Foto Marco Alpozzi/LaPresse

Spazio okkupato

Copiare è un'arte. Invece di criminalizzarla fatene una materia scolastica

Giacomo Papi

Nelle scuole italiane (a distanza) sta andando in scena un gigantesco "Guardia e Ladri", dove ogni squadra si ingegna a escogitare nuovi modi per stanare o sfuggire

In questi mesi Di Ansia Didattica (Dad), uno dei tormenti di maestri e professori è trovare il modo per impedire di copiare a 11 milioni di ragazze e ragazzi rinchiusi in casa. Lo ha raccontato sul Post Arianna Cavallo in una bella inchiesta che raccoglie decine di testimonianze di studenti e insegnanti di ogni ordine e grado. Nelle scuole e università italiane sta andando in scena un gigantesco “Guardia e Ladri”, dove ogni squadra si ingegna a escogitare nuovi modi per stanare o sfuggire. E’ un classico caso in cui bisogna decidere da che parte stare, se con le guardie o i ladri, con rispetto parlando per entrambi. Ma bisogna anche chiedersi se la nostra idea di apprendimento non vada aggiornata. Il confine tra lecito e illecito esprime sempre una visione del mondo, un’idea dei rapporti tra le generazioni e del valore che attribuiamo all’originalità o alla memoria.

 

Una rapida indagine tra gli studenti conferma che i metodi con cui gli insegnanti stanno cercando di arginare la scopiazzatura di massa sono ingegnosi ma disperati perché i metodi dei ragazzi per sfuggire al controllo hanno raggiunto vette altissime. Alcuni prof. impongono di recitare di spalle le poesie a memoria, altri puntano sulle classiche interrogazioni a sorpresa o a tempo, ma c’è anche chi infligge interrogatori tecnologici di tipo orwelliano, obbligando a inquadrare con il telefonino il foglio, le mani, la faccia, la stanza, o chi registra l’interrogazione per ricontrollare i movimenti oculari degli studenti. Esiste un programma – Google Classroom – con cui i professori possono cercare le corrispondenze in rete con i temi e le versioni degli studenti. Alcune università hanno adottato appositi software tipo “Arancia Meccanica”, il Respondus per esempio, che blocca il browser, inquadra il piano di lavoro, monitora il riconoscimento facciale, l’audio e i movimenti nella stanza. L’idea che copiare sia il male governa anche l’esame di stato dei giornalisti dove è ancora incredibilmente vietato consultare le fonti, in un’epoca in cui controllarle dovrebbe essere oggi il primo dovere di chi informa.

 

La copiatura, in realtà, ha una storia gloriosa. Dieci anni fa, prima che i telefonini invadessero il mondo, si usavano ancora siti come “Cazzo me ne frega, io copio” o orologi su cui spiare gli appunti fingendo di guardare l’ora. I metodi analogici, però, erano ancora prevalenti. Il più eroico utilizzava le bottigliette d’acqua: lo studente staccava l’etichetta e scriveva sul retro le informazioni in caratteri minuscoli, dopodiché la rincollava calcolando che l’acqua avrebbe fatto da lente. Per scrivere sui banchi esistevano penne a inchiostro beige, visibile solo in controluce, come i Bignami – i gloriosi bigini che dal 1931 aiutarono generazioni di studenti e futuri insegnanti – che sono marroncini per mimetizzarsi meglio con i banchi. Resistono i post-it, la cui arte ha raggiunto raffinatezze inimmaginabili, ma i telefonini hanno inghiottito tutto, non solo a scuola. I ragazzi si organizzano soprattutto su WhatsApp, dimostrando uno spirito di collaborazione e condivisione del sapere che dovrebbe essere una buona notizia per tutti. Certo, il copia e incolla rende tutto più veloce e superficiale, ma velocità e colpo d’occhio sono già oggi capacità fondamentali, e lo saranno ancora di più in futuro. Più che illudersi di frenare il fenomeno, bisognerebbe istituire la materia di Copiatura attiva per insegnare a copiare con fantasia.

 

Copiare è un modo di imparare da quando esiste la scrittura. E’ un metodo per fare attenzione, fissare e collegare informazioni. La sopravvivenza stessa della cultura europea si deve alle anonime schiere di amanuensi che, nel Medioevo, copiarono e tramandarono i testi dei classici, fino a diventare eruditi. E fu trascrivendo a mano il dizionario del carcere che Malcolm X imparò a leggere, scrivere e pensare. E’ difficile non attribuire la condanna della copiatura a una concezione poliziesca dell’insegnamento che cominciò nel Settecento all’interno di un processo più ampio di militarizzazione della società teorizzato da Michel Foucault in “Sorvegliare e punire”. Fu il mito romantico dell’originalità, un secolo più tardi,  a dare legittimazione estetica e culturale alla pratica dell’addestramento scolastico. Oggi software come Respondus ricordano le istruzioni sulla postura corretta per scrivere raccomandate nel 1706 dal pedagogista francese Jean-Baptiste de La Salle in “Conduite des écoles chrétiennes”: “La gamba sinistra sia un poco più in avanti, sotto il tavolo, della destra. Bisogna lasciare una distanza di due dita dal corpo del tavolo (…) Il braccio destro deve essere lontano dal corpo circa tre dita e uscire di circa cinque dita dal tavolo sul quale deve appoggiare leggermente”. Non tutti ubbidirono, per fortuna, benedetti ragazzi.

 

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