Foto di Alex Hockett, via Unsplash 

cambio di prospettiva

Il cambiamento che serve nel ruolo della donna per incentivare le nascite

Mariarosaria Marchesano

Per scongiurare la profezia nera del cortometraggio “Adamo” sarà necessario incentivare a livello economico la partecipazione femminile al lavoro. La questione della parità dev'essere considerata una necessità di progresso

Abbiamo mai pensato a un neonato solo nella culletta di un nido di ospedale? A un reparto maternità fantasma, dove i vagìti sono un lontano ricordo? A un bambino che non trova altri compagni al parco con i quali giocare? Ad aule scolastiche completamente vuote in cui si aggirano maestre spaesate alla ricerca di un fracasso infantile che non c’è più? È la storia di Adamo, l’ultimo bambino italiano che nascerà nel 2050, secondo una previsione, provocatoria ma neanche tanto, della Plasmon, che ha avuto l’idea di porre il problema della denatalità in Italia con un cortometraggio scioccante: lo spettatore è proiettato fra trent’anni in un paese in cui la scelta di avere un figlio può essere talmente complicata da diventare unica.

 

Adamo è solo. E questo perché le nuove generazioni smetteranno di procreare attanagliate dalla paura del futuro. Una previsione apocalittica, certo, ma che trova conferma nel sondaggio condotto dall’Università di Padova con Community Research, che, tra pessimismo e incertezza, vede il 95 per cento dei giovani essere scarsamente fiducioso sulle prospettive. Ma come siamo arrivati a questo punto? “Nel nostro paese la questione demografica è stata a lungo sottovalutata a differenza di altri stati europei – spiega al Foglio Alessandro Rosina, studioso dei fenomeni demografici (Università Cattolica) – La persistente denatalità ha fatto sì che i bambini diventassero meno dei nonni e, quindi, siamo scivolati in una trappola demografica irreversibile. Del resto, se mancano politiche efficaci nei confronti delle famiglie, se mancano le misure strutturali per la maternità e la paternità, se mancano i servizi per l’infanzia e gli asili nido, il destino che rischia di compiersi in Italia è quello di Adamo”.

 

Nel 2021, i nuovi nati sono scesi a 400.249, in calo del 25 per cento rispetto al 2011. Ma c’è un dato che dovrebbe fare ancora più riflettere, dice Rosina, e cioè che da qui al 2050 la popolazione anziana passerà da 14 a 19 milioni. “Cinque milioni in più di over 60 assorbiranno più risorse pubbliche – in termini di pensioni, assistenza e cura – che l’Italia, paese indebitato e che cresce poco, non può permettersi di spendere a meno che non aumenti la capacità di sviluppare ricchezza attraverso una maggiore partecipazione delle donne al lavoro”. Vista così, la questione della scarsa natalità assume un significato più economico che etico. Il che è anche un bene perché facilita la discussione sulla conciliazione lavoro-famiglia, che passa attraverso politiche pubbliche ma anche aziendali più flessibili. Non è così? “Le aziende hanno fatto fatica a strutturarsi a favore dei neo genitori – dice Rosina – Servivano iniziative in grado di intervenire sulle condizioni lavorative, sugli orari e sui congedi parentali. E invece non siamo riusciti a passare dall’idea di un figlio inteso come costo economico e complicazione organizzativa per i genitori a valore collettivo su cui tutta la società ha convenienza a investire, stato e aziende comprese”.

 

Morale della favola? “L’Italia non si può più permettere di essere un paese conservatore nei ruoli uomo-donna perché, se non vuole estinguersi, ha bisogno di liberare il potenziale femminile”. Vista così la questione della parità dei ruoli non è più una battaglia ideologica ma una necessità di progresso per il bene del paese. Finalmente.

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