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il foglio del weekend

Inferno social

Simonetta Sciandivasci

Da Facebook a TikTok, da Instagram a Twitch fino al nuovo Clubhouse. Volevano migliorare la nostra vita online, hanno raddoppiato le invasioni

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Che vita complicata, opprimente, allertante. Più la ripari, la isoli, e più s’affolla. Di persone, contatti, notifiche, sirene, domande, connessioni, regole, aggiornamenti, conversazioni, uh, conversazioni complesse e irrimandabili come è irrimandabile tutto, da quando vivere è incontrarsi su Zoom e ovunque tu vada o sia, chiunque sa che hai con te almeno un dispositivo che ti rende raggiungibile da una diretta, una call, una room, una chat, e tutto quello che fai è tracciato, ci sono le spunte blu che dicono che hai letto, i pallini verdi che dicono che ci sei, i puntini di sospensione che dicono che stai scrivendo, lo schermo che si illumina quando sempronio99 ti chiede che percorso di studi hai fatto per dire quello che dici su Instagram e guai a te se non rispondi, sempronio99 sarà per forza del 99, quindi giovane. E’ tua responsabilità dimostrargli che gli adulti non se la tirano e sono connessi e distinguono il phishing dal chatting, e soprattutto è tuo dovere essere gentile ed esauriente e disponibile e solerte, non vorrai rischiare che sempronio99 ti macchi la reputation scrivendo o dicendo malissimo di te al suo uditorio di migliaia (sì, migliaia) di anonimi con i nomi finti che sembrano la stele di Rosetta e sono pieni di numeri e faccine e hashtag e asterischi, e che magari tu nemmeno lo sappia, perché lui potrebbe andare a diffamarti chissà dove, su una piattaforma che nascerà domani e che non riuscirai a controllare, perché starai ancora imparando come si accede a quella inventata ieri. L’inferno sono i social degli altri ma pure gli altri social, anzi sono due inferni distinti, e la nostra vita è un pendolo tra loro, tra inferno uno e inferno due. Qualche giorno fa è spuntato fuori un altro social, di questo passo finirà come con le macchine, tra mezzo secolo ci sarà un social pro capite, ma forse la fine del mondo verrà prima – speriamo. 

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Che vita complicata, opprimente, allertante. Più la ripari, la isoli, e più s’affolla. Di persone, contatti, notifiche, sirene, domande, connessioni, regole, aggiornamenti, conversazioni, uh, conversazioni complesse e irrimandabili come è irrimandabile tutto, da quando vivere è incontrarsi su Zoom e ovunque tu vada o sia, chiunque sa che hai con te almeno un dispositivo che ti rende raggiungibile da una diretta, una call, una room, una chat, e tutto quello che fai è tracciato, ci sono le spunte blu che dicono che hai letto, i pallini verdi che dicono che ci sei, i puntini di sospensione che dicono che stai scrivendo, lo schermo che si illumina quando sempronio99 ti chiede che percorso di studi hai fatto per dire quello che dici su Instagram e guai a te se non rispondi, sempronio99 sarà per forza del 99, quindi giovane. E’ tua responsabilità dimostrargli che gli adulti non se la tirano e sono connessi e distinguono il phishing dal chatting, e soprattutto è tuo dovere essere gentile ed esauriente e disponibile e solerte, non vorrai rischiare che sempronio99 ti macchi la reputation scrivendo o dicendo malissimo di te al suo uditorio di migliaia (sì, migliaia) di anonimi con i nomi finti che sembrano la stele di Rosetta e sono pieni di numeri e faccine e hashtag e asterischi, e che magari tu nemmeno lo sappia, perché lui potrebbe andare a diffamarti chissà dove, su una piattaforma che nascerà domani e che non riuscirai a controllare, perché starai ancora imparando come si accede a quella inventata ieri. L’inferno sono i social degli altri ma pure gli altri social, anzi sono due inferni distinti, e la nostra vita è un pendolo tra loro, tra inferno uno e inferno due. Qualche giorno fa è spuntato fuori un altro social, di questo passo finirà come con le macchine, tra mezzo secolo ci sarà un social pro capite, ma forse la fine del mondo verrà prima – speriamo. 

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Quello con cui non sarebbe male uscire a cena, se non fossero proibite le cene, con tono piuttosto serio, perché serio è il suo disorientamento, alle prime luci dell’alba del secondo giorno di Draghi presidente incaricato, ti scrive: non bastavano TRE social? Si è iscritto, su tua insistenza, a Clubhouse, la nuova piattaforma, il Twitter orale, la radio libera in streaming – e chissà quante altre epiche definizioni gli hai propinato per convincerlo, sta di fatto che gli hai detto: si parla per alzata di mano, pigi un tastino a forma di manina e l’amministratore decide se darti la parola o no, ma non è magnifico, finalmente un po’ d’ordine, di gerarchia, di vera democrazia, dai, vieni, puoi anche stare in pigiama, nessuno ti vede, al massimo ti si sente.  


