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oltre rebibbia

Il successo di Zerocalcare è la vittoria del capitalismo di Netflix sui centri sociali

Manuel Peruzzo

Dal Forte Prenestino al grande pubblico dello streaming con "Strappare lungo i bordi", che farà guadagnare Michele Rech come una Ferragni. L'operazione è geniale. Il prossimo passo sarà promuovere un Suv?

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Per fortuna i romani non sono permalosi e quindi si può dire tutto. Mica come i napoletani. Quindi anche se la polemica nell’ultima settimana gira attorno al fatto che “Strappare lungo i bordi” è tutta in romanesco e non se capisce un cazzo perché Michele Rech, che doppia quasi tutti i personaggi, se mangia le parole peggio di Muccino Jr, rimane un prodotto ben fatto. Per fortuna si può dire tutto, pure che è incredibile che un ambiente tossico come quello dei centri sociali di Roma abbia prodotto una cosa così bella come Strappare lungo i bordi di Zerocalcare. E che lui sia riuscito a guadagnare come una Ferragni grazie al capitalismo di Netflix.

   

Ero lì a guardare una sua intervista in cui girava per un Carrefour in cerca di ingredienti per preparare un hamburger, che era il format delle interviste, e prima del video partiva la pubblicità del supermercato (l’algoritmo non è antagonista). Lì ho ricostruito la parabola che parte dal Crack! del Forte Prenestino e arriva a Netflix. Tempo due anni e ce lo ritroviamo a promuovere i Suv della Mercedes e a far le pubblicità dell’Eni. E che male c’è? Non sto sostenendo non sia sincero: non m’importa neppure lo sia. Il capitalismo vince sempre, e se non puoi combatterlo finisci in catalogo. Quelli che hanno frequentato i centri sociali raggelano: ma come? Quelli erano uno spazio di confronto, di cultura, di politica. Cioè luoghi frequentati da gente in ciabatte a cui per vendere una birra devi parlare di principi. Lo capisco, per chi abita a Rebibbia andare al cineforum del Csoa La Torre è stato come PornHub per chi abita in una qualsiasi provincia italiana: un modo per non morire di noia. 

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Senza i centri sociali non ci sarebbe Zerocalcare, dice lui. Ed è innegabile che abbia introiettato esteticamente la sporcizia dei centri sociali. Nei suoi fumetti tutto è livido, sberciato, sporco. Vede il mondo attraverso il fondo di una bottiglia di birra rotta con sfondo di capannone industriale abbandonato, i teschi, le pantegane, la spazzatura. Oddio, ma forse è la descrizione di Roma pre e post Gualtieri. Però dentro ci piazza l’amore irrisolto, le paranoie adolescenziali, la bandiera curda (che fa incazzare gli abbonati turchi a Netflix), i concerti punk e non dimenticate l’armadillo-super-io con la voce di Valerio Mastandrea. Così non sorprende che dalla Strada a Garbatella è finito a fare il social media manager di Netflix per 12 ore, e infatti ieri consigliava i prodotti in catalogo con native advertising (forse dirlo in inglese non è tanto meglio che dirlo in romanesco: faceva pubblicità) senza snaturarsi, rimanendo quello che andrebbe a un’assemblea a microfono aperto per discutere dei diritti sindacali dei cuccioli di foca che cuciono i palloni da calcio in uno scantinato. L’incubo di Rech è passare dall'essere il fumettista più venduto a essere considerato un venduto. Ma per fortuna neanche chi frequenta i centri sociali è permaloso, come i romani (mica come i napoletani!). 

  

In ogni caso l’intera operazione è geniale: fa arrivare Zerocalcare anche a noi che abitiamo fuori Roma, non parliamo in dialetto, non balliamo la pizzica e detestiamo tamburelli e fisarmoniche, e che non avremmo speso cinque minuti per cercare di capire se il fumetto avesse senso come prodotto d’intrattenimento, e riuscire a farlo guadagnando un sacco di soldi, fama, persino rispetto (e invidia, la mia). È tutto ben fatto: dal G2 con l’armadillo per sapere se rispondere a una tipa che ti piace su Whatsapp al cane che scoreggia “Per Elisa”, fino al prendere in giro il catalogo Netflix e al contempo prendere in giro noi che ce ne lamentiamo. Tutto facendoci bagnare con la retorica del filo d’erba collettivo, strappare piano lungo i bordi, seguire i propri sogni ma poi pazienza se non si realizzano. Detto da uno che ha realizzato i suoi. 

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