È il più grande di tutti?

Nadal cancella Djokovic e vince il Roland Garros

Il tennista spagnolo batte il numero 1 al mondo in tre set. Tredicesimo titolo a Parigi, ventesimo slam in carriera come Federer

Piero Vietti

Il tennista serbo ha assistito quasi impotente al trionfo di un campione che, lasciatasi alle spalle la rivalità con Federer, sembra non invecchiare e non stancarsi.

Un Novak Djokovic a tratti imbarazzante si lascia calpestare per due set da un Rafa Nadal praticamente perfetto in una finale del Roland Garros che verrà ricordata più per essere stata la prima giocata con il pubblico ridotto a causa della pandemia che per la battaglia vista in campo. Lo spagnolo vince dopo un terzo set un po’ più combattuto dei primi due, continuando ad aggiornare la storia di questo torneo scritta quasi esclusivamente da lui negli ultimi quindici anni (quest'anno non ha mai perso un set). Nole non perdeva da undici mesi, e nelle due ore e mezza abbondanti di partita non ha mai dato l’impressione di potere impedire allo spagnolo numero due al mondo di vincere la sua centesima partita al Roland Garros, ma soprattutto il suo tredicesimo titolo sulla terra rossa di Parigi, raggiungendo Roger Federer a 20 slam vinti in carriera.

Ci aspettavamo più pathos dalla partita più vista nella storia del tennis, giunta con la finale di oggi alla sua cinquantaseiesima replica. Meglio comunque dell’angosciante Thiem-Zverev degli US Open di un mese fa, salutato da molti come lo slam della svolta, quello dopo il quale la dittatura dei soliti tre (due, in questo momento) sarebbe finalmente finita. Nadal e Djokovic a Parigi hanno invece ricordato al mondo che se a trent’anni suonati sono ancora lì è perché sono davvero i più forti. Il 6-0 iniziale in favore dello spagnolo è stata una sentenza – al Roland Garros Nadal ha trionfato in 91 partite su 91 dopo avere vinto il primo set, poteva andare diversamente? – Djokovic è sembrato sempre da un’altra parte, ha fatto punto con qualche smorzata, ha provato ad accelerare ma senza fare male. Si potrebbe pigramente dire che il risultato del primo set è stato bugiardo, un 6-0 in 45 minuti racconta comunque che sulla terra si è combattuto, ma che il vincitore è inequivocabilmente uno.

Forse scopriremo che Djokovic stava male (anche se non si abbasserà a trovare la febbre come scusa come Zverev dopo la sconfitta contro Sinner, Nole è pur sempre un vincente), certo è che ha fatto un effetto strano non vederlo urlare, polemizzare con il suo angolo, non agitare il pugno, non litigare. Lo fa quando al terzo set strappa il servizio a Rafa, e il poco pubblico presente prova ad andargli dietro, anche perché non vorrebbe andare a casa così presto. È allora che Djokovic si è ricordato di essere Djokovic. Troppo tardi. Il numero uno al mondo ha assistito quasi impotente al trionfo di un campione che, lasciatasi alle spalle la rivalità con Federer, sembra non invecchiare e non stancarsi. Lasciamo agli altri le discussioni oziose sul fatto che Nadal valga quanto gli altri due essendo imbattibile solo su una superficie: non sono i numeri a definirci, ma quelli di Nadal mettono Rafa tra i più grandi della storia. Lucido, tenace, feroce, il tennista maiorchino continua a farci vedere che il tennis è uno sport odioso, sofferenza e follia, tic e fissazioni. La grandezza di Rafa è la sua forza mentale, formula abusata nel tennis ma che descrive alla perfezione l’impossibilità di sconfiggerlo su un terreno così complicato come la terra rossa. Ha ragione lui, se oggi siede sul trono accanto a Federer, continua a tenere a distanza Djokovic e promette di non togliere il disturbo ancora per un po’.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.