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Tutti i Fantozzi di Draghi

Saverio Raimondo

La gloria del premier sale sempre più in alto. Colpa di una classe politica che lo vede come il Superdirettore galattico

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Il fatto che Mario Draghi abbia rinunciato allo stipendio e stia lavorando gratis ha suscitato stupore e smarrimento in molti esponenti della classe politica italiana: da una parte, che l’ex governatore della Bce, l’Uomo-Euro per eccellenza, quello che per anni ha letteralmente firmato la moneta unica, insomma che Mario Draghi “rifiuti” 6.700 euro mensili pari a 80 mila euro l’anno fa un po’ l’effetto Elon Musk che sconfessa i Bitcoin. Dall’altra, avere un presidente del Consiglio che lo fa per volontariato, cioè senza percepire un soldo pubblico - però senza dirlo, senza rilasciare una dichiarazione a un giornale, a un talk o a una conferenza stampa a reti unificate, né un post su Facebook da più di 1 milione di like, e tocca invece scoprirlo dai conti pubblicati per trasparenza sul sito della presidenza del Consiglio come di solito si scoprivano gli sprechi o le magagne, tutto questo insomma mette ulteriormente in crisi la già smarrita classe politica, che s’interroga che senso abbia non prendere lo stipendio pubblico se poi non passi all’incasso del consenso popolare candidandoti a elezioni, e più in generale quale sia lo scopo di fare un così nobile gesto senza strombazzarlo ai quattro venti, quando invece fino a pochissimo tempo fa una cosa del genere bastava solo annunciarla, poi se la facevi davvero o meno era un optional se non addirittura una volgare ostentazione fattuale. 

 


Questa novità non fa che contribuire all’idealizzazione (fra il mitologico, il mistico e il cialtronesco spinto) di Mario Draghi: non tanto da parte del popolo (secondo un recente sondaggio l’attuale presidente del Consiglio è solo un punto sopra al gradimento che ancora viene riservato a Giuseppe Conte dagli elettori affetti da sindrome di Stoccolma post lockdown), quanto dalla classe politica, che guarda a Draghi come nella Megaditta si guardava il Megadirettore Galattico

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Le leggende urbane su Draghi ormai circolano sempre più incontrollate, costantemente in bilico fra l’agiografia (ispirata o apocrifa), l’allucinazione collettiva e la crisi mistica con tanto di voci nella testa: si dice che Draghi sieda su una poltrona in pelle umana (chi dice sia la pelle di Arcuri, chi di Borrelli, chi di alcuni ex componenti del Cts) e che abbia un acquario in cui nuotano psicologi trentacinquenni che hanno saltato la fila per il vaccino; pare che il suo nome completo comprensivo di titoli e cariche sia Duca Conte Sua Santità Dott. Gov. Grand. Uff. Lup. Mann. Mario Draghi; si narra che nella sua casa a Città della Pieve, coadiuvato dal suo fido bracco ungherese (anche se secondo alcune fonti si tratterebbe di un gigantesco alano brandeburghese di 4 tonnellate, secondo altre di un odioso pechinese viziato, maligno e prepotente), tenga esclusivissime battute di caccia al dittatore turco; mentre alcuni esponenti della maggioranza dichiarano di non averlo mai visto (in Parlamento, da lontano e con la mascherina, poteva essere chiunque) e sostengono che Draghi sia solo un’entità astratta, uno stato mentale delle istituzioni.

