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Anche la ripartenza ha dei limiti di velocità

Lorenzo Borga

L’Università di Oxford ha costruito un indice di severità del lockdown per tutti gli stati del mondo. L’Italia, il paese più severo dopo la Cina, ha riaperto prima di altri. Diversi i fattori che hanno guidato la scelta

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Quale è la velocità di crociera della nave Italia? Ogni giorno l’opinione pubblica – o quella che leggiamo dai giornali e vediamo in televisione – ondeggia tra il malumore per la prudenza delle riaperture e l’ansia per una ripartenza troppo rapida e alla cieca. La sensazione generale è che in molti siano stati delusi dalla lentezza (e dalla scarsa chiarezza, aggiungiamo) del piano di riapertura annunciato da Giuseppe Conte il 26 aprile, la conferenza stampa dei “congiunti”. E che dunque nelle settimane successive si sia accelerato rispetto a quel piano, su pressione dei governatori che a differenza del governo sono eletti direttamente e dunque più suscettibili alle pressioni di elettori e lobby. In effetti inizialmente l’apertura di bar, ristoranti, parrucchieri e centri estetici era prevista per l’1 giugno, mentre nei fatti non hanno dovuto attendere oltre il 18 maggio per rialzare la serranda. Anche la scelta del governo di adottare le stesse misure per tutte le regioni, lasciando un margine di discrezionalità solo ai governatori senza un’indicazione centrale, è un elemento che ha velocizzato le riaperture in tutto il paese. Secondo l’epidemiologo Alessandro Vespignani si è deciso di “riaprire molto velocemente in realtà, senza darci il tempo di controllare quello che succede”, ha detto a Piazza Pulita giovedì scorso.

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Quale è la velocità di crociera della nave Italia? Ogni giorno l’opinione pubblica – o quella che leggiamo dai giornali e vediamo in televisione – ondeggia tra il malumore per la prudenza delle riaperture e l’ansia per una ripartenza troppo rapida e alla cieca. La sensazione generale è che in molti siano stati delusi dalla lentezza (e dalla scarsa chiarezza, aggiungiamo) del piano di riapertura annunciato da Giuseppe Conte il 26 aprile, la conferenza stampa dei “congiunti”. E che dunque nelle settimane successive si sia accelerato rispetto a quel piano, su pressione dei governatori che a differenza del governo sono eletti direttamente e dunque più suscettibili alle pressioni di elettori e lobby. In effetti inizialmente l’apertura di bar, ristoranti, parrucchieri e centri estetici era prevista per l’1 giugno, mentre nei fatti non hanno dovuto attendere oltre il 18 maggio per rialzare la serranda. Anche la scelta del governo di adottare le stesse misure per tutte le regioni, lasciando un margine di discrezionalità solo ai governatori senza un’indicazione centrale, è un elemento che ha velocizzato le riaperture in tutto il paese. Secondo l’epidemiologo Alessandro Vespignani si è deciso di “riaprire molto velocemente in realtà, senza darci il tempo di controllare quello che succede”, ha detto a Piazza Pulita giovedì scorso.

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Negli ultimi giorni è stata la volta delle polemiche sulla “movida”, i giovani che per divertirsi rischiano di creare assembramenti, ma che altro non è che il frutto della riapertura di bar e locali, richiesta a gran voce fino a qualche giorno prima. È ovvio che ogni riapertura, in assenza di un vaccino o di un trattamento definitivo contro il Covid-19, comporta dei rischi e dei costi, anche in termini di vite umane. Il rischio zero non esiste, e gli effetti del lockdown si fanno e si faranno sentire nei prossimi anni. Ma fondamentale è comprendere la velocità con cui il governo e gli amministratori locali stanno riaprendo il paese. Altrimenti ogni giorno sarà il vento passeggero a guidare i nostri giudizi. 

 

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L’indice di severità del lockdown 

 

Proprio per questo l’università di Oxford ha costruito un indice di severità del lockdown per tutti gli stati del mondo, includendo informazioni su come è stato contenuto il contagio, quante attività sono state chiuse e quante libertà limitate. Il valore va da 0 (massima libertà) a 100 (massima chiusura). Tra le grandi e medie potenze l’Italia è stato il paese più stringente – dopo la Cina – fino a metà marzo quando è stata superata dall’India. Dopo le riaperture del 4 maggio l’indice italiano si è ridotto di più di un terzo (da 95 punti su 100 a quasi 59) e siamo stati superati da paesi come Spagna, Olanda, Francia, Belgio, Canada e Regno Unito, avvicinandoci al livello dei tedeschi che hanno affrontato la pandemia lasciando un buon grado di libertà ai propri cittadini. Secondo gli ultimi dati italiani disponibili del 23 maggio il nostro paese garantirebbe molte più libertà rispetto agli altri paesi europei comparabili: Francia e Spagna sono ancora sopra gli 80 punti dell’indice, Regno Unito e Germania (che è leggermente risalita) sopra i 70. Ovviamente gli autori di Oxford chiariscono che un paese con un alto valore non ha necessariamente risposto meglio alla pandemia rispetto a uno stato con un valore più basso.