Ormai tu e questo pover’uomo – così come tu e tua madre, tu e i tuoi amici, tu e i tuoi colleghi, Mentana e Celata – non parlate che di cosa succede online, ovverosia sui social network. Esiste internet oltre i social? Sì, no, forse, ma certo che sì, però il punto è che a tutto ciò che c’è in rete ci si arriva sempre da un social, al giornale da Twitter, all’Esselunga da Facebook, a Raiplay da YouTube, ad Amazon da Instagram. Il resto è modernariato, giacenza editoriale, oceano ritirato e fattosi sabbia piena di fossili tra i quali nessuno si prende più il disturbo di cercare perché tanto prima o poi arriva una paginetta su Instagram che li scopre, lustra, mette in vetrina su un account che si dice vintage anche se non si spinge oltre il 2012. 


Tu, adulta di media giovinezza, prima di giornale, radio e tv, apri WhatsApp, che gli avvocati considerano social network e quindi piazza, spazio pubblico (state ben attenti a insultare o sfottere un collega in una chat con più di due persone, perché siete querelabili anche lì, vi inchiodano con uno screenshot – evitate di farne, comunque, ché lo scrinsciottato viene avvisato e che figuraccia ci fate, poi). Apri WhatsApp e la prima cosa che vedi e con la quale ti scontri è un’orripilante fotografia che tua zia (acquisita, per carità) ti manda ogni mattina per darti il buongiorno, con sopra una frase motivazionale e un mazzo di fiori, un dolcetto, un pulcino. E poi lui, quello che se non ci fosse la pandemia probabilmente sarebbe in cucina a prepararti il caffè e invece si limita a mandartelo in gif, insieme al suo stordimento per questa nuova diavoleria di Clubhouse, ti dice anche: ma proprio adesso che cominciavo a funzionare su Instagram e avevo 800 visualizzatori fissi delle mie stories, adesso devo emigrare su un altro social, e tu sai che ha ragione, sai che vale anche per te, ma sei attraversata da un brivido che ti ricorda tuo padre e tua madre, i quali, all’inizio del lockdown, quando dovettero imparare a videochiamarti, dissero: “Ma proprio adesso che avevamo imparato il Facebook”. Ti opponi, ti sforzi di credere che non era meglio prima, che la storia ha un andamento progressivo e non regressivo, cancelli tutto ciò che Elsa Morante ha depositato in te, lo fai con dolore ma per dovere, e dici a quello là e al suo caffè in pixel: guarda che non hai capito niente, Clubhouse è un’altra cosa, non elimina gli altri, ma gli si aggiunge, è talmente diverso da Instagram che non succederà che chi sta su Instagram abbandoni per Clubhouse, bensì che starà su entrambi, come del resto è successo per tutto, a tutti.

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Tu sei su Fb, Ig, TikTok e pure Twitch, e infatti alle sette e mezza del mattino, mentre rispondi a questo maschio brontolone ma anagraficamente più giovane di te, sei raggiunta da decine di notifiche che ti fanno sapere che: su Clubhouse una decina di tuoi colleghi stanno già parlando delle consultazioni di Draghi; su TikTok qualcuno ha detto ti amo in modo molto speciale a qualcun altro; su Instagram Fedez ha principiato una diretta e stessa cosa ha fatto Grace Adler; su Facebook la madre di un tuo caro amico che ieri sera ti ha scritto che Draghi ha una calcolatrice al posto del cuore ricevendo da te un invito educato ma deciso a chiudere la conversazione, ha riaperto la conversazione; su Twitter Calenda ha già twittato che “un sostegno largo a Draghi avrebbe anche un effetto di pacificazione, che non vuol dire annullare le differenze ma ricondurle nello spazio della politica”; su Telegram un ufficio stampa di casa editrice semi clandestina ti ha già spedito un pdf di un imperdibile saggio finzionale su femminismo di destra e cyberpunk; su Twitch c’è Cattelan che gioca a un videogioco che non sai pronunciare; su Gmail ti ha scritto la commercialista.

 

Cominci da Twitch, e sai che Cattelan ci si è iscritto da poco, sentendosi persino boomber, perché gli hanno detto che lì ci sono i presentatori del futuro, quelli che gli ruberanno il lavoro, quelli che lo faranno sembrare Pippo Baudo prima dei 45, se non corre subito ai ripari. Twitch è un condominio con vista su migliaia di camere: l’utente che si connette ne sceglie una, ci entra, ed è in diretta video con il twitcher (Cattelan, per esempio) che ha la videocamera puntata addosso, e interagisce con i collegati in una chat in sovrimpressione, moderata da chissà chi, e può fare quello che gli pare, in genere videochiacchiera con altri e ci fa un piccolo talk show, oppure gioca a un videogioco, fa quella cosa che si chiama gaming e che per te è persino più noiosa della Formula uno. Una delle cose più interessanti che hai visto durante il primo lockdown è stata un’intervista su Twitch di Rovazzi a Renzi, che ammetteva di non aver mai visto “Il Padrino” – “ah, ecco”, avevi twittato, twittando la cosa. Comunque ti sei sbagliata, perché Cattelan non c’è, c’era ieri, quella notifica è vecchia.

