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il tramonto dell'androcene

Il mondo è delle matriarche, un universo di tenacia e determinazione

Ginevra Leganza

Catalogo delle nuove donne in sella, dall’amazzone alla gattara: madri comandiere, mogli vamp e carrieriste; tutte ogni giorno più padrone dell'epoca. Intanto i maschi diventano sempre più grigi e bradipi

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Ogni giorno che passa il fallo è sempre più stremato. Il principio virile s’accascia e spiana la strada all’origine del mondo. Alla Yoni: a quella “origine del mondo”. Alla donna dove tutto torna e tutto si rintana. 
Per cominciare prendiamo le immagini di due gettonati consorti, e sarà chiaro. 

Il very important politician e divo di Montecitorio, Aboubakar Soumahoro, si fa un pianto su Instagram nel corso del quale, mano a mano, le doglianze virano in invettiva. In frasi stentoree. Nel tentativo di difendere Liliane (la moglie) e Marie Thérèse (la suocera), accusate di illeciti nella gestione di cooperativa e consorzio per richiedenti asilo. Ma appena dopo il pianto l’arringa di Soumahoro diventa un urlo al complotto. “Mi dite cosa vi ho fatto?!”, chiede il deputato in lacrime, rivolgendosi ai follower, e chiude: “Voi mi volete morto, ma non riuscirete a uccidere le mie idee”. Ed ecco che all’uomo debole, ecco che all’ivoriano piantato nella retorica come i suoi stivali nel fango, fa da controcanto l’immagine dell’amata. Che certo non sembra una sprovveduta. E può difendersi sola, magari scagliandoci addosso borse, borsette, bauli, bagagli. Pesanti, di sostanza, tutti Gucci o Louis Vuitton. Così si fotografa Liliane: in un selfie specchiato con cover per iPhone targata LV. Pianto, paranoia, difese abortite da un lato; bocca a sederino dall’altro. Gemiti e felpe per lui; risolutezza pacchiana per lei (Lady Gucci, la chiamano). Lei che con la madre indagata tiene in piedi la baracca. Partiamo dunque con quest’immagine: con un marito provato e due mamme antiche dalla pelle marrone. E percorriamo la curva in direzione “matriarcato”. Perché l’attualità si popola di guerriere che allattano, di ragazze volutamente infeconde e virago che abbattono il maschio. Ma per capire il senso di questa logica inversa, di questo saliscendi fra nuove dame e testosterone alla canna del gas, prendiamo un’altra istantanea. 

 

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È o non è il ritorno del matriarcato se le deputate italiane potranno allattare in una tribuna collocata nell’ultima fila dell’emiciclo? Montecitorio è la nuova terra nutrice che lancia il trend “mamma figa”: la marsupiale in carriera che già nel 2017 si faceva largo in Australia, dove una senatrice dei Verdi discuteva la salute dei lavoratori del carbone con il pupo attaccato al petto. È una fotografia, questa della marsupiale sdoganata in parlamento. Ed è un’immagine fortissima. Perfetta per condensare l’atmosfera in un’icona di prosperità. Nella donna che fra emendamenti e voto si pianta in uno scranno come la Venere callipigia nella terra nuda. Attorno a quest’effigie, poi, ruotano tutti gli astri dell’èra a venire. Con le madri comandiere che ridanno vita, ciascuna come può, a un’umanità stanca. 

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Il tema “maternità” è una squilla che ravviva il dibattito pubblico. La nostra mamma premier porta la figlia a Bali, aizza i detrattori, e di nuovo si conferma trend-setter. Ma nel frattempo che si propone d’istituire la “giornata della vita nascente”, fissata per il prossimo 25 marzo, all’indomani dell’equinozio di primavera, sugli spermatozoi di tutto il mondo cala un cupo inverno. Perché è proprio una logica di proporzioni inverse a orientare il nuovo matriarcato. Non a caso pochi giorni fa il Figaro, sulle pagine culturali, denunciava assente – nei calendari del Bene – una giornata pensata per l’uomo come l’8 marzo per la donna. 