 

Questi numeri ci mostrano dunque che in effetti l’Italia ha riaperto prima di altri paesi (dopo essere stata anche la prima a chiudere), ma quanto la severità delle misure di lockdown è legata al reale pericolo di contagio in ciascuna nazione? Per ipotesi, l’Italia potrebbe essere stato il primo paese a riaprire in modo deciso le attività economiche e commerciali per via del ridotto rischio di contrarre il virus rispetto agli altri paesi. I ricercatori di Oxford sottolineano in effetti che più sono stati elevati i casi del nuovo coronavirus, più i paesi hanno stretto i margini di movimento per gli individui. Ma se confrontiamo la curva epidemica italiana e il livello di indice di severità con quello degli altri paesi ci accorgiamo che paesi con un numero di casi simili al nostro hanno mantenuto regole di lockdown più stringenti, come Francia e Regno Unito. Hanno cioè adottato scelte più prudenti, al netto del pericolo di contagio. La Francia ha ancora un indice superiore agli 80 punti, mentre il Regno Unito si aggira sui più di 70.

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Non abbiamo riaperto prima di altri perché il rischio del contagio si è ridotto in modo più deciso che altrove. Forse però una ragione c’è: la scelta di allentare il lockdown precocemente potrebbe essere dovuto alla fragilità della nostra economia, che poteva permettersi un’ibernazione più breve di altri sistemi economici. E in effetti sono state proprio le categorie produttive le prime promotrici delle riaperture. Come riporta Bloomberg, la riduzione della produzione industriale tra febbraio e marzo è stata in Italia molto più significativa che in Francia, Spagna o Germania.

 

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Tuttavia le valutazioni sulla velocità di riapertura delle nostre società richiedono ancora un certo grado di cautela. I dati sulla mobilità degli individui, forniti da Google, non sono ancora stati aggiornati dopo il 16 maggio, almeno per gli stati europei. Prima cioè della riapertura di molti esercizi commerciali in Italia. E infatti i numeri sugli spostamenti degli italiani verso ristoranti, bar e parchi risultano ancora inferiori rispetto a Germania e Francia, mentre avevano già superato Spagna e Regno Unito

 

E dopo il lockdown? 

 

Lo sappiamo, il lockdown è stato uno strumento fondamentale per la prima fase del contagio in quasi tutti i paesi del mondo. Ma una volta che si ridà respiro alle attività economiche e commerciali, sono altre le armi che gli stati devono mettere in campo per garantire la sicurezza. Piani straordinari di test, sia tamponi che sierologici, tracciamento del contagio con strumenti informatici ma anche fisici, una medicina di territorio che prevenga le corse al pronto soccorso e piani per monitorare il contagio in tutte le regioni. Benché i casi nel nostro paese stiano finalmente raggiungendo numeri davvero bassi, siamo ancora molto in ritardo su questi fronti. Il forte aumento dei tamponi ancora non si è verificato (per ora siamo a circa 75mila al giorno). L’app Immuni non è ancora stata pubblicata sugli app store ma soprattutto le procedure per assumere le migliaia di tracciatori fisici sono a rilento.

 

L’Italia ha rialzato le serrande e lasciato libertà di movimento ai cittadini, dopo un periodo lunghissimo di lockdown e restrizioni. Ora infatti si dice che la responsabilità è in mano ai singoli individui. Ma in una condizione di rischio sistemico e soprattutto esponenziale (e dunque non sempre chiaro e prevedibile per gran parte della popolazione) come una pandemia la responsabilità dovrebbe rimanere in capo alle istituzioni. Senza voler adottare metodi di chi vuole imporre il rischio zero alla nostra vita – una chimera, e forse è meglio così – l’Italia in questo momento si trova ad aver riaperto la propria società senza però aver definito fino in fondo gli strumenti per ridurre il rischio. E allora non possiamo che affidarci alla buona sorte.

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