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Letture

Utili chiarimenti sul vero significato di "merito" per evitare derive ideologiche

Sergio Belardinelli

Il concetto è il protagonista dell'ultimo della rivista "Indiscipline", uscita in questi giorni nelle librerie. Un excursus filosofico e filologico per fare chiarezza

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Da alcuni decenni a questa parte si registra nel dibattito pubblico una diffusa tendenza a utilizzare ideologicamente la categoria del merito, vuoi per uscire dall’egalitarismo tanto caro a sinistra, che ne avrebbe rimosso del tutto l’importanza, vuoi per contrastare il vituperato liberismo della destra che lo utilizzerebbe invece per legittimare le più insopportabili disuguaglianze.
 

Al concetto di merito e alle sue strumentalizzazioni ideologiche è dedicata la sezione monografica dell’ultimo numero della rivista "Indiscipline" uscito in questi giorni nelle librerie. Il lettore vi ritroverà le domande classiche di un dibattito che oppone merito a bisogno, competizione e responsabilità individuale a solidarietà e società della cura, con particolare riguardo agli effetti di certa meritocrazia sia sui sistemi educativi, sempre più sottoposti a criteri di valutazione di tipo quantitativo, sia sull’autocomprensione dei nostri sistemi liberaldemocratici; vi ritroverà altresì anche due interessanti excursus sul modello meritocratico cinese e su quello brasiliano. Come viene detto nella bella presentazione dal curatore Davide Borrelli, sociologo dell’Università di Napoli, l’intento è quello di “promuovere una riflessione sulla questione del merito, ma soprattutto sul dibattito che oggi viene fatto in proposito, con l’intenzione di problematizzarne gli assunti, esplorarne i coni d’ombra, denunciarne le ambiguità e metterne a tema le implicazioni politiche e culturali, che non sempre vengono esplicitate”.
 

Si tratta insomma di “interrogarsi sulle ragioni che hanno portato il merito ad affermarsi come uno di quei concetti sensibili che, a seconda di come sono usati, segnalano una certa agenda politica e una particolare visione del mondo”. Intento, questo, certamente meritorio, che conferma ancora una volta l’originalità e l’eccellenza di Indiscipline nel panorama delle riviste del nostro paese. Ma siccome mi sembra che le diverse note di questa sezione monografica siano un po’ troppo curvate verso un’interpretazione del “criterio meritocratico” come una sorta di puntello ideale “dell’ideologia neoliberista contemporanea”, vorrei ribadire alcune banali ovvietà sul merito, molte delle quali sono condivise peraltro anche dagli autori delle suddette note.
 

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Premesso che da un punto di vista filosofico la questione del merito è assai controversa, poiché, dipendendo i nostri talenti il più delle volte dal caso, nessuno può affermare di averli veramente meritati; premesso altresì che la buona volontà di coloro che cercano di mettere a frutto i propri talenti dovrebbe trovare comunque il giusto apprezzamento; premesso infine che attenzione al merito non significa necessariamente indifferenza rispetto ai bisogni; premesso tutto questo, è ovvio come il merito richieda una trattazione che eviti, sì, di esagerarne la portata sociale, ma anche di osteggiarla o trascurarla del tutto. In fondo resta pur vero che ciascuno di noi preferisce essere curato da un bravo medico piuttosto che da uno meno bravo. Non è quindi irrilevante che a svolgere certe prestazioni siano chiamate persone competenti e che venga garantita a tutti anche la libertà di rivolgersi a Tizio piuttosto che a Caio. Detto in altre parole, quando si parla di merito la questione socialmente rilevante non è tanto se meritiamo o meno i nostri talenti, bensì se, come e perché ci impegniamo per metterli a frutto.
 

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È questo il punto su cui bisognerebbe riflettere e che dovrebbe impegnare la cultura e la politica di una società, senza pretendere di stabilire a priori come e perché ci si dovrebbe impegnare, ma disponendo semplicemente le condizioni affinché ognuno possa farlo come meglio crede. Anche in questo caso si tratta in fondo di riconoscere la pluralità degli individui. I criteri di merito non sono univoci, né possono essere decisi dall’alto. Organizzazioni o istituzioni diverse richiedono ciascuna criteri di merito specifici. Non è detto che chi fa assistenza in una casa per anziani debba essere misurato con lo stesso criterio di chi insegna in una scuola: la dedizione che si deve a un anziano non è la stessa che si deve a un alunno. E tuttavia a entrambi è richiesto un certo tipo di dedizione, un impegno, che sta evidentemente all’organizzazione premiare e riconoscere secondo quelli che sono i suoi specifici obbiettivi, conformemente alle aspettative di coloro che si rivolgono all’organizzazione stessa. Non riconoscere questo impegno come un merito sarebbe un errore, nonostante che il merito, di per sé, a maggior ragione quando i suoi criteri sono calati dall’alto o quando esprime semplicemente un privilegio, non promuove certo una società migliore e più libera.

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