 

Le madri riconquistano potere, gli uomini perdono tono. Secondo un’analisi condotta in Israele e negli Stati Uniti, il liquido maschile va incontro a una globale siccità. Tra il 1973 e il 2018 la quantità di cellule sessuali si è più che dimezzata riducendosi dell’1 per cento, anno dopo anno, fino al 2000. Col nuovo Millennio, poi, il gameticidio cresce, facendo registrare una riduzione annuale di oltre il 2,6 per cento. In questa nuova analisi, pubblicata sulla rivista scientifica Human reproduction update, ci si basa su dati provenienti da 53 stati fra Sudamerica, Asia e Africa, continenti marginali nel precedente studio del 2017. Ed ecco che tutto il mondo è necropoli. Non si sa se alla radice sia lo stile di vita o cos’altro. Col benessere diffuso si è sempre più sedentari, e questo non aiuta le cellule riproduttive. Qualche anno fa il paleoantropologo Peter McCallister, analizzando il declino psicofisico del maschio, debole come non mai nella storia del genere umano – così scriveva – lo definiva sloth. Un bradipo. Dopo la lussuria e la gola questo è il secolo dell’accidia: dell’uomo per cui non un pelo ma un filo, un cavo o un joystick tirano più che un carro di buoi. Le cause della sua debolezza sono oscure, ma la libido vinta dai device è forse tra queste. Ad ogni modo, la logica che al potere femminile oppone semini timidi e sparuti potrebbe nascondere davvero il ritorno della Grande Madre.

 

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Prendete il Mutterrecht di Bachofen. E scoprirete come forse, a distanza di millenni, siamo di nuovo a cavallo fra il secondo e il terzo stadio di una lunga storia matriarcale. Per la precisione: dal terzo stadio, il più evoluto, ossia quello dei patriarchi, torniamo gioiosamente indietro al secondo. Dritti dritti al tempo antico dell’Amazzone. 
Secondo l’antropologo svizzero il famoso terzo stadio corrispondeva all’assorbimento del femminino nel potere patriarcale, al trionfo di Dioniso e del principio fallico che trasformava la donna in menade danzante. Nel patriarcato compiuto, dunque, la donna s’identifica con la baccante. Con l’ancella o sacerdotessa del fallo. Più o meno come la velina che fra i Novanta e i Duemila segnava l’acme narrativa del nostro terzo stadio. Degenerazione della “signorina buonasera” – elegante, composta – la soubrette segnava la sregolatezza dei sensi. Il picco febbrile dell’uomo forte e pure un po’ cafone. Avvinghiata a un palo: gioconda, esplosiva. Sino al giorno in cui la bomba sexy si sgonfia. Chi sa chi sono adesso le Elisabette Canalis o le Maddalene Corvaglia, le bionde e le more col sorriso e le natiche sciolte. Il patriarcato, oggi, esaurisce il principio virile e fa un salto indietro. A quella seconda fase di matriarche sicure. Di amazzoni, scriveva Bachofen, e guerriere che quasi completamente hanno cancellato il gene svampito dal dna.

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E questo lo si vede anche, forse soprattutto, nel gesto estremo della rinuncia. Essere matriarche è uno stato mentale che non per forza s’identifica con l’essere madre, spiega fra le righe Francesca Guacci, l’influencer di fitness che sposa la sterilità. A vent’anni, dice, la sua vita era già troppo piena per un figlio. Così opta per la salpingectomia, l’asportazione irreversibile delle tube. Proprio come un’amazzone che si asporta il seno per meglio tendere l’arco, così Francesca nella sua libertà – mostruosa e inviolabile – taglia i ponti con i semini. Per meglio stare in carreggiata, come una guerriera. E per falcidiare i pensieri di quando si gettano cuore e semi oltre l’ostacolo. Una circostanza – inutile dirlo – che solo la donna sa. E che in tempo di ginecocrazia quasi compiuta può esser evitata alla radice… 
Madre: essere o non essere, questo è il dilemma dei nostri giorni. Per quanto il padre sia sempre stanco. E davvero è uno stato spirituale e non carnale se la maternità riempie solo il dibattito e le culle restano vuote. Ma, appunto, esser matriarca è diverso dall’essere madre. E il matriarcato si dice in molti modi.

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Pensate all’evoluzione da chierichetta scosciata a officiante: pensate alle co-conduttrici di Sanremo. Poco disposte a fare da spalla allo show-man, sempre più autonome. E sempre più monologanti. Anche se il monologo è soporifero o, peggio ancora, se è una straziante autofiction. Non v’è dubbio che l’Ariston, teatro dello Zeitgeist alla ribalta, segni la fine della baccante. Volete una prova? Co-conduttrice 2023 sarà Chiara Ferragni (che sorpresa). E chi più matriarca di lei, con Fedez ridotto a cicciobello tatuato da moglie e prole. Valletto domestico, a disposizione tutto il giorno, tutti i giorni, sul set instagrammiano di CityLife… Chi più amazzone digitale della bionda cremonese, dunque? Perché anche i capelli d’oro, fra blogger e premier, hanno disinnescato lo stereotipo cinematografico della dumb blonde, della bionda sciroccata che anima i ragazzi a suon di battute sconce. Il doppio senso alla Marilyn si estingue, almeno per il momento. 

