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Santana, il goleador sentimentale entrato nella storia del Palermo

Giorgio Burreddu

L'argentino è il primo giocatore rosanero a segnare in tutte e quattro le categorie: "Un gol è bello sempre, in A, in B o in D"

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Mario Alberto Santana ha la pessima abitudine di vivere il calcio da goleador sentimentale, quando segna è tutto uno struggimento, un’emozione, il mondo gira e gira, e tutti giù per terra. L’ultimo girotondo lo ha ballato nel derby col Catania, gol, via la maglia, fuori l’urlo, delirio a Palermo. “È stata una notte indimenticabile per tutti noi e per i tifosi,” racconta al Foglio, “ci voleva, abbiamo regalato una gioia a persone che negli ultimi periodi di gioia ne hanno avuta poca”. Chi glielo fa fare di viversela ancora così questa pazza idea del pallone, a 39 anni, in Serie C, a Palermo? “Era il mio sogno, tornare qui e chiudere un cerchio, nella città dove mi hanno dato affetto e tanto amore”.

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Mario Alberto Santana ha la pessima abitudine di vivere il calcio da goleador sentimentale, quando segna è tutto uno struggimento, un’emozione, il mondo gira e gira, e tutti giù per terra. L’ultimo girotondo lo ha ballato nel derby col Catania, gol, via la maglia, fuori l’urlo, delirio a Palermo. “È stata una notte indimenticabile per tutti noi e per i tifosi,” racconta al Foglio, “ci voleva, abbiamo regalato una gioia a persone che negli ultimi periodi di gioia ne hanno avuta poca”. Chi glielo fa fare di viversela ancora così questa pazza idea del pallone, a 39 anni, in Serie C, a Palermo? “Era il mio sogno, tornare qui e chiudere un cerchio, nella città dove mi hanno dato affetto e tanto amore”.

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Dicci di più, Santana. “Palermo è la mia carriera, praticamente ho iniziato qui. La possibilità di ritornare per me è stata molto importante. Quando smetterò proprio non lo so. Però so che mi manca poco, devo cominciare a pensarci anche se adesso voglio concentrarmi su quel che rimanere del campionato”. Sbarcò in Sicilia nel 2002, arrivava da Venezia. Era l’anno della B. Tra le nebbie e i canali aveva giocato quattro partite. Oh no: ecco un’altra meteora dal Sudamerica. “Realizzai una doppietta contro il Lecce, venivo da un momento negativo, ho fatto due gol e quelli mi sono rimasti in testa”. È nato lì il fenomeno Santana, quello che poi ha viaggiato per l’Italia, Napoli, Firenze, Torino, Cesena, un tour dei campionati.

 

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Un altro girotondo che gli valse pure l’attenzione di sir Bielsa prima, di Pekerman poi. La Nazionale argentina fu una parentesi (“da pelle d’oca” disse), il destino era il Palermo. Sull’Isola ci tornò nel 2004, questa volta in A. Al Barbera lo applaudivano, lo fischiavano. È il destino di ogni calciatore, si sa. “Non ho mai giocato per il pubblico, gioco per me stesso, ma so che l’impegno è tutto per la gente, per loro”. Di nuovo viaggi, spostamenti, cambi di rotta. Tornato a Palermo in D per la terza volta, alla fine del 2019 Santana si era rotto pure il tendine d’achille. Quasi duecento giorni fermo a trentotto anni possono spezzarti la schiena, non solo stroncarti la carriera. Invece no. “Mi mantengo guardando i giovani, cercando di prendere le loro energie, loro sono quelli che mi danno la forza per andare avanti. La vita poi devi tenerla sempre sott’occhio perché non sai mai quello che ti capita”.

 

“Un gol non ha età”

Con il gol al Massimino, Santana è diventato il primo giocatore rosanero a segnare in tutte e quattro le categorie (il terzo in Italia dopo Alessandro Lucarelli al Parma e Lorenzo Pasciuti col Carpi). “Un gol non ha età, si festeggia a trentanove o a quaranta, quando uno è dentro il campo ha sempre voglia di fare, di incidere. E un gol è bello sempre, in A, in B o in D. Ti danno gioia ma non ti possono cambiare la vita, non penso che un gol sia così importante da rivoluzionare una vita intera. Ma farne uno non è mai facile, in nessuna delle categorie”.

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Il calcio gli ha dato tutto, “mi ha fatto crescere, conoscere persone, girare il mondo, mi ha fatto diventare uomo”. Cinque fratelli, tre sorelle, la mamma a tirar su i figli e il papà elettricista a riparare i lampioni lungo le strade. A Comodoro, Patagonia, dov’è è cresciuto, da bambino Mario faceva il muratore, lo strillone nei giorni del mercato. “È un periodo che mi ha fatto maturare, dovevo aiutare la mia famiglia e quello era l’unico modo in cui potevo farlo. La nostra era una famiglia povera, la tv non c’era, non torno lì da cinque anni, ma lo farò”. Il calcio è arrivato dopo. È stato gioia, riscatto, canonizzazione. Smettere, ora, è un bel guaio. “Mi spinge a giocare la voglia che ho dentro, e vedere che posso ancora dare qualcosa. Non ho rimpianti, sono orgoglioso di quello che ho fatto”.

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