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Lopez e il Tour de France nella terra che non c'era

Giovanni Battistuzzi

Méribel è un’invenzione moderna, il Col de Loze non esisteva sino a un anno fa. La 17esima tappa della Grande Boucle vaga nell'ignoto, concede la vittoria allo scalatore colombiano, concede a Roglic la soddisfazione di staccare Pogačar

Tutto è possibile nella terra che non c’era. Anche che ciò che sembra imminente, dilati a tal punto la sua comparsa da non accadere proprio e che quello che ci sembrava scontato, scontato non lo sia veramente. E poco importa che la terra che non sia stata ambientazione di una storia fantastica fatta di combattimenti epici e lotte di magia, di draghi volanti e pirati all’attacco. I pedali non hanno la capacità di mentire come la penna di uno scrittore, sebbene a volte possano stimolare allo stesso modo la fantasia di chi si concede a loro. 

 

La fantasia è rimasta fuori dalla terra che non c’era, la realtà si è imposta pedalata dopo pedalata, lasciando il proscenio a un colombiano che vorrebbe essere un supereroe, Miguel Angel Lopez, per brevità chiamatosi Superman, e allo scontro tra due che vorrebbero trasformarsi in Titani, nonostante dal monte Otri non discendano, ma che in un modo o nell’altro hanno avuto un ruolo da protagonisti nella cosmogonia di questo Tour de France versione 2020: Primoz Roglic e Tadej Pogačar. 

 

 

Le loro ruote hanno preso per mano la Grande Boucle nell’ingresso della terra che non c’era, rigettando nell’ipotetico ciò che doveva essere, uno scatto di Mikel Landa – annunciato dalla grancassa di gregari che uno dopo l’altro si sono alternati alla guida del plotone dei migliori –, rendendo ancora una volta evidente che ci vogliono altitudine e chilometri per rendere le montagne il luogo dove il ciclismo trova la dimensione primigenia, quella della solitudine, del testa a testa tra i più forti. 

 

Tutto è accaduto al principio della terra che non c’era. Perché Méribel è un’invenzione moderna dovuta alla volontà di ammansire la montagna, renderla raggiungibile ed esclusiva, una sorta di parco di divertimenti invernale per facoltosi avventurosi in vestaglia. Peter Lindsay, un ricco scozzese, stufatosi della volgarità e la sbruffoneria dei ricchi nazisti che avevano iniziato a frequentare le località sciistiche austriache, decise nel 1937 di comprarsi un pezzo di montagna dov’era finito per caso un anno prima. Riteneva quel pezzo di mondo abbastanza lontano dalla cafoneria del potere tedesco e allo stesso tempo abbastanza vicino alle reti di comunicazione per attirare turisti. Lì dove c’erano tre cascinali e un mulino sorsero alberghi, bar e sale da gioco, perché la vacanza è sacra e merita quei piccoli eccessi che non sempre ci si può permettere in città. Solo allora iniziarono a spuntare gli impianti di risalita. 

 

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È proprio nei pressi dell’ultimo, lì dove fino a qualche anno fa la terra che non c’era ma era sorta finiva, che il bluff di Mikel Landa è stato scoperto. È bastato che David De La Cruz prendesse la testa per far scivolare il basco in coda al gruppo. È bastato uno scatto di Miguel Angel Lopez perché la corsa mutasse: da pascolo di gruppo, a eremitaggio semi solitario

 

Nell’espansione della terra che non c’era, su verso il Rocher de la Loze, in quell’invenzione ipermoderna che è il Col de La Loze, un sentiero divenuto mulattiera negli anni Quaranta, promosso a passo nel 2018 grazie a una striscia d’asfalto, Miguel Angel Lopez si è infuturato verso l’ignoto. E chissà se nel suo esplorare non si sia stato guidato, almeno con il pensiero, dal suo gregario Harold Tejada, l’unico ad averlo percorso in corsa. Accadde l’anno scorso durante il Tour de l’Avenir. 

 

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La terra che non c’era e che ora c’è, almeno nella geografia del Tour de France, si è limitata a dilatare ciò che già c’era, a ricalibrare un po’ le forze in campo, a dimostrare, ancora una volta, che Primoz Roglic ha la scorza dura, ma che Tadej Pogačar non è da meno. Perché il primo ha provato l'allungo sfruttando l'unico punto nel quale le pendenze si umanizzavano. Perché il secondo ha perso terreno, ma è rimasto appeso al suo orgoglio e al suo sogno, quello di non ritenere chiusa la lotta per il gradino più altro del podio di Parigi. La maglia gialla ha rosicchiato quindici secondi al connazionale, poco più di quelli che aveva perso nei giorni scorsi con gli abbuoni. 

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