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Il ritratto

Sir Jim Ratcliffe, che quando ha voglia di giocare si compra tutta una squadra

Umberto Zapelloni

Ha investito nel calcio, nel ciclismo, nella vela, nell’atletica e adesso nella Formula 1. Follie, passioni, obiettivi e prossime sfide del Re Mida dello sport che non sa stare fermo

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Non c’è bambino che da grande non vorrebbe diventare come Jim Ratcliffe. Che si diverta con le biglie, le automobiline, il Subbuteo o i videogame non importa. Sir Jim Ratcliffe, dopo aver festeggiato i sessant’anni correndo una maratona in Sud Africa, si è dedicato alla sua sala giochi. Si è comprato una squadra di calcio, una squadra di ciclismo, il 33 per cento di una team di Formula 1, sponsorizza la sfida inglese alla Coppa America di vela e ha messo sotto contratto  Eliud Kipchoge, che per chi non lo sapesse è il miglior maratoneta del mondo. Perché sir Ratcliffe non compra a prezzi d’occasione. Si è preso Sky, il miglior team del ciclismo professionistico, il 33 per cento della Mercedes di Lewis Hamilton che da anni domina il Mondiale e sulla barca che sta sfidando Luna Rossa in nuova Zelanda ha messo al timone Ben Ainslie, un altro baronetto, che è considerato il Maradona della vela. Solo nel calcio si è trattenuto, limitandosi al Nizza, che non è esattamente la Mercedes della Ligue 1. Colpa di Abramovic che non gli ha voluto vendere il Chelsea. Quando a sir Jim viene voglia di giocare ha l’imbarazzo della scelta. Deve solo decidere con che giocattolo divertirsi. 

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Non c’è bambino che da grande non vorrebbe diventare come Jim Ratcliffe. Che si diverta con le biglie, le automobiline, il Subbuteo o i videogame non importa. Sir Jim Ratcliffe, dopo aver festeggiato i sessant’anni correndo una maratona in Sud Africa, si è dedicato alla sua sala giochi. Si è comprato una squadra di calcio, una squadra di ciclismo, il 33 per cento di una team di Formula 1, sponsorizza la sfida inglese alla Coppa America di vela e ha messo sotto contratto  Eliud Kipchoge, che per chi non lo sapesse è il miglior maratoneta del mondo. Perché sir Ratcliffe non compra a prezzi d’occasione. Si è preso Sky, il miglior team del ciclismo professionistico, il 33 per cento della Mercedes di Lewis Hamilton che da anni domina il Mondiale e sulla barca che sta sfidando Luna Rossa in nuova Zelanda ha messo al timone Ben Ainslie, un altro baronetto, che è considerato il Maradona della vela. Solo nel calcio si è trattenuto, limitandosi al Nizza, che non è esattamente la Mercedes della Ligue 1. Colpa di Abramovic che non gli ha voluto vendere il Chelsea. Quando a sir Jim viene voglia di giocare ha l’imbarazzo della scelta. Deve solo decidere con che giocattolo divertirsi. 

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Sulla carta d’identità, sempre che nell’ Inghilterra della Brexit ne abbiano una, sir Jim figura come James Arthur, i nomi che il 18 ottobre 1952 gli diedero papà e mamma che non erano certo miliardari. Siamo a Failsworth, nella grigia e nebbiosa periferia di Manchester. Papà che aveva lasciato la scuola a 14 anni, cominciando come carpentiere è poi arrivato, dopo aver trasferito la famiglia a Hull, a dirigere una fabbrica che costruisce mobili da lavoro, mentre mamma faceva l’impiegata. Middle class la chiamano. Grandi lavoratori potremmo aggiungere. 

  

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La leggenda racconta che il piccolo Jim, come viene subito chiamato per comodità, abbia imparato a contare fino a cinque indicando alla mamma i camini delle fabbriche che si vedevano dalla finestra della sua cameretta. A scuola era così bravo che ottenne una borsa di studio per una Grammar School, il nostro liceo. Tanto studio e un po’ di lavoro nei weekend, facendo le consegne per una drogheria e vendendo biglietti della lotteria allo stadio indossando la maglia dell’Hull City, cosa che poi gli permetteva di assistere alle partite. Mentre i suoi coetanei si lasciavano catturare dalla Swinging London, lui nel tempo libero organizzava visite agli impianti chimici della zona. “Non ho dubbi, a 17 anni c’era già in me lo spirito dell’imprenditore, ma soprattutto pensavo che mi sarebbe piaciuto diventare miliardario”, ha scritto nella sua autobiografia intitolata come un libro di Coelho, The alchemist - L’alchimista, che poi è anche il soprannome che gli hanno dato. I conti ha imparato a farli bene quando, dopo la laurea in Ingegneria chimica a Birmingham (“l’università col miglior programma sportivo”), ha cominciando la sua carriera lavorativa alla BpEsso. Una carriera durata tre giorni. Licenziato perché alla visita medica risultatò soffrisse di un’allergia che con le sollecitazioni dei prodotti chimici avrebbe potuto produrre dei fastidiosi eczemi… Ha dovuto reinventarsi come contabile (“ma poi alla Bp ho finalmente lavorato: quando me la sono comprata”) andando a lavorare alla Exxon che gli finanziò un master alla London Business School. Lì ha cominciato ad appassionarsi alla finanza e, finito il corso, è andato a lavorare in un gruppo di private equity. Così ha cominciato a scalare il mondo come un Messner. O come il Richard Gere di Pretty Woman: compra aziende, le spacchetta, le rivende e scappa. Sulla sua strada non incontra Julia Roberts, ma la solita BP, che sta per British Petroleum. Investe 140 mila sterline, offre la casa e tutto quel che aveva come garanzia, ottiene un prestito e insieme ad altri soci (gli stessi con cui gestisce Ineos) rileva uno stabilimento nel Kent, poi un altro ancora ad Anversa in Belgio. Va avanti così proprio come se giocasse con le figurine. Oggi Ineos ha più di 100 impianti chimici in giro per il mondo, dalla Corea alla Cina, dal Regno Unito agli Stati Uniti. Se non basta il capitale chiede un prestito. Se il prestito non arriva va a chiederlo a qualcun altro. Scommette su sé stesso. E vince. Anzi stravince. Nel 2005 ha triplicato il volume d’affari e ha preso il controllo di Innovene, la filiale petrolchimica di Bp, che possiede diciannove fabbriche. Ineos è un acronimo, unisce le iniziali di INspec Ethylene Oxide Specialities. Non è quotata in Borsa, è la più grande società privata della Gran Bretagna, la terza azienda chimica al mondo con 19 mila dipendenti e un fatturato di 60 miliardi di dollari. Sir Jim, da parte sua, ha un patrimonio personale di 22 miliardi di euro che fino a un paio d’anni fa lo rendevano l’uomo più ricco di Gran Bretagna. Oggi è sceso in classifica, sorpassato da James Dyson il re degli aspirapolveri. Ma che cosa produce Ineos? Il 90 per cento dell’acqua potabile del Regno Unito, ad esempio. E le materie prime indispensabili per produrre praticamente ogni cosa, dai mattoncini del Lego alle attrezzature mediche. Per non dire degli studi sui materiali per le tecnologie del futuro. L’anno scorso poi, irritato dal fatto che Land Rover aveva deciso di sospendere la produzione del Defender, si è messo in testa di produrre anche un’auto, un super 4x4 a immagine e somiglianza dell’icona inglese. Ha chiuso un contratto con Bmw per i motori, con Mercedes per rilevare una fabbrica in Francia, ha ingaggiato il designer che aveva progettato i suoi yacht da sogno (Hanpshire II e Sherpa) ed è nato il Grenadier che quest’anno andrà sul mercato. Il nome lo ha preso in prestito da un pub storico che è a due passi dalla sede londinese di Ineos. Un pub dove attaccata con una puntina al soffitto c’è una banconota da cinque Pounds dove Ratcliffe ha disegnato una Defender.  Non meravigliatevi, è un’usanza del posto: le mance vengo affisse sul soffitto.

