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Con il suo sorriso da Joker, contro la Spagna il Maestro è stato Chiellini

Giuseppe Pastore

L’infinita arte di arrangiarsi dell'Italia. Quei dieci minuti di autentico cinema italiano, iniziati con il capitano degli Azzurri e finiti con il rigore decisivo di Jorginho

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Interpellato dalla Rai nell’immediato post-partita sulle virtù di un’Italia “all’italiana”, Roberto Mancini non ha nascosto un certo fastidio: “Le partite sono fatte da una fase offensiva e da una fase difensiva, non è che possiamo sempre attaccare”. Naturalmente, ha ragione. Sottrarre il pallone alla Spagna come Prometeo rubò il fuoco agli dei sarebbe stato un peccato di alterigia che l’Italia non ha avuto gambe, testa e cuore di commettere, adattando intelligentemente le proprie virtù alla situazione contingente, come hanno sempre fatto tutti i grandi italiani. Recitando a soggetto. Improvvisando, se vogliamo. Aiuta a chiarire il concetto un momento che non è strettamente calcistico ma che comunque, nei violentissimi sbalzi nervosi di una semifinale europea, è finito per risultare in qualche modo decisivo.

I quaranta secondi scarsi della scenetta di Chiellini e Jordi Alba, piombata tra capo e collo nelle nostre case e piazze nel momento di massima tensione emotiva della serata, sono altamente dissonanti. Sicuramente gli spagnoli avranno trovato sgradevole che il loro capitano venisse deriso così platealmente da un avversario cui era stampato in faccia il sorriso innaturalmente largo di un Joker, a sottolineare la natura provocatoria della situazione. Chiellini non rideva con Jordi Alba ma rideva di Jordi Alba, prendendo a pretesto un banale qui pro quo sul sorteggio dei rigori per un sensazionale spettacolo di ammuina, pugnetti, buffetti, spintarelle, fastidiosissimi abbracci camerateschi, tutto il repertorio italiota che odiamo ricevere alle cene di Natale e alle visite dai parenti, che il capitano della Nazionale italiana ha rovesciato sul suo avversario nel momento più psicologicamente delicato, in cui vuoi solo mantenere la feroce concentrazione su quanto sta per succedere. Pochi istanti prima, le telecamere avevano pescato un altro ghigno innaturale stampato sul volto di Daniele De Rossi durante il classico “huddle”: chi stava avendo il coraggio di scherzare sul calcio, sulla Spagna e sulla vita, in quel momento? Pochi istanti dopo, Donnarumma andava ad abbracciare il collega Unai Simon con lo stesso solco lungo il viso, come a obbedire alle consegne: un’illogica allegria, per dirla alla Gaber, “di cui non so il motivo, non so che cosa sia. E’ come se, improvvisamente, mi fossi preso il diritto di vivere il presente”.

L’Italia sta bene, proprio ora, proprio qui. Per arrivare alla nostra ultima finale europea, nel 2012 in Ucraina e Polonia, avevamo dovuto pigiare un altro interruttore simile, nel quarto di finale contro l’Inghilterra. Anche allora avevamo sbagliato il primo rigore (con Montolivo) e dovette pensarci Pirlo a invertire il flusso della corrente emotiva, umiliando Joe Hart con un cucchiaio che galvanizzò i nostri e terrorizzò i loro: da quel momento in avanti l’Italia segnò due rigori su due con Nocerino e Diamanti, l’Inghilterra zero su due con Ashley Young e Ashley Cole. In quel momento nacque l’infinita ammirazione degli inglesi per Pirlo, testimoniata da un soprannome – the Maestro – di cui come al solito, con poca fantasia, da queste parti abbiamo abusato fino a renderlo grottesco. A Wembley il Maestro è stato Chiellini: evidentemente non di stile, ma dell’infinita arte di arrangiarsi che scorre nelle vene di questa dannata popolazione, da Totò a Federico Bernardeschi che scaglia una mina inaudita all’incrocio dei pali dopo un’intera stagione trascorsa a farsi insolentire da tutti i suoi connazionali, senza far nulla per invertire la tendenza, fino a diventare egli stesso meme. Forse era pure quella una falsa pista, un indirizzo sbagliato apposta per poi riunirci tutti qui, come un finale felliniano da celebrare sulla spiaggia: dieci minuti di autentico cinema italiano, iniziati con Giorgione e finiti con Jorginho.

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