Foto LaPresse  

il foglio sportivo

Un freno ai procuratori

Umberto Zapelloni

Oltre il caso Donnarumma. Perché certe richieste esose non hanno più senso nel calcio in crisi di oggi  

Dove sono finiti tutti quelli che erano scesi in piazza contro la Superlega e il calcio che pensa soltanto ai soldi? Dove si sono nascosti coloro che avevano costruito le barricate contro i miliardari insensibili ai valori sportivi? Dove sono i papaveroni dell’Uefa prontissimi ad aprire inutili indagini contro i club cospiratori? Perché è troppo facile insorgere contro le società che volevano farsi una coppa tutta loro per diventare ancora più ricche e poi dire nulla a chi continua a chiedere ingaggi faraonici e fugge se il presidente non lo accontenta con una campagna acquisti scintillante. Continuiamo a ripetere che l’unico modo per salvare il calcio è dare un taglio agli ingaggi, mettere un tetto alle follie dei club che in questi anni hanno sperperato oceani di denaro per accontentare procuratori, allenatori e giocatori più viziati dei bambini cresciuti a Buckingham Palace, ma poi li lasciamo fare senza smuovere neppure un sopracciglio.

Il calcio è uscito con i conti in profondo rosso da una stagione in cui il pubblico è rimasto a casa, gli stadi sono rimasti vuoti come i musei dei club (per chi li ha) e gli shop che vendono maglie dai colori spesso improbabili. Tutto il mondo si è trovato a fare i conti con qualcosa di imprevedibile e indomabile e ha provato a correre ai ripari. Ci sono sportivi che hanno dovuto rimandare i loro sogni olimpici di un anno e altri, come le nostre mamme d’oro (Elisa Di Francisca e Tania Cagnotto) che al rinvio dei Giochi hanno preferito la maternità. Ma poi ci sono i calciatori e i loro procuratori. Hanno rinunciato a mesi di stipendio quando non hanno giocato. Bravi. Hanno probabilmente aumentato la percentuale delle loro donazioni in beneficenza. Bravissimi. Ma poi si sono fatti beccare a festeggiare fuori orario, a pranzare al ristorante con il coprifuoco, in motoslitta in zona rossa. Meno bravi. Quello che però stona davvero con tutto questo sono le richieste economiche che continuano ad arrivare. Ci sono giocatori pronti a strappare contratti da 8 milioni di euro con la squadra del cuore; allenatori che incassano 12 milioni all’anno in fuga perché il presidente ha chiesto loro di affrontare una sanguinosa campagna cessioni e preferiscono incassare 7 milioni di buonuscita piuttosto che provare a vincere lo stesso (dimostrando tra l’altro perché valeva la pena pagarti così tanto); superstar la cui preoccupazione è traslocare un camion pieno di supercar che non accettano di ridimensionare le loro pretese, ottenute (non strappate con la forza, intendiamoci) in tempi diversi. Il caso Inter è comunque un unicum e le colpe stanno molto anche in Cina… ma alla base ci stanno sempre stipendi eccessivi e proprietà che non possono più permetterseli.

 

Il calcio continua a vivere soprattutto sui proventi derivati dai diritti televisivi. Un filone che non potrà produrre oro in eterno anche perché sta cambiando rapidamente il modo di usufruire di una partita in tv, sui tablet, sullo smartphone. E se gli incassi non aumenteranno, come è possibile che ad aumentare sia sempre e soltanto il costo del lavoro? Non c’è azienda al mondo che può permettersi di pagare percentuali simili per il suo personale. Ma il calcio non si guarda attorno e continua per la sua strada con richieste che sembrano arrivare da un altro pianeta. “Gli stipendi dei giocatori – ha detto Beppe Marotta al convegno del Foglio su “Lo sport che verrà” – stanno prendendo una piega pericolosa che non corrisponde sempre alle possibilità finanziare dei club. Per questo motivo l’indebitamento aumenta. Durante la pandemia hanno raggiunto il 60/65 per cento dei ricavi. Ciò significa che un’azienda normale sarebbe al limite del default”.

Nessuno ha obbligato i dirigenti, neppure quelli del Barcellona, a firmare certi contratti capestro. Nessun procuratore si è presentato in sede con una pistola in mano per far accettare emolumenti da sceicchi anche per uomini destinati alla panchina. Però adesso che i club cominciano a capire, adesso che c’è chi dice o prendi 8 o per noi sei fuori anche se te ne vai a parametro zero, la palla cade finalmente nel campo di chi in questi anni si è arricchito a dismisura con percentuali da sogno sugli ingaggi dei suoi protetti. Il calcio sarebbe bellissimo anche togliendo uno zero a certi contratti. E anche con uno zero in meno i calciatori potrebbero continuare a vivere la loro bella vita e a pubblicarla su Instagram. Se si continueranno a fare richieste fuori portata tra qualche anno si rischierà di ritrovarsi con la cassa vuota e a pagare non saranno i super campioni ma tutti i calciatori delle serie minori che già hanno cominciato a non vedere i loro stipendi versati con regolarità.

Per fortuna esiste qualcuno che comincia a pronunciare quei no che nella psicologia infantile si dice aiutino tanto a crescere. Qualcuno che di fronte alle richieste del solito procuratore dice: sai che facciamo? Noi ci scegliamo un altro portiere. I procuratori non sono il male del calcio, è indispensabile l’assistenza legale per questi ragazzi che vanno a sedersi di fronti a strutturatissimi rappresentati delle società (sono finite da tempo le strette di mano e le chiacchiere a quattr’occhi con il presidente padrone). Ma un conto è assistere, aiutare, consigliare e un altro pensare solo ad arricchire conti in banca già enormi. Viene il dubbio che certi personaggi pensino unicamente ai propri interessi moltiplicando i passaggi di proprietà dei loro protetti solo per arricchire il loro conto in banca. Spesso a pensar male ci si azzecca.

Di più su questi argomenti: