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Haaland, l'attaccante del 2021

Giuseppe Pastore

Grosso, disumano e imperturbabile, il norvegese Haaland è il nuovo prototipo del calciatore-robot di domani

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Le quattro stagioni di Erling Braut Haaland, nell’anno più tormentato e pensieroso delle nostre vite. Inverno: è onnipotente, l’antropomorfizzazione non già di Thor ma direttamente del suo martello che percuote le difese più munite e celebrate d’Europa. Negli ottavi di Champions segna una doppietta al PSG e in particolare il secondo gol sembra venire from outer space come gli alieni di un film di Ed Wood, goffi sgraziati e cartooneschi, palesemente farlocchi. Ma lui è vero; e il rumore della rete violentissimamente percossa dalla palla di cannone partita dal suo piede sinistro mette a disagio come un cielo di nuvole nere, certo non provoca gioia, fa pensare con preoccupazione a cosa potrebbe essere capace di fare questo ragazzo. Prima ancora, nel primo tempo, aveva inghiottito uno spazio di circa sessanta metri in 6 secondi e 64 centesimi, e il giallo-nero della sua divisa aveva fatto pensare a uno staffettista giamaicano. Per di più uno scatto a vuoto, perché il compagno Sancho aveva preferito la soluzione personale, sfidandone la collera.

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Le quattro stagioni di Erling Braut Haaland, nell’anno più tormentato e pensieroso delle nostre vite. Inverno: è onnipotente, l’antropomorfizzazione non già di Thor ma direttamente del suo martello che percuote le difese più munite e celebrate d’Europa. Negli ottavi di Champions segna una doppietta al PSG e in particolare il secondo gol sembra venire from outer space come gli alieni di un film di Ed Wood, goffi sgraziati e cartooneschi, palesemente farlocchi. Ma lui è vero; e il rumore della rete violentissimamente percossa dalla palla di cannone partita dal suo piede sinistro mette a disagio come un cielo di nuvole nere, certo non provoca gioia, fa pensare con preoccupazione a cosa potrebbe essere capace di fare questo ragazzo. Prima ancora, nel primo tempo, aveva inghiottito uno spazio di circa sessanta metri in 6 secondi e 64 centesimi, e il giallo-nero della sua divisa aveva fatto pensare a uno staffettista giamaicano. Per di più uno scatto a vuoto, perché il compagno Sancho aveva preferito la soluzione personale, sfidandone la collera.

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Primavera: casca il mondo. Passiamo pomeriggi tutti uguali a fissare dalla finestra cieli insopportabilmente azzurri, finché ci concedono uno spiraglio. Il primo campionato a ripartire è la Bundesliga, la prima partita è Borussia Dortmund-Schalke 04, il primo gol post-lockdown del nuovo mondo è di Haaland, che sul cross di Thorgan Hazard si comporta come una sponda da flipper, indirizzando ovviamente la palla in buca con una fluidità e una facilità di movimenti che banalizza il gesto. Sul Guardian Jonathan Wilson osserva che nessuno al mondo gioca con una tale mancanza di rispetto verso la difficoltà. Le sue prime 18 partite con il Borussia Dortmund sono corredate da sedici gol e dal senso dell’Inevitabile che si materializza quando entra in possesso di palla e inizia a caricare come un bisonte verso gli ultimi sedici metri. Forse storditi dall’ebbrezza di riveder le stelle dopo tre mesi di prigione, ci sembra di riconoscere in Haaland il seme dell’Uomo Nuovo, uno strapotere atletico che trova termini di paragone solo nell’apparizione di Gullit, un’eccitazione che non provavamo da Ronaldo il Brasiliano.

 

Estate: Haaland resta a guardare la final eight di Champions League, ma nel frattempo compie vent’anni, il 21 luglio. Il giorno prima pubblica su Instagram un selfie obliquo che lui crede affascinante, un primo piano bambinesco del tutto privo di espressività, un viso trasparente che pare una riproduzione grafica, più che autenticamente umano. A lato si rivolge ai suoi follower: “Fatemi gli auguri! Inserirò nelle mie storie i messaggi più divertenti, e forse farò un regalo al più creativo!”. Nei quattro giorni successivi non pubblica alcuna foto o video di una benché minima festa di compleanno.

 

Autunno: nelle prime 14 partite stagionali Haaland segna 17 gol, di cui quattro nel secondo tempo contro l’Hertha Berlino. Una sua breve assenza per infortunio coincide con una brutta crisi del Borussia Dortmund, che porta all’esonero del tecnico Favre. L’immagine più sconcertante è però un’altra: durante Borussia-Bayern, Kimmich cerca di abbatterlo con un fallo da dietro poco oltre la metà campo. Leggermente sbilanciato, il bisonte Haaland ritrova in mezzo secondo l’equilibrio e rimane in piedi. Nel commettere il fallo, Kimmich si rompe il menisco del ginocchio destro e a oggi non è ancora rientrato.

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Ci rendiamo conto di aver dipinto una specie di Ivan Drago nell’epoca degli e-sports, un supereroe dalla fisionomia ancora più estrema del già portentoso Mbappé che in confronto a lui sembra quasi l’ultimo reduce della vecchia scuola. Ma dovremmo baciare la terra e l’erba che Erling Braut Haaland calpesta con così tanta violenza e accanimento: mai come oggi atleti-robottoni del genere rappresentano il sale dello sport e della vita e soprattutto sono portatori involontari e inconsapevoli di un messaggio di speranza e fiducia nel futuro, dopo un presente quasi post-atomico da manga cyberpunk giapponese. Più sono grossi, disumani e imperturbabili, più l’immaginario collettivo li accosta al fantastico, all’assoluto, direttamente a qualche dio, e del resto Haaland già si porta dietro una mitologia da poema greco: qualche mese fa Paolo Condò ha raccontato della rivelazione sussurratagli dal commentatore televisivo Jan Aage Fjortoft, ex compagno di squadra al Leeds di Haaland padre, che avrebbe concepito Erling nello spogliatoio della squadra, nell’autunno del 1999. Con il suo viso di ghiaccio Haaland sorvola gelidamente le mestizie terrene e nemmeno capisce le battute sulle donne che ogni tanto qualcuno prova a rivolgergli per vedere se ogni tanto gli ribolle il sangue. Il suo senso dell’umorismo è sfuggente e lunare come un dialogo di David Lynch, come testimonia questo stralcio d’intervista del 2019 al quotidiano norvegese Dagbladet: “Le mie fidanzate sono i palloni che mi porto a casa dopo una tripletta: a letto dormo insieme a loro”.

 

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Rispetto ai genitori dei nostri genitori che ebbero la fortuna di ammirare in diretta Garrincha, Di Stefano o Pelé solo due o tre volte nella vita, noi Haaland potremo respirarlo tutti i giorni, live o in differita, ma proprio come i genitori dei genitori dovremo convivere con l’idea di accettarne il mistero, un mistero che non può essere scalfito. Come fa un umano ad agire in modo così veloce, carico di inesorabilità, e allo stesso tempo fare (quasi) sempre la scelta giusta? Come fa a non lasciarsi mai attraversare la mente da un pensiero negativo? Vorremmo banalmente citare il Kubrick di 2001, ma Haaland è nato un anno prima: scegliamo piuttosto le liriche di un grande chiaroveggente come Lucio Dalla e i versi finali de Il motore del Duemila, canzone aspra e tremendamente evocativa di gigantesche immensità future: “Non riusciamo a disegnare il cuore/ di quel giovane uomo del futuro/ non sappiamo niente del ragazzo/fermo sull’uscio ad aspettare/ dentro a quel vento del Duemila/ non lo sappiamo immaginare…”. Il resto del mondo avrà il compito di farlo diventare buono senza che ci rimetta nemmeno un newton o un centesimo di secondo, la stessa trasformazione che suppergiù toccava ad Arnold Schwarzenegger tra Terminator  e Terminator 2. Quando nel 2021 torneremo a respirare, come appassionati di pallone ma anche come semplici esseri umani, ricordiamoci di come corre, sbuffa e tira in porta Erling Braut Haaland.

 

 

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