i nuovi figli

Cari animalisti, il problema non sono le parole del Papa ma le follie della pet economy

Francesco Palmieri

Non solo preferiamo cani e gatti ai bambini, come ha detto il pontefice. La “burocrazia del Bene” snatura il nostro rapporto con gli animali

L’ultima offerta, nella catena di negozi specializzati Moby Dick, sono le coperte e le ciotole per cani e gatti in tre diverse linee di moda: i supereroi della Marvel, Star Wars o Minnie e Topolino. Secondo i gusti dei padroni, o quelli presumibili di cani e gatti interpretati dai padroni. Ciascuna ciotola o coperta è in vendita a partire da 8 euro e 90 centesimi. Per i domestici di compagnia sono disponibili anche peluche a prova di denti, che tengano compagnia a loro. Giusto perché s’aggiorni chi è rimasto fermo all’arcaico dono dell’osso di bufalo (preferibile l’anallergico corno di cervo), o addirittura a quello regalato fresco nelle macellerie: l’Uomo Ragno come “soft plush dog toy Spiderman” costa 15 euro e 50.

In alternativa c’è il pupazzo dell’Incredibile Hulk. Passando al reparto gastronomia, è prezzato 3 euro e 99 un barattolo da 400 grammi di carni selezionate e senza tracce di glutine del marchio Terra Canis: si può scegliere tra cavallo, cervo, anatra, tacchino, coniglio, cinghiale. Tra i prodotti per l’igiene e la bellezza, accanto ai tradizionali shampoo o shampoo a secco c’è una discreta gamma di profumi in varie essenze (vaniglia, mela, arancia e fior di pesco). E’ ipotizzabile, quanto prima, una linea di cosmetici canini o felini.

Esasperazioni, ma assai comuni, che già quando era arcivescovo di Buenos Aires indignarono Jorge Mario Bergoglio: in una intervista tuttora disponibile su YouTube deprecava tra le spese più superflue quelle per gli animali domestici e per i cosmetici (in quel caso umani). Mentre i bambini muoiono di fame, considerava, “si idolatrano” i pet come in una “caricatura dell’amore”. E’ pertanto un rimprovero di antica data quello che papa Francesco è appena tornato a rivolgere ai fedeli dopo avere lamentato la crescente denatalità italiana: “L’altro giorno parlavo dell’inverno demografico. Si vede che la gente non vuole avere figli: molte coppie hanno al massimo un figlio, ma hanno due cani o due gatti”, ha dichiarato il Pontefice. “E sì, i cani e i gatti occupano il posto dei figli. Sì, fa ridere, capisco, ma è la realtà. Questo rinnegare la paternità e la maternità ci diminuisce, ci toglie umanità”.

Un inciso in un discorso più ampio, dedicato alla paternità putativa di san Giuseppe e all’istituto dell’adozione, che è “tra le forme più alte di amore” ma è resa ardua dalle procedure burocratiche di cui il Papa ha auspicato la semplificazione. Un inciso che però “fa titolo”, e che tanto incidentale non è parso a chi si rammentava dei precedenti interventi di Bergoglio. Numerose reazioni ha perciò suscitato e quasi tutte dalla parte dei cani e dei gatti. (O dei loro padroni). Inclusa la prevedibile obiezione che chi s’è imposto il nome Francesco per il pontificato non dovrebbe biasimare quanti prendono a cuore i rispettivi animali.

Per una curiosa coincidenza, all’appello del Papa ha fatto seguito quello al Papa dell’Enpa, l’Ente nazionale protezione animali, affinché rimuova il divieto di tenere cani e gatti negli immobili del Vaticano, provocando “la separazione obbligata da affetti cari, soprattutto in questo triste momento di pandemia”. L’accento è caduto, anche in tal caso, sulla scelta del nome Francesco quale rassicurazione che il vescovo di Roma “vorrà porre fine a questo anacronismo del passato che siamo certi non rifletta il Suo sentire e la profondità della Sua anima”. E’ una certezza tutta da riesaminare, se si aggiunge che già in quell’esternazione di Buenos Aires Bergoglio adombrava la traccia di un “paganesimo gnostico” nella crescente propensione verso cani e gatti.