 

Del resto, per uno che arriva a Palazzo Chigi già preceduto dal nomignolo SuperMario, era inevitabile che la soggezione finisse col suggestionare politici nel pallone e già vaneggianti, dando vita a racconti e leggende fuori controllo; ed è innegabile che le nomine sotto il segno di Draghi ravvivino un certo immaginario collettivo alla Vittorio Balabam: il generale Figliuolo, con le sue mostrine luccicanti sulla divisa mimetica e il cappello degli alpini ben calzato in testa, tiene alta la bandiera di quel marziale dal retrogusto asburgico che rende tutti più timorosi, non solo Michela Murgia; mentre l’aver nominato all’intelligence Belloni fa subito Ser-Belloni (Mazzanti Vien dal Mare) e l’immaginazione galoppa spedita: intrighi internazionali fra ricevimenti e feste da ballo, attentati sgominati durante il varo di una nave, trame e complotti a Courmayeur (dove esattamente come nei migliori film di spionaggio nessuno è ciò che dice di essere, a cominciare dagli Azzurri di sci), a Cortina (con spie nascoste nella polenta), a Capri o presso qualche arcipelago. Altro che Renzi ai bagni dell’autogrill.

 

Ma se Draghi appare ai politici come un Megadirettore Galattico, tanto temibile (dicono che la sua natura sia crudele e cinica, e che nel suo sangue si nascondano sinistri natali tedeschi) quanto misericordioso, è anche perché la nostra è una classe politica fantozziana, e non solo per i congiuntivi di Luigi Di Maio: nei confronti di Mario Draghi i nostri politici, parlamentari ed extra, stanno dimostrando tutto il loro servilismo, con picchi di pietosa inettitudine e mediocrità allucinante.

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E’ grazie a Draghi se essi sono ancora vivi, con un ruolo dentro o fuori dal governo; ed è sempre grazie a lui se non hanno niente da fare, hanno un sacco di tempo libero e possono farsi le foto con la felpa della Ocean Viking o commentare Fedez sui social. Ecco perché quando si parla di Lui, il MegaDraghi Galattico, che si discuta se fra un anno tenerlo a capo del governo o eleggerlo al Quirinale, ai politici gli si annebbia la vista, gli si azzera la salivazione, gli sudano le mani e poi schiantano al suolo colti da svenimento: lo temono, e hanno paura di essere frustati o peggio, crocefissi alle urne. 


Prendiamo Matteo Salvini: bullo e cazzaro mostruoso, più che un alleato di governo pare il geometra Calboni. Manda saluti e bacioni come Calboni pizzicotti e baciamano a “puccettoni” e contesse varie, e insiste per riaprire tutto e abolire il coprifuoco per poter andare al night con i colleghi a ordinare “tre scotches”, due cartoni di Dom Perignon fatto con il bicarbonato, cenetta di mezzanotte alla fiamma, tragici selfie in ricordo della serata (con la roba da mangiare e con i propri sostenitori, stando ben attento a distinguere gli uni dagli altri), mostruosi animaloni di peluche da regalare alle signore “dell’alta aristocrazia borghese” e violini zigani in pista – per poi andar via in taxi, facendone chiamare una media di due e un quarto a persona, tanto appunto paga Draghi con i 209 miliardi del Recovery Plan. Però poi anche Salvini scatta sull’attenti e si unisce al coro “E’ un bel presidente! Un Santo! Un Apostolo!” non appena Draghi entra nella stanza con i dati della campagna vaccinale e il piano di ripresa economica; e le sue conversioni – sull’Europa, sui dati scientifici, sui migranti – più che delle autentiche crisi mistiche sembrano atti di viscido servilismo. 

