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Miliardi a pioggia, ma soprattutto debito

Lorenzo Borga

Che cosa vuol dire in realtà finanziamenti "a fondo perduto". E perché servirà spenderli per crescere davvero, in modo da non avere problemi con il pagamento di interessi e capitale. Un'indagine sul Recovery fund

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Bicamerale, commissione tecnica, task force, comitato intergovernativo, comitato interministeriale, monocamerale. Le ipotesi sugli organi che dovranno prendere le decisioni su come spendere i soldi del Recovery fund europeo superano la fantasia. Il piano dettagliato di proposta di spesa andrà presentato entro metà ottobre e siamo ancora lontani dall’obiettivo. Ma soprattutto non sappiamo se chi ci governa è consapevole di quanti sono effettivamente e come funzionano i finanziamenti europei che dovremmo incassare dal 2021. Qualche dubbio viene osservando come i membri del governo Conte hanno alzato le aspettative sui fondi, tanto che una buona parte di cittadini potrebbe pensare che l’Italia sarà davvero sommersa di soldi europei.

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Bicamerale, commissione tecnica, task force, comitato intergovernativo, comitato interministeriale, monocamerale. Le ipotesi sugli organi che dovranno prendere le decisioni su come spendere i soldi del Recovery fund europeo superano la fantasia. Il piano dettagliato di proposta di spesa andrà presentato entro metà ottobre e siamo ancora lontani dall’obiettivo. Ma soprattutto non sappiamo se chi ci governa è consapevole di quanti sono effettivamente e come funzionano i finanziamenti europei che dovremmo incassare dal 2021. Qualche dubbio viene osservando come i membri del governo Conte hanno alzato le aspettative sui fondi, tanto che una buona parte di cittadini potrebbe pensare che l’Italia sarà davvero sommersa di soldi europei.

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In realtà non è così, e – come in tutte le cose – è un po’ più complicato. E’ vero, la Commissione europea dovrebbe fornire più di 200 miliardi di euro all’Italia, nel giro di sette anni, di cui la maggior parte prestiti e un’ottantina in cosiddetti “finanziamenti a fondo perduto”. Sono proprio questi a essere più controversi. Attesi come il sacro graal dalla nostra classe dirigente, in realtà non sono per davvero “a fondo perduto”. 

 

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Per capirlo, immaginiamo che tutti gli stati europei – sotto il cappello della Commissione – siano andati in banca a chiedere un prestito di 750 miliardi di euro. Il fatto che siano andati compatti li rende credibili e solidi, e dunque riescono a staccare un prestito a basso tasso di interesse e lunga scadenza (questo deve ancora accadere, ma succederà con ogni probabilità). In realtà alcuni ci perderanno dei soldi, vedi la Germania, perché già da soli riescono a ottenere tassi più bassi di quello che riuscirà a spuntare la Commissione europea. Ebbene, una parte dei soldi presi a prestito dal mercato verranno distribuiti agli stati sotto forma di altri prestiti. Il meccanismo è semplice e abbastanza conosciuto: io, Commissione, ti do un euro e tu, stato italiano, fra dieci anni me lo ridai con un interesse basso. Semplice, si tratta di uno strumento molto simile al Mes che permette agli stati europei che non riescono a finanziarsi sul mercato a basso costo di farlo per il tramite dell’Unione europea.

 

Ma è il secondo meccanismo quello meno compreso, almeno in Italia. I cosiddetti “stanziamenti a fondo perduto” in realtà in gran parte non sono a fondo perduto. Per esserlo la Commissione dovrebbe poter dire agli stati di non preoccuparsi di restituire né gli interessi (perché non è un prestito) né il capitale (appunto perché dovrebbero essere a fondo perduto). Ma non andrà così. Nelle conclusioni del Consiglio europeo che ha dato il via libera al piano è scritto chiaro e tondo che quei soldi qualcuno ce li dovrà mettere. Anche perché i risparmiatori e investitori che hanno prestato il proprio capitale alla Commissione dovranno riceverlo indietro prima o poi.

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Come raccoglierà l’Europa i soldi per poterli restituire al mercato? Inizialmente si era pensato di non restituirli affatto, attraverso i bond perpetui. Ma l’idea è tramontata in fretta, sia per la contrarietà dei paesi frugali, sia per le difficoltà tecniche


 

Come dunque l’Europa raccoglierà i soldi per poterli restituire al mercato? Inizialmente si era pensato di non restituirli affatto, attraverso i cosiddetti bond perpetui (ti regalo il mio capitale e tu per sempre o per moltissimi anni mi paghi un interesse, senza dover mai restituire la quota capitale). Ma l’idea è tramontata molto in fretta, sia per la contrarietà dei paesi frugali che temono così di aprire la strada al finanziamento continuo di alcuni stati membri, sia per le difficoltà tecniche.