Sospetto (al limite) comprensibile per i gatti per un’antica simbologia di sulfureo sentore, ne sembra immeritevole il cane. Né Francesco d’Assisi è il solo che gli farebbe da avvocato celeste. L’iconografia cattolica premia il fedele amico raffigurandolo, immancabile, al fianco di san Rocco, il trecentesco pellegrino protettore dalla peste oggi tornato in auge tra i fedeli: secondo una indagine sul web è il più pregato dopo santa Rita per scongiurare il contagio da Covid-19. Già prima di lui san Domenico di Guzmán, fondatore dei Frati Predicatori, era rappresentato assieme a un cane con la fiaccola tra i denti e i suoi seguaci furono chiamati, con un gioco di parole, Domini canes. In tempi più vicini, i devoti di don Bosco ricorderanno in ogni sua biografia la menzione del poderoso Grigio, il cagnone che lo vegliava come un angelo custode e più volte gli salvò la vita difendendolo dai malintenzionati. Se non bastasse, fra le storie che il cristianesimo condivide con l’islam, c’è quella dei Sette dormienti su cui un cane accucciato vigilò nella grotta di Efeso durante il secolare sonno.

“Le parole del Papa si rivolgono a una società scoppiata, che ha perso la visione del sacro con cui l’uomo rapportava all’universo se stesso, le pietre, le piante e gli animali. Basti pensare ai bestiari, che arricchivano il mondo immaginale collettivo di una strepitosa mitologia, in cui gli animali diventavano parte della tua mente e del tuo sogno, certo non le creaturine che porti a fare la cacca. Quello antico era un sistema binario che distingueva il sacro, cioè la dimensione dove qualcosa accade e ha un pregio, dal profano, dove quanto accade un pregio non ce l’ha”, spiega Mino Gabriele, professore di Iconografia e iconologia e di Scienza e filologia delle immagini all’Università di Udine. “Fino alla Seconda guerra mondiale si rinveniva una sbiadita persistenza della sacralità nel mondo contadino, poi il grande sviluppo tecnologico ha spazzato via tutto, anche se con incontestabili aspetti positivi”. Perciò chi adotta cani e gatti, secondo Mino Gabriele, non corre alcun pericolo di “paganesimo gnostico”: “Ma figuriamoci. Vedo soltanto una scenetta surreale nella signora che incontro a spasso per Venezia mentre raccoglie, nel sacchetto, la sporcizia di un cagnolino incappottato e bardato come una fanciulla della Belle époque”. Il rimprovero stesso di Bergoglio non concerne la sfera del trascendente: “Il suo è un discorso di mero carattere etico-sociale, perché biasima chi si preoccupa di cani e gatti in un mondo devastato dalle miserie, dove folle di disperati sono costretti a migrare e patire la fame o la guerra”, prosegue Gabriele, avvertendo però che “è anche un discorso con cui si relegano questi animali nella condizione del nulla. Mi sembra coerente con la visione complessiva di Papa Francesco, l’unico fra i leader mondiali che possa dirsi davvero di sinistra”.

Smarrito ormai il senso del sacro, che l’adozione di un animale resti confinata alla dimensione affettiva privata non sembra riduttivo né incompatibile con la paternità a Emanuele Trevi, il quale ha avuto cani ma non figli e dovrebbe perciò sentirsi colpito dal rimbrotto del Papa. “Credo invece che le due cose si concilino, perché esprimono entrambe l’attitudine all’accudimento verso forme di vita più deboli cui si chiede in cambio solamente amore”, risponde lo scrittore romano. “Sono due facce di uno stesso orientamento fondamentale dello spirito umano, che possono anche degenerare qualora un disgraziato picchi i bambini o addestri un pitbull alla ferocia”. Secondo Trevi, il Papa ha ragione a sottolineare, accanto all’egoismo, le difficoltà che accompagnano la scelta di mettere al mondo figli o adottarli: “La crisi demografica dell’occidente è accentuata da un carico di complicazioni e da una perdita della spontaneità che rendono l’esistenza più problematica. C’è una progressiva, opprimente burocrazia del bene che smorza l’energia della psiche, mentre non a caso nei paesi poveri dei Caraibi trovi famiglie numerose dove convivono, serenamente, un sacco di bambini e un sacco di perritos. Qui invece le difficoltà scoraggiano le scelte, sia dell’accudimento dei figli sia degli animali domestici, con un numero sempre maggiore di adempimenti che ti fanno sentire quasi in colpa per ogni cosa che desideri”.

