per questo Bordin è la guest star di questa doppia sfida di Champions, “ma non chiedetemi per chi tifo”, sorride: “Un’italiana contro una famiglia che ha segnato la mia carriera”. All’andata era a San Siro, dove ha visto “una squadra ben messa in campo e capace di soffrire, nonostante la superiorità tecnica nerazzurra”, e del resto sbancare il Bernabeu è certo un’impresa, ma mai un caso. Mercoledì, per la rivincita che mette in palio una buona fetta di ottavi, farà da cicerone all’Inter. “Poi mi fermo lì, a preparare le gare contro Scozia e Austria”, in programma per le qualificazioni al Mondiale 2022. “A giugno abbiamo vinto la prima partita dopo due anni, in amichevole con l’Azerbaigian: siamo giovani, ma possiamo migliorare tanto”. L’entusiasmo del pioniere, aria di mondo inesplorato: ci vuole anche coraggio. “Più voglia di lasciarsi sorprendere”. Vale pure per lo Sheriff: spaventare le grandi d’Europa, chi l’avrebbe mai detto.

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