 

Alcuni esperti infatti ritengono che in realtà questi titoli non siano appetibili per il mercato e che quindi si rivelerebbero un flop. Le strade alternative che si sono aperte sono dunque sostanzialmente due. La prima prevede che siano gli stessi stati a restituire i “grants”, nel giro di alcuni decenni al massimo. Ma non richiedendo indietro le stesse fette con cui la torta è stata spartita tra i governi europei: se dunque l’Italia riceverà 80 miliardi di euro, non dovrebbe restituirli tutti. Così come la Germania e la Francia non daranno indietro la stessa quantità che hanno ricevuto. Altrimenti saremmo di fronte a un semplice prestito a tasso zero. No: gli stati restituiranno una somma che dipenderà dalla congiuntura economica in cui si troveranno in quel momento e da quanto sono stati colpiti dalla pandemia. Dunque l’Italia sicuramente ne dovrà meno di quanti ne incasserà, così come la Spagna e la Grecia, mentre Germania, Francia, Olanda e altri paesi ricchi metteranno i soldi anche per noi, uscendone in perdita. Ecco perché non si tratta di finanziamenti a fondo perduto, almeno non del tutto: buona parte dei soldi che riceveremo li dovremo restituire. Si potrebbe anche definire un prestito a tasso negativo, come non siamo abituati a vederne nel nostro paese su scadenze lunghe: prendo a prestito 100 e restituisco solo 90. Per l’Italia si parla di un saldo netto tra entrate (circa 80 miliardi) e uscite (circa 50 miliardi) di 30 miliardi. Che divisi per sette-otto anni fanno circa 4 miliardi all’anno di trasferimenti puri. Per carità, sono soldi che ci saranno comodi se verranno ben spesi. Ma non sono la manna che salverà questo paese. Si tratta – compresi i prestiti puri – di debito verso l’Unione europea per circa 8 euro ogni 10 che riceveremo. 

 

 

Ma come ci siamo detti, l’Europa ha previsto anche una seconda opzione: ripagare interessi e capitale al mercato tramite tasse comunitarie. Nello specifico una web tax sulle multinazionali digitali, dazi sui prodotti inquinanti (e che hanno inquinato per essere prodotti) importati dall’esterno dell’Unione e una tassa sulla plastica. Proprio quest’ultima sarà la prima a partire, mentre per le altre si attende ufficialmente il 2023. La plastic tax europea sarà varata invece dal primo gennaio dell’anno prossimo e dovrebbe raccogliere circa 6 miliardi di euro all’anno in tutta l’Unione europea. In Italia il gettito sarebbe di circa 800 milioni. Sebbene sia chiamata tassa, in realtà quella europea non è una vera e propria imposta: ma un trasferimento che la Commissione riscuoterà dagli stati sulla base di quanti rifiuti in plastica non riciclata produrranno ogni anno. Poi saranno i governi e i parlamenti a decidere come raccogliere questi soldi da cittadini e imprese, se tassando effettivamente la plastica – ma in alcuni paesi, come il nostro, plastic tax nazionali sono già previste – o in altri modi. Anche in questo caso però a ripagare i “grants” del Recovery fund saranno gli stati, e dunque in sostanza gli europei.


Il Recovery fund è un piano importante, soprattutto perché è un passo in avanti per l’Unione europea verso un’unione fiscale almeno parziale. In cui si decide insieme come spendere i soldi presi a debito in forma comune a tassi favorevoli 


 

Il Recovery fund è un piano importante, soprattutto perché è un passo in avanti per l’Unione europea verso un’unione fiscale almeno parziale. In cui si decide insieme come spendere i soldi presi a debito in forma comune a tassi favorevoli. Ed è anche uno stimolo economico in un momento di grave crisi, nonostante sia ben al di sotto delle reali necessità del tessuto produttivo. Ma non è una pioggia di miliardi per l’Italia: è soprattutto debito, che andrà restituito. E dunque servirà spenderlo per crescere davvero, in modo da non avere problemi con il pagamento di interessi e capitale. Anche perché per la prima volta gli olandesi e i tedeschi più austeri potranno dire – senza avere torto – che con le loro tasse pagano i prepensionamenti e i sussidi agli italiani. Meglio dunque togliere loro il prima possibile ogni facile alibi per un ritorno all’Europa del passato, ora che un primo passo è stato finalmente compiuto.

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