 

E a proposito di cinema, in questa nostra Città delle donne, i maschi camminano come un manichino preso a calci nei genitali. Nulla che accada per davvero, sia chiaro, è solo un sogno per noi e un incubo per loro. Ma la loro percezione, appunto, sembra esser questa. Secondo una ricerca di Richard Reeves, studioso britannico e già consigliere del governo Cameron, la prima linea dei maschi occidentali è assolutamente giù di corda. Nel suo libro Of Boys and Men Reeves nota come negli Stati Uniti tre quarti dei suicidi e dei morti di overdose siano maschi. Risalendo nell’inferno, ci sono separazioni e divorzi che sembrano abbattere più delle donne gli uomini, sempre meno capaci di ricostruire su macerie. E a chi dice: ci vorrebbe un amico, la ricerca risponde con un altro dato. Se nel 1990 appena il 3 per cento dichiarava di non avere amici intimi, nel 2020 la percentuale sale al 15. Amanti, amici… Ma finanche il mercato del lavoro si toglie la cravatta in favore dei tacchi a spillo. Reeves rileva come un uomo che ha iniziato a lavorare nel 1983 ha perso il 10 per cento di reddito rispetto alla generazione precedente, mentre la controparte femminile ha guadagnato il 33 per cento. Gettando un occhio alla formazione, poi, i due terzi degli studenti migliori sono donne; i due terzi dei peggiori, maschi. 

 

Il cervello sarà maschio, diceva Shakespeare, ignorando forse che semi e neuroni nell’uomo vanno di pari passo. E che ogni cosa ha una fine. Anche l’eone che nei francesi faits divers è stato chiamato “androcene”. Così l’eco-femminista e deputata Sandrine Rousseau ha definito l’epoca agli sgoccioli. Figura di spicco dei Verdi, nel mese di settembre accusava il leader del suo stesso partito, Julien Bayou, di aver inflitto violenze psicologiche alla fidanzata. Nulla che fosse sorretto da un’accusa legale. Ma per Sandrine Rousseau è bastata l’ombra di un sopruso. E il peccato originale fra le gambe dell’uomo si è posto come condizione necessaria e sufficiente per chiedere e ottenere le dimissioni del capo. La vicenda riprende un canone già visto: solo poche settimane prima erano arrivate le dimissioni di Adrien Quatennens, coordinatore di  France Insoumise, accusato dalla moglie di violenza e deciso ad abdicare per proteggere il partito. Ma quest’altro caso dà un nome alle cose. Con tutti i suoi risvolti giacobini: la presunta vittima aveva segnalato il fidanzato alla “cellula interna” dei Verdi, una sorta di Tribunal révolutionnaire per punire i nemici della parità. 

 

Androcene è il nome della nottata che sta passando. Del buio secolare durante il quale il maschio bianco etero e cis ha preso possesso della donna e della Terra. Sventrando prima l’una, poi l’altra. E c’è chi per questo non ha mai spento il rancore. E s’impegna, oggi, a lottare contro le ultime raffiche di machismo. Sono le matriarche nell’anima, le comandiere come l’ambientalista Sandrine Rousseau. Non necessariamente madri, spesso un po’ gattare, rigorosamente intersezionali. O se preferite xenofemministe, come le proclama e si autoproclama la filosofa britannica Helen Hester. Xeno nel senso di straniero e straniante, prefisso a difesa di tutto ciò che c’è e non c’è: trans-eco-bi-bio-pan-sessualismo eccetera. Amanti di tutte, tutti e tuttu. Meno che di uno. Dell’orco bianco, ovvio, pensato in forma di fallo-feticcio da profanare.  
Il viaggio nel moderno matriarcato è l’esplorazione di un arcipelago popolato da amazzoni, madri comandiere, mogli vamp e carrieriste. E ancora gattare inferocite. Donne nuove e ogni giorno più padrone dell’epoca. Tutte con un proprio schema o una propria categoria d’appartenenza. 

 

Il matriarcato, insomma, si dice in molti modi. È un caleidoscopio di tenacia e determinazione. Ma pure di retorica, rancore, confusione, revanchismo… Come un arco di tanti colori a risaltare su un fondo grigio. Perché questo sono invece i maschi. O questo son diventati. Mammiferi sempre più indistinguibili l’uno dall’altro. Carenti di fiducia oltre che di spermatozoi (“l’unica forza / tutto ciò che hai”). Che non riescono e forse neppure provano a ritrovare uno spazio nel mondo: nostalgici e ingenui nel maschilismo, goffi e in malafede se femministi. Compito loro ritrovarsi. Magari anche loro, da sconfitti, potrebbero indire un congresso come occasione di riflessione. E intanto che aspettiamo chiediamoci pure, noi donne, promesse matriarche col mondo fra le dita, se davvero vogliamo un bradipo per sposo.

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