 

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Allora vai su Clubhouse, visto che è ora di rassegna stampa in radio e tu ti sei permessa di dire che Clubhouse è come la radio, e trovi quattro stanze attive, con dentro decine di giornalisti che già discutono animatamente di come i giornali dovrebbero essere e non sono, e mentre ti dici che più che il Salone del libro di Torino ti sembra la Fiera del Libro di Roma, quella indie, un qualche stronzo, non sai ancora come, ti tira dentro, e infatti senti dire: “Ciao, Simonetta!” e allora premi immediatamente il tastone dell’iPhone ed esci da tutto, spegni tutto, sudi freddo perché sei certa che ti abbiano vista in pigiama e fascia di pile, ma poi ti ricordi che no, su Clubhouse non si vede che la tua foto profilo, quella che hai ritoccato su Instagram e che ti fa gli occhi di Monica Bellucci in “Malena”. Quindi riaccendi tutto, vai su Instagram, prima di Fedez ti viene incontro il ministro dell’Istruzione francese che salta in mezzo a dei bambini, in una palestra, per promuovere l’attività fisica e ricordare che bisogna muoversi almeno trenta minuti al giorno e realizzi per l’ennesima volta che Instagram versa in condizioni nosocomiali e ti chiedi se sia colpa della responsabilizzazione pandemica o, ancora prima, della maternità di Chiara Ferragni, ma come che sia ti appare chiaro che Instagram è pericolosamente vicino alla Cei.

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Quindi vai su TikTok, dove il mondo sembra essere fermo al 2005, tutti ballano, ridono, scherzano, non c’è stata la crisi dei mutui subprime e nemmeno la pandemia, le adolescenti e le di esse madri sono uguali, vestono con camicie a quadrettoni e preparano la colazione ballando una canzone che non conosci assumendo posizioni molto aerobiche sull’isola della cucina e allora lì sì che sei trascinata nel presente, perché ti ricordi che quello che prima facevamo nei parchi o nelle palestre, adesso lo facciamo in cucina o in balcone. Sai che per colpa di TikTok alcuni ragazzini si sono ammazzati, sai che c’è di mezzo la Cina, però sai pure che non c’è Salvini, anche se c’è stato, e allora indugi un altro po’, cerchi un video che ti ispiri una sfida, un balletto da preparare nel fine settimana, filmandoti da sola, regista di te stessa. Ma è giovedì, fino a sabato chissà che succede, pensi all’istante: leggi la mail della commercialista, ritwitti Calenda, controlli che non abbia polemizzato con la Repubblica, rispondi a tua zia con un adesivo a forma di drago, alleghi anche un cuore, metti una sveglia per prenotare il parrucchiere, sono cinque mesi che non ci vai e su Skype comincia a essere evidente, e su Instagram i filtri hanno stancato, e sì, la vita non è migliorata, le fissazioni sono le stesse ma centuplicate, perché quello che viene bene su Fb non è detto che venga bene su Twitter, se funzioni su Instagram non è detto che funzioni su Twitch, e se anche negli ultimi dieci anni i social network si sono susseguiti come per correggersi, ogni volta inventandosi un modo per migliorare, eliminare una seccatura, evitare bambini morti, adolescenti depressi, dittature intellettuali, la sola cosa che veramente hanno fatto è stata diramare e centuplicare le invasioni. E da invasi viviamo, infatti. Asserragliati ed esposti. 

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Certo, tu hai la fortuna di startene al riparo nella tua bolla radical chic, che ti porti dietro da Fb a Ig a Clubhouse (uno ti ha chiesto: mi inviti? Quanto ti sei sentita potente). Ovunque si trascinano e ripropongono le bolle e le balle, tranne che su TikTok, lì sì che uno vale uno e ai tuoi stanchi occhi l’algoritmo ha la faccia tosta di sottoporre un nativo americano che suona la marimba; un odioso seienne milanese che rimprovera sua madre per aver rimproverato sua sorella; due malvestite che parlano di abiti; un ballerino che balla la salsa con un porcellino d’India addosso, un alert che ti dice: qui potrai ispirare creatività e portare buon umore. 


Pigi il tastone che spegne tutto, accendi Radio radicale, sai che è una privilegiata exit strategy che non per sempre ti sarà concesso percorrere. 
 

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