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Saverio ma giusto

“Transazione negata”: ecco da dove nasce la fobia di Meloni per il Pos

Saverio Raimondo

Possiamo immaginare l’umiliazione che avrà provato la premier nel fare la figura della povera – i tanto odiati poveri! – di fronte a un piccolo commerciante. Ma la lotta al pagamento elettronico l’allontana dalla gente alla quale dice di appartenere, quella che si era liberata del resto in ramini

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Giorgia Meloni deve essere di quelle (pardon, quelli: è il presidente) che si dimenticano sempre il pin del proprio bancomat, con conseguenti rossori e sudori freddi: altrimenti non si spiega questa guerra al Pos e ai pagamenti elettronici. Sembra dettata da un odio personale, un capriccio, visto che non c’è alcuna ragione al mondo per essere contrari a una transazione economica elettronica. Voglio dire, pagassimo ancora in lire capirei il sovranismo monetario, un po’ come la battaglia del cognato – pardon, ministro – Lollobrigida contro la carne sintetica; ma trattandosi di euro, il tanto odiato euro, dovrebbe anzi far piacere a Meloni il fatto di non dover nemmeno toccare il vile denaro di Bruxelles, il non dover maneggiare lo sterco del demonio della Banca centrale. (Pensate cosa deve essere in casa Meloni anche solo l’idea di pagare delle bistecche sintetiche con la carta di credito: abominio! Aberrazione! Peggio di un rave omosessuale).

Forse alla base c’è un trauma, come in “Marnie” di Alfred Hitchcock: in passato deve essere successo che Giorgia Meloni in un negozio è andata per pagare con il bancomat, e il Pos le ha detto “transazione negata”. (Parafrasando Woody Allen: le parole più brutte al mondo non sono “ti odio”, e nemmeno “è maligno”, ma “credito insufficiente”). Possiamo immaginare l’imbarazzo, la vergogna, l’umiliazione che avrà provato Giorgia Meloni, sempre così indipendente, tutta d’un pezzo, nel fare la figura della povera – i tanto odiati poveri! – proprio di fronte a un piccolo commerciante, sua base elettorale. Con il peso dello sguardo giudicante altrui addosso, sentendosi assediata più che dai giornalisti, Giorgia Meloni avrà assicurato il commerciante che i soldi sul suo conto ci sono – detestando la balbuzie che improvvisamente avrà increspato il suo eloquio e il rossore che ne avvampava le guance tradendone le fragilità – e avrà chiesto di riprovare, ma niente: seconda transazione negata. La vergogna si sarà trasformata in rabbia, la rabbia in sproloqui contro i poteri forti. Avrà chiesto dov’era il bancomat più vicino, sarà uscita sotto la pioggia, e una volta trovata una banca e aver letto sullo schermo “sportello fuori  servizio” avrà imprecato contro Soros. Da lì il trauma, che oggi finisce in manovra finanziaria.

Si tratta del primo, vero passo falso di Giorgia Meloni; un passo che l’allontana da quella gente alla quale lei dice di appartenere, che si vanta di rappresentare. Il bancomat ha svoltato le nostre vite comuni proprio nei micro-pagamenti, perché ha debellato il resto in ramini. Chi le vuole tutte quelle monetine che adesso torneranno a infestare le nostre tasche, a sfondare i nostri portafogli? Sono inutilizzabili, persino le macchinette le sputano via. Vuoi innalzare il tetto al contante? Allora però alza anche il pavimento, io le monetine da 1, 2 o 5 centesimi non le voglio! Mi è chiaro che il ragionamento di Meloni è macro-economico: togliere l’obbligo del Pos è un bonus alla piccola evasione, per rilanciarne i consumi e l’impresa. Il problema è che questa manovra garantisce alla piccola evasione il mantenimento dello status quo, ma non gli dà gli strumenti per crescere e fare un reale scatto economico e sociale. Il governo dovrebbe attuare politiche ben più strutturali per aiutare i piccoli evasori a diventare grandi evasori – che è la vera disuguaglianza, il vero divario economico che affligge questo paese.

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