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La denazificazione russa? È un impianto hi-fi rubato in Ucraina

Fabiana Giacomotti

Altro che distruzione delle borse di Chanel da parte delle influencer russe. La razzia di beni da parte dei militari di Mosca, che poi li spediscono in patria, dimostra solo che siamo tutti consumisti. Ma qualcuno è pure ladro

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Troppo impegnate a tritare le loro borsette per protestare contro il tritacarne di donne, bambini, uomini innocenti in Ucraina”. Il verbo frasale che usa sul proprio account Instagram il collega inglese Tim Blanks per denunciare le influencer russe che hanno sminuzzato le proprie borsette Chanel a favore di telecamere contro il sostanziale embargo alla vendita dei lussi a doppia C a tutti i cittadini di Putin, in realtà è “chopping up”. La sua traduzione in italiano non rende bene l’effetto che voleva dare, e che evoca, volutamente, il battere dell’accetta sul tronco o del coltello sul tagliere. Avrebbe potuto usare “cut”, invece usa “chop”, perché l’universo semantico a cui fa riferimento è quello della macelleria. Il macellaio Putin e le sue volenterose accettatrici di borsette, “i più esecrabili esemplari della specie”.

In questa guerra, come è sempre stato ma oggi in misura ancora maggiore causa social network, la simbologia sta giocando un ruolo fondamentale. In hoc signo vinces. Immagine contro immagine, feticcio contro feticcio. Da una parte la maison Chanel che nega i propri ricercatissimi beni a qualunque russo non abbia acquisito la residenza all’estero e possa provarlo. Dall’altra le influencer con le labbra gonfiate che tagliano le borsette su Instagram denunciando “la mancanza di rispetto che subiamo” (sic) e le vecchiette al parco di Mosca che si fanno filmare mentre frantumano un tablet Apple con il calcio di una rivoltella (sic doppio), dichiarando di “non avere bisogno dei prodotti occidentali”.

A uno sguardo superficiale, tutte queste messinscene potrebbero apparire come la rappresentazione simbolica del rifiuto di una cultura e di un’idea del mondo rispetto a un’altra. Europa e mondo occidentale consumista contro Europa dell’est saldo nei propri principi antiatlantici, anti-consumisti e “antinazisti” (e qui dobbiamo aprire una parentesi dubitativa sulle valutazioni che il management di Chanel deve aver fatto prima di inasprire unilateralmente le sanzioni, perché Coco Chanel era in effetti una collaborazionista, dopo la Seconda Guerra Mondiale fu costretta a riparare in Svizzera e andò pure a processo, e l’assist che da Parigi hanno offerto al governo di Putin, permettendogli di rivelare una storiaccia nota solo agli esperti, ha i tratti dell’autogol mondiale).

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Però, a dispetto delle tirate del dittatore del Cremlino contro le mollezze occidentali mentre i probi russi si scaldano al sol dell’avvenire, le cose esattamente come nel XIII secolo, quando i mongoli presero d’assalto la Russia e l’Ucraina, restando folgorati dalle loro ricchezze, e stanno esattamente come adesso, quando le trascrizioni delle telefonate fra i soldati russi e le loro impagabili mogli che chiedono loro di scegliere fior da fiore nei guardaroba delle ucraine stuprate, uccise, disperse, mostrano un’avidità sfrenata di ricchezze, un’ansia di rivalsa sociale (“vedi come vivevano?”), un asservimento totale ai simboli dell’occidente che a parole esecrano (“di che marca sono? Taglia?”).

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Un amico austriaco, per anni collaboratore di Gianfranco Ferré, dice che dall’appartamento della sua famiglia a Vienna, gli occupanti russi fecero calare dalle finestre perfino le vasche da bagno per mandarle nelle kommunalka di Leningrado e farvi sguazzare le loro irine che, poverette, mai avevano potuto goderne. I giornali europei hanno mostrato la distinta di invio di un carico di condizionatori e altri beni tecnologici per mezzo quintale di peso da parte di uno di questi eroi della denazificazione. La verità è che siamo tutti consumisti. Qualcuno, però, è pure ladro.

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