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Benfica-Ajax, quando una rivoluzione ne elimina un'altra

Giovanni Battistuzzi

In Champions League all'Estadio da Luz si incontreranno due tra le squadre che negli anni Sessanta cambiarono il calcio. Ma se tutti si ricordano dei Lancieri di Michels, i lusitani di Guttmann sono stati dimenticati

Erano vincenti, belle e spettacolari. Erano novità, gioia e rivoluzione. Erano il massimo che si poteva vedere. Diventarono modello, qualcosa da osservare e provare a copiare. In molti presero spunto, nessuno riuscì davvero a imitarle. Furono storia, meraviglia. Cambiarono il calcio, una poco prima dell'altra. E senza la prima non ci sarebbe stata la seconda, perché "senza il Benfica di Béla Guttmann la mia squadra non sarebbe stata la stessa", disse Rinus Michels, l'allenatore dell'Ajax che portò negli stadi europei il cosiddetto calcio totale, che conquistò tre Coppe dei Campioni consecutive tra il 1970 e il 1972. Furono avanguardie calcistiche Benfica e Ajax, due modelli ideali divenuti reali. Ma a oltre mezzo secolo di distanza rimane la seconda, mentre la prima si è persa negli anfratti della storia, è stata dimenticata da molti.

 

Sono un po' annacquate oggi Benfica e Ajax, finite ai margini del calcio che conta, squadre buone per riempire i gironi della Champions League, ectoplasmi delle fasi finali. Si fronteggeranno stasera all'Estádio da Luz, i lancieri primi del gruppo E, i lusitani terzi. Gli olandesi che sognano un passaggio alla fase finale della coppa dalle grandi orecchie che manca dal 2006, le Aquile ormai rassegnati a una seconda parte di stagione in Europa League, quella persa in finale nel 2013 e poi nel 2014, quella che tanto non vinceranno mai, o almeno sino a quando l'anima di Béla Guttmann non lo vorrà.

 


Béla Guttmann tra Eusebio e Mario Coluna con la Coppa dei Campioni vinta nel 1962


  

Proprio lui, quello che volle e portò in maglia rossa Eusebio, la Pantera nera. Quello che fu artefice del "novo futebol", delle due Coppe dei Campioni consecutive (1960 e 1961), degli "Encarnados più belli di sempre", di quelli che riuscirono a interrompere il dominio del Grande Real. Lui che prima batté in finale il Barcellona di Kubala-Suárez-Kocsis e l'anno dopo i Blancos di Puskas-Di Stefano-Gento. Lui che poi andò dal presidente a battere cassa, che voleva un premio per la vittoria, per aver fatto la storia e si ritrovò senza premio e senza contratto, esonerato. Disse: "Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d'Europa e il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni". Una sorta di maledizione. Persero la Coppa Intercontinentale l'anno dopo, la Coppa nel 1963, nel 1965, nel 1968, nel 1988 e ancora nel 1990. E pure la fu Coppa Uefa divenuta Europa League nel 1983, nel 2013 e nel 2014.

 

Disse Johan Cruyff che "Michels capì che un altro calcio era possibile quando vide il Benfica di Guttmann stendere a suon di gol lo Standard Liegi". L'allenatore che rese grande l'Ajax vide la squadra del tecnico ungherese attaccare in massa, trasformare i terzini in ali e le ali in attaccanti aggiunti, che si accentravano, giocavano dietro i due centravanti, creavano scompiglio, occasioni, gol. Il calcio di Guttmann era un verbo: attaccare. Era una sola regola: se tieni la palla lontano dalla nostra area di rigore non potrai subire gol. Era spettacolo, possesso palla invadente, spazi che si liberavano per i tiri dalla distanza. E se così non funzionava ecco il piano b: palla a Eusebio e ci pensa lui. L'ungherese rese perfetto il 4-2-4 che già tra nell'immediato secondo dopoguerra aveva reso la nazionale magiara la più forte al mondo. Nel 1957 lo portò in Brasile, al San Paolo, e per osmosi al direttore tecnico del club Vicente Feola, futuro ct della nazionale brasiliana che l'anno successivo conquistò la Coppa del Mondo con Pelè.

 

Michels partì da lì e cambiò tutto. Aggiunse al gioco iperoffensivo dell'ungherese, una fase difensiva, applicando però lo stesso diktat: ok che si attacca tutti assieme, ci si cambia di ruolo e di posizione, ma si fa lo stesso anche in difesa. L'Ajax divenne la macchina perfetta, un tableau vivant.

 

Per la verità già Jack Reynolds, allenatore dei Lancieri negli anni 50, anticipò il gioco di Michels e tentò di mettere a sistema il calcio totale. Commise un solo errore: puntò solamente sulla forma fisica e non sulla testa, fu Michels a trasformare quest'ultima, a renderla libera di ragionare per collettivo e non per pedina di uno scacchiere.

 

Quando queste due rivoluzioni si incontrarono furono gol, fu bel calcio, fu festa. Era il 12 febbraio del 1969, era un fredda serata olandese, neve sul Olympisch Stadion di Amsterdam e sui 55 mila spettatori accalcati sugli spalti. Non era più il Benfica di Guttmann ma di Guttmann era rimasto l'insegnamento. A sedere sulla panchina dei lusitani quella sera era Otto Glória, ma la squadra la facevano Eusebio e Mário Coluna, che di Guttmann erano apostoli e divulgatori del verbo. Con loro due in campo il Benfica avrebbe giocato come aveva sempre giocato, cioè come Béla aveva insegnato loro: 4-2-4 e tutti all'attacco. E in quella sera di neve e inverno gli Encarnados furono furia e tempesta. L'Ajax di Michels fu spazzato via, annichilito ma non distrutto. Finì 1-3, poteva finire poco a tanto se Eusebio e José Torres non si fossero mangiati almeno un paio di gol a testa.

 

 

Sembrava fatta per i lusitani. Non era così. Perché con il campo in condizioni decenti e la voglia di fare vedere ai vecchi campioni di che pasta erano fatti i giovani lancieri, l'Ajax ribaltò tutto. E Cruyff fece capire perché qualcuno diceva che Eusebio sarebbe stato presto un passato dimenticato. Due gol per il numero 14 e la necessità di una terza partita perché allora non c'erano supplementari e rigori.

 

 

E la bella, giocata in campo neutro allo stadio olimpico Yves du Manoir a Colombes, fu una partita brutta, giocata male, con la paura di perdere. Finì con un 2-0 per l'Ajax, finì con i Lancieri che passarono il turno e raggiunsero poi la finale. Persero 4-1 con il Milan di Nereo Rocco. Fu l'inizio del Grande Ajax, il primo tassello della grande rivoluzione che archiviò e fece dimenticare l'altra, quella del giramondo Guttmann, quella del grande antipatico. Quella che finì con Telê Santana al Camp Nou il 5 luglio 1982, sotto i colpi di Paolo Rossi, divenuto Pablito, capocannoniere di quei Mondiali alzati dagli azzurri sotto il cielo di Madrid.

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