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Spazio Okkupato

Apartheid Generation

Giacomo Papi

Una modesta proposta per mitigare i rischi di contagio intergenerazionale in famiglia e sui mezzi di trasporto

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È cosa ben triste vedere le strade e i tram affollati di ragazzi e adulti che vanno a scuola o al lavoro, mentre le sirene delle ambulanze aumentano di ora in ora e gli ospedali traboccano di malati. È cosa ancora più triste constatare come i governi nazionali, regionali e comunali non si facciano mai venire lo straccio di un’idea, ma preferiscano essere governati dall’umore prevalente, momento per momento, imponendo misure che scontentano tutti senza scontentare troppo nessuno. Chiunque sapesse trovare un metodo onesto, semplice e poco costoso, per impedire alle generazioni di infettarsi tra loro, acquisterebbe tali meriti presso la società che gli verrebbe innalzato un monumento come salvatore del paese.

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È cosa ben triste vedere le strade e i tram affollati di ragazzi e adulti che vanno a scuola o al lavoro, mentre le sirene delle ambulanze aumentano di ora in ora e gli ospedali traboccano di malati. È cosa ancora più triste constatare come i governi nazionali, regionali e comunali non si facciano mai venire lo straccio di un’idea, ma preferiscano essere governati dall’umore prevalente, momento per momento, imponendo misure che scontentano tutti senza scontentare troppo nessuno. Chiunque sapesse trovare un metodo onesto, semplice e poco costoso, per impedire alle generazioni di infettarsi tra loro, acquisterebbe tali meriti presso la società che gli verrebbe innalzato un monumento come salvatore del paese.

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Presenterò quindi, umilmente, la mia proposta che, voglio sperare, non solleverà la minima obiezione. Richiederà solo un po’ di fantasia oltre al coraggio di abbandonare per qualche mese abitudini e schemi consolidati. È ormai dimostrato che il 70 per cento dei contagi avviene