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That win the best

Gradone zero

Jack O'Malley

Il ritorno di Zeman, la prodezza di Gabigol e il “porco zio” di Ibrahimovic

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Manchester. Dio ci conservi a lungo il brandy e Zdenek Zeman. Per quanto riguarda il primo non servono spiegazioni, per il secondo giusto qualche parola. Come farebbero i giornalisti senza Zeman? Gli opinionisti, i commentatori, i tifosi e i conduttori televisivi non avrebbero saputo che dire domenica: vuoi mettere riempire una pagina con la retorica dei gradoni, invece che con la solita esaltazione della solidità della Juventus? O riciclare qualche polemica sul doping nel calcio invece che sottolineare per l’ennesima volta l’efficacia del Napoli di Sarri? Oppure, ancora, meglio rispolverare l’elogio del 4-3-3, la maledizione dell’allenatore divertente ma perdente e la storia delle sigarette fumate a bordo campo, oppure concentrarsi sul closing del Milan che si fa ma non si sa, sull’Inter in corsa per la Champions e sulla Fiorentina che è sempre lì ma non spicca il volo? La risposta è più ovvia e banale di un Caffè scritto da Massimo Gramellini: meglio Zeman. E così è stato, infatti. 

 

Abbiamo talmente bisogno di favole, da ricascare sempre nella stessa. Il 5-0 a un Genoa più derelitto del Pescara di Oddo è già diventato leggenda, domenica tutti a dirsi: “Hai visto il Pescara?”, “Eh, ma con Zeman…”. Il tecnico boemo è l’essenza pura del luogo comune, con lui sai già come andrà tutto: prima l’esaltazione, la filosofia e le perle di saggezza a denti stretti, le interviste agli ex giocatori (Verratti che da Parigi vede bene il Pescara), poi qualche risultato roboante, infine le imbarcate. A quel punto i giornali potranno tirare fuori gli altri pezzi pronti su di lui, in cui ci spiegheranno che è inadeguato, troppo spregiudicato per il calcio moderno, non adatto alla serie A. I risultati scarsi daranno loro ragione, e tutti lo saluteranno per rimpiangerlo ancora. Praticamente un governo tecnico.

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Noi sporchi maschilisti non concepiamo l’esistenza del calcio femminile, barbara pratica statunitense. Facciamo volentieri un’eccezione per Alex Morgan e Sydney Leroux


L’atleta di Dio con il più improbabile dei soprannomi, Gabigol, ha festeggiato il suo primo gol in serie A offrendo una carbonara a tutta la squadra. A parte l’aspetto dietetico della scelta, già nel 1982 gli ingiustamente obliati Spliff cantavano in un italiano da tedeschi in riviera che il “borsellino è vuoto totale” e quindi nelle loro vacanze mangiavano sempre e solo carbonara. Magari il giovane Barbosa avrebbe potuto fare una scelta un po’ meno oculata e nazionalpopolare, ma è tutto molto in linea con questo personaggio simpatico e tutto sommato misterioso arrivato dal Brasile con tante rabone nel repertorio e una stiva piena di aspettative. Il gol di Bologna è in realtà una grande tragedia per il tifoso dell’Inter. Per la prima volta a memoria d’uomo, un giocatore strapagato della società milanese è stato adottato come idolo totale e incondizionato, a prescindere dalle prestazioni. “Metti Gabigol!” è diventato il tormentone di San Siro, che impazziva ogni volta che il ragazzo giocava qualche minuto, cosa faceva importava poco. Le pretese della Scala del Calcio, come la chiamano ancora i telecronisti Rai, ne hanno schiacciati tanti di quelli come Barbosa, ma lui aveva trovato il modo perfetto per stare dentro questo amore contrastato. Giocare pochissimo, non segnare mai. Così i tifosi potevano continuare a coltivare l’illusione di avere fra le mani un fenomeno, il quale però rimaneva sempre in potenza, distribuiva entusiasmo sulla fiducia. Dire “metti Gabigol!” è quasi più bello di quando lo mette per davvero. Segnare dove il Fenomeno ha fatto gol per la prima volta completa lo scenario da sciagura per questo giovane a cui tutti gli amanti del calcio augurano ogni bene, s’intende. Io gli auguro di fare come Ibrahimovic, ovvero di giocare benissimo in squadre che vincono pochissimo e poi finire al Manchester United per fare un hat trick dopo il quale il tuo portiere ti scrive “Porco Zio” sul pallone che ti porti a casa per festeggiare. C’è chi si merita il repertorio universale di similbestemmie che i calciatori interiorizzano a otto anni, chi una carbonara.

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