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Enrico Letta invece, quando nei giorni scorsi ha incontrato Draghi per lamentarsi di Salvini, pareva Fantozzi che protesta lanciando un sasso contro le vetrate della Megaditta perché lo stanno “prendendo per il culo”; ed è facile pensare che di fronte alle proteste del segretario del Pd anche l’atteggiamento di Draghi sia stato paterno e accondiscendente. Il MegaDraghi Galattico avrà cinto le spalle del ragionier Letta e lo avrà fatto sedere al suo posto, trattandolo da alleato; e subito Letta avrà sbottato: “Non vorrà mica farmi credere che io e lei siamo uguali… voi siete un tecnico io un politico… voi siete un neoliberista io dalla parte dei lavoratori…”; a quel punto l’Illustrissimo Signor Governatore Amministratore Unico et Naturale Mario Draghi avrà sorriso, e accarezzando la nuca al povero Enrico avrà risposto: “Caro Letta, è solo questione d’intendersi… di terminologia. Lei dice lavoratori io politiche del lavoro, lei dice ambiente io crisi climatica, lei dice donne io parità di genere, lei dice giovani io next generation, lei dice a ogni costo io whatever it takes, lei dice Erdogan io dittatore, lei dice Salvini io dico che nessuno deve essere lasciato solo nelle acque territoriali italiane e che il rispetto dei diritti umani è una componente fondamentale di qualsiasi politica sull’immigrazione, ma per il resto io la penso esattamente come lei e come il nostro caro ministro Speranza”. “Non mi vorrà mica dire che lei è… di sinistra!” avrà gridato Letta choccato, attraversato da un brivido giù per la schiena (“Allora è vero, siamo il partito della Ztl!”, avrà pensato tutto sudato). “Proprio di sinistra no”, avrà puntualizzato l’Illustrissimo Sire Sua Eminenza Mario Draghi; “Vede, io sono un medio-progressista”. 


Filini? Uno del Movimento: attivista nonostante la miopia prossima alla cecità livello talpa, coinvolge i ragionieri del Pd in iniziative che si rivelano tragiche, con ustioni tremende, craniate selvagge, arti amputati, sciabolate e scudisciate. La signorina Silvani? Forza Italia: il Pd innamorato la invita da tempo a uscire con lui, ma lei alla fine – nonostante ogni volta faccia le labbra a cuore – preferisce sempre i modi smargiassi del leghista Calboni. 


Ma proprio perché fantozziani, i partiti con Draghi non sono solo ruffiani e ossequiosi, anche vili e codardi: il Parlamento in questi giorni si è dato alla macchia per quanto riguarda i decreti attuativi del Recovery e il decreto sostegni, per non parlare della riforma della Giustizia, come fosse una temutissima coppa Cobram che nessuno voglia disputare; e nonostante i richiami della presidenza del Consiglio e persino del Quirinale ecco la nostra classe politica che pur di non fare la sua parte finge l’accento svedese camuffando la voce con una molletta sul naso, una patata in bocca, il grugno infilato in un imbuto, un asciugamano attorno alla faccia e la testa infilata in una conca di rame. Fortuna che Draghi al primo grugnito li riconosce subito – “Fantozzi, è lei?” –  e prima o poi dovranno salire in sella e pedalare, ’sti qua. 


Questo mix di terrore e servilismo è l’attuale equilibrio politico-istituzionale in Italia: quanto durerà? Lo scopriremo presto, con le nomine Rai, quando i partiti verranno costretti a riunirsi per mettersi d’accordo così da eleggere un nuovo consiglio d’amministrazione, un po’ come i dipendenti della Megaditta venivano obbligati ad andare al cineforum per vedere film cecoslovacchi con i sottotitoli in tedesco. Ed esattamente come in quella situazione, anche in questa potrebbe accumularsi e scoppiare la tensione. Il dibattito sulla Rai è come “l’occhio della madre”, o “il montaggio analogico”; se qualcuno dei partiti coinvolti dovesse prender la parola ed esprimere il suo giudizio sulla tv pubblica non da espressione delle forze di governo né dell’opposizione, ma da semplice telespettatore come Fantozzi con “La corazzata Potemkin”, a quel punto altro che Fedez con RaiTre, non li terrebbe più nessuno: i partiti si scontrerebbero selvaggiamente contro lo show biz televisivo, come Zorro contro Maciste, reclamando più spazi. “Fuori la Rai dalla politica!”, questo sarà il loro grido, non certo il contrario: c’è già chi li ha fatti fuori dal governo e dalle decisioni che contano, figuriamoci se i partiti si faranno buttare fuori anche dalla tv. 
 

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