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Kung fu Zhang

Maurizio Crippa

Breve esegesi senza pretese di un calcio nei denti al sistema calcio ben assestato da un giovane presidente

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Il giovane Zhang ha l’età dei suoi giocatori e in certi casi anche meno. Di nome farebbe Kangyang, messo dopo il cognome come da canone orientale, ma preferisce farsi chiamare Steven, Steven Zhang. Con un nome occidentale e messo prima. Perché gli piace l’occidente e ha studiato in occidente. Perché vive a Milano e gli piace Milano, Torino un po' meno. Perché gli piace il calcio e persino il tifo all’italiana, e una volta è finito pure a vedere una partita al Fourfourtwo Pub di via Procaccini, con il giubbotto e assieme ai tifosi con le birre. Gli piace il business, e soprattutto il calcio. Anzi, fino circa alle 23 di lunedì sera (le 7 del mattino dopo, fuso di Nanchino), si poteva dire che gli piaceva anche la Lega Serie A. O almeno faceva finta di farsela piacere, dietro alla maschera del suo sorriso giovane, che poi è l’antica maschera asiatica per non far capire al tuo interlocutore che lo consideri un pagliaccio, anzi “probably the biggest and the darkest clown I ever seen”. Dalle 23 di lunedì sera, per la maggioranza dei suoi tifosi (non tutti, c’è chi non ha gradito) Steven Zhang dovrebbe cambiare nome un’altra volta e farsi chiamare Bruce Lee Zhang, nel senso di Dalla Cina con furore. Perché mentre tutti stavano per andare a letto, e persino quei casinisti matricolati della Lega Serie A avevano deposto sul comodino i loro demenziali calendari meno decifrabili del coronavirus), sperando nella notte che porta consiglio, al giovane Zhang gli sono girati gli zebedei (ci sarà anche l’espressione in cinese, non la so). Ha preso Instagram, che è più veloce delle mail protocollari, e ha stampato una raffica di colpi da kung fu in faccia al presidente della Lega Paolo Dal Pino, che ovviamente se li merita tutti.

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Il giovane Zhang ha l’età dei suoi giocatori e in certi casi anche meno. Di nome farebbe Kangyang, messo dopo il cognome come da canone orientale, ma preferisce farsi chiamare Steven, Steven Zhang. Con un nome occidentale e messo prima. Perché gli piace l’occidente e ha studiato in occidente. Perché vive a Milano e gli piace Milano, Torino un po' meno. Perché gli piace il calcio e persino il tifo all’italiana, e una volta è finito pure a vedere una partita al Fourfourtwo Pub di via Procaccini, con il giubbotto e assieme ai tifosi con le birre. Gli piace il business, e soprattutto il calcio. Anzi, fino circa alle 23 di lunedì sera (le 7 del mattino dopo, fuso di Nanchino), si poteva dire che gli piaceva anche la Lega Serie A. O almeno faceva finta di farsela piacere, dietro alla maschera del suo sorriso giovane, che poi è l’antica maschera asiatica per non far capire al tuo interlocutore che lo consideri un pagliaccio, anzi “probably the biggest and the darkest clown I ever seen”. Dalle 23 di lunedì sera, per la maggioranza dei suoi tifosi (non tutti, c’è chi non ha gradito) Steven Zhang dovrebbe cambiare nome un’altra volta e farsi chiamare Bruce Lee Zhang, nel senso di Dalla Cina con furore. Perché mentre tutti stavano per andare a letto, e persino quei casinisti matricolati della Lega Serie A avevano deposto sul comodino i loro demenziali calendari meno decifrabili del coronavirus), sperando nella notte che porta consiglio, al giovane Zhang gli sono girati gli zebedei (ci sarà anche l’espressione in cinese, non la so). Ha preso Instagram, che è più veloce delle mail protocollari, e ha stampato una raffica di colpi da kung fu in faccia al presidente della Lega Paolo Dal Pino, che ovviamente se li merita tutti.

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Se li merita tutti, Dal Pino, se non altro per essere il presidente di una Lega che ha deciso di non far giocare la famosa partita a porte chiuse per motivi che, per decenza, diremo esoterici. Ma soprattutto adducendo una motivazione che più ridicola, più penosa, non si poteva: il danno d’immagine per il calcio italiano di trasmettere in mondovisione una partita così importante. Danno di immagine? Ma se già ci perculano persino gli austriaci? Una scusa più imbarazzante non l’avrebbe trovata manco Giggino Di Maio, il globetrotter della Farnesina. A quell’ora della notte c’era ancora Tiki Taka, quello di Pardo, e uno che era lì, atteggiandosi a Giuseppi quando deve cercare una mediazione impossibile e, non trovandola, la butta sul bonton, ha detto che Steven Zhang è stato “scriteriato”. Sticazzi. Le mosse scriteriate le fa Morgan a Sanremo. Pensare al giovane, sorridente, ma un tantino glaciale presidente dell’Inter, che ha studiato in America ma tiene pur sempre un babbo e una famiglia piuttosto ricca, a Nanchino, che fa una cosa “scriteriata”, è dura. Sapeva benissimo quel che faceva. E alle 23 della sera, dopo “#24, #48ore” di pagliacciate della Lega ha deciso che era il momento. Chissà se invece sapeva, se glielo hanno raccontato, che una cosa così nella Serie A italiana non succedeva dal 1961. Che un presidente prendesse a muso duro il sistema. Un presidente dell’Inter. E guarda caso anche quella volta c’entrava una partita a Torino. Anche quella sospesa arbitrariamente per una questione di pubblico e, contrariamente ai regolamenti che avrebbero dato la vittoria agli ospiti, fatta rigiocare. Curiosamente, il presidente che se ne avvantaggiò si chiamava Agnelli. Curiosamente, era anche presidente della Federcalcio. Il presidente dell’Inter si chiamava Angelo Moratti. Mandò a giocare la Primavera, che perse 9 a 1, e sdegnosamente lasciò alla Juventus il suo scudetto di cartone.

 

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Ma i tempi sono cambiati, i colpi d’orgoglio non sono più beau geste come quello di Angelo Moratti. Fanno più male i calci nei denti. Il messaggio che voleva mandare Steven Bruce Lee Zhang è basico è affilato: siamo qui perché ci piace il calcio e il business del calcio, siamo ricchi e forti. Non rompete gli zebedei, o come si dice in cinese.

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