 

Unite l’illimitata disponibilità finanziaria e una altrettanto illimitata passione per ogni disciplina sportiva e capirete perché Jim Ratcliffe è il nuovo Re Mida dello sport. Britannico e non solo, visto che per scappare dalla Brexit (di cui era peraltro un sostenitore) ha preso residenza a Monaco.  Capitano della squadra di calcio del liceo, con il passare degli anni ha preferito andare a caccia di qualcosa di più adrenalinico. Come la scalata del Monte Bianco in coppia con un amico che, sentitosi male sul più bello, lo ha lasciato solo nell’ultimo sforzo. Arrivato in vetta alla montagna più alta d’Europa ha avuto solo il tempo di scattare una foto ricordo, poi il cambio improvviso del tempo lo ha messo nei guai. Se non avesse incontrato una guida sarebbe finita male. Senza cibo e senza attrezzatura adatta. “La peggior notte della mia vita”, racconta. Ha capito che certe avventure avrebbe dovuto programmarle meglio. Così prima ha organizzato una spedizione al Polo Nord e poi una al Polo Sud scegliendo come compagni di viaggio (oltre ai due figli)  il meglio a disposizione tra esploratori, nutrizionisti e preparatori. Temperature medie a - 40 gradi,  un’immersione totale nel bianco, un “clima brutale”. Per festeggiare i 60 anni nel 2012 si è preso tre mesi sabbatici e dopo aver corso una maratona (ne ha concluse più di trenta) ha pianificato un lunghissimo viaggio in moto in Africa da Cape Town fino alla Namibia passando per Mozambico, Zimbabwe, Zambia e Botswana. L’obbiettivo era percorrere 10 mila chilometri in 100 giorni. Tutti vestiti in pelle dalla Belstaff (azienda che poi avrebbe comprato) sono partiti per l’avventura. Peccato che dopo pochi giorni Jim si sia rotto tre ossa di un piede. Rinunciare? Ma siete pazzi. Si è fatto spedire al centro dell’Africa uno scarpone da sci. E con quello a proteggere il piede con le ossa rotta ha proseguito… Capitò il soggetto? Ha bisogno di sfide, di adrenalina. E vuole che in azienda siano tutti in forma. Ha riempito di palestre ogni stabilimento Ineos e ingaggiato John Mayock, un due volte finalista olimpico dei 1.500 metri come direttore di sport & fitness. Su ogni ascensore ha fatto mettere un cartello: “Lifts are for losers”, gli ascensori sono per i perdenti (qualcosa di simile c’è anche alla Technogym). C’è un programma che prevede per ogni dipendente dopo tre anni di corso un camp in Namibia dove vengono fatte correre maratone nel deserto, scalate montagne e percorse distanze infinite in bicicletta. “Imparano a conoscere se stessi, imparano a giocare di squadra. Mettono alla prova i loro limiti fisici e mentali”, spiega. Ma Ineos è anche sponsor di due programmi specifici dedicati ai bambini: “The Daily Mile” e “Go Run For Fun”: non considera lo sport solo un gioco, ma uno stile di vita.

   

E se proprio lui non può mettersi in gioco compra, organizza, dispone. Nello sport ha investito 470 milioni di euro, niente male. Nella vela, nel ciclismo, in Formula 1 e nell’atletica finora ha dato il meglio. L’operazione “Ineos 1:59 challenge”, la maratona in meno di due ore è stata da fantascienza ed è costata la bellezza di 19 milioni di dollari. Il tutto per un record non omologabile per le condizioni in cui è stato ottenuto il 12 ottobre 2019, quando il 35enne keniano Eliud Kipchoge, atleta dell’anno Iaaf 2018, ha chiuso i 42,195 km in 1h59’41”. Percorso studiato ad hoc, come data e orario di partenza, nessun avversario, ma 35 lepri schierate a rotazione in formazione a V, rifornimenti consegnati a mano, un raggio laser proiettato a terra da un’auto elettrica in marcia a velocità costante davanti al gruppo, la collaborazione della Nike con le sue scarpe miracolose. Sir Jim all’arrivo è stato il primo ad abbracciare Kipchoge, poco gli importava che il record non sarebbe stato omologato. Aveva scritto la storia.  Nel ciclismo ha in squadra  i Campioni del Mondo su strada e a cronometro Kwiatkowski, Dennis e Ganna, e quattro vincitori di grandi giri come Thomas, Bernal, Geoghegan Hart e Carapaz. Nella vela ha messo al timone Ben Ainslie. Alla Mercedes  insieme a Toto Wolff sta spingendo per la riconferma di Lewis Hamilton, baronetto come lui. Se non lo faranno divertire chissà che sfida gli verrà in mente.

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Ultimamente ha imparato a volare con il kitesurf e a pilotare un dirigibile. Un uomo davvero senza limiti. Chissà cosa potrebbe inventarsi se gli piacesse anche mettersi in mostra. 

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