Se il Papa ha puntato il dito sui labirinti procedurali necessari all’adozione di un bambino, Trevi aggiunge che è diventato improbo persino ottenere l’affidamento di un randagio dal canile: “L’altra settimana una mia amica ha viaggiato da Roma a Salerno per prendersi un cagnolino, al solo scopo di evitare l’odiosa, melensa burocrazia che è stata frapposta tra uomini e animali e contempla addirittura l’umiliazione di sottoporsi all’esame di una sorta di assistente sociale, la quale t’interroga e viene a constatare se hai una casa adatta o meno ad assecondare il tuo atto di generosità. Bisogna fermare questo nuovo ceto burocratico del bene, un animalismo criminale pervaso di idiozia che s’apparenta alla dittatura della correttezza, la stessa che vorrebbe vietare l’augurio ‘Buon Natale’ o la visione de ‘Gli Aristogatti’”.
A Trevi, che ricorda di avere posseduto cani “fin da bambino, quando non esisteva la parola ‘animalista’”, proprio una spaurita cagnetta cambiò forse la vita, sicuramente il modo di scrivere. Gina gliela regalò nel 1997 un amico, l’attore Libero De Rienzo scomparso l’estate scorsa, e diventò protagonista del libro I cani del nulla. Una storia vera, uscito nel 2003 e ristampato l’anno scorso con la prefazione di Sandro Veronesi. “Gina – ha rievocato Trevi commentando la morte di “Picchio” – era non tanto l’emblema, ma l’incarnazione vivente e scodinzolante di quello che andavo cercando e non avevo ancora trovato, con la scrittura”. Con la sensazione che da allora “qualunque fosse l’argomento di cui parlassi, chiunque fosse il personaggio che descrivevo, c’era sempre qualcosa di Gina che tornava fuori nelle maniere più impreviste”.

Intanto però l’inarrestabile “burocrazia del bene”, di pari passo al merchandising dei supereroi per cani e gatti, si dilaterà ancora. Proprio questa settimana, su iniziativa di più di quaranta organizzazioni, 118 eurodeputati (tra cui 12 italiani) hanno depositato al Parlamento di Strasburgo una interrogazione orale sostenuta da oltre 140 mila firme, raccolte nei 26 Stati membri, con cui si chiede la nomina di un commissario Ue “per il benessere degli animali”. Finirà che tra breve, anziché alleggerire i meccanismi per l’adozione di un bambino, anche la lunghezza dei guinzagli, il diametro dei collari, l’abitabilità delle cucce e la dieta degli animali domestici saranno regolamentati dagli zelanti funzionari dell’Unione.

La burocrazia si afferma come dimensione sostitutiva della sacralità. Sono lontani, ma sembrano lontanissimi gli anni della seconda metà del Novecento, quando il grande cinologo e scrittore Piero Scanziani affermava che grazie al cane l’uomo uscì dalla selvatichezza primordiale, prima con il suo aiuto nella caccia poi nella pastorizia. Perché “un uomo con tre cani cura cento pecore, senza non ne cura tre”. Né ci fu contraddizione con la paternità. Al contrario: “Pastore, uomo placido, certo di potersi ogni giorno nutrire di latte e di formaggi, il pastore ha famiglia, conosce la paternità: canis familiaris”. E ancora fu il cane, reputava Scanziani, che avvicinò l’uomo a Dio: “Mentre il cane cura il gregge, il pastore fissa il cielo. L’ozio del pastore gli consente di guardare, riflettere, intuire. Il pastore disegna. Disegnare è scrivere. L’ozio consente la preghiera, la contemplazione, la sanità, la saggezza”. Con quell’amico che vegliava sul suo sonno, come nella grotta di Efeso della leggenda cristiana e musulmana, l’uomo fu favorito perché “solo chi dorme placidamente può nel sogno conoscere mondi ultraterreni donde, al mattino, portare in terra intuizioni celesti”.
Fu quello l’inizio di una lunghissima storia che arriva fino ai cani di guerra, di salvataggio e per i ciechi, una storia che ciascuno ha riascoltato tante volte con o senza retorica, anche chi è allergico al pelo, anche chi non desidera figli né animali per casa perché complicano lavoro, apericene e weekend. Fu quello l’inizio di una storia lunghissima che rischia di finire meschina, tra le ciotole con la faccia di Topolino e la pedagogia animalista, più che per le parole di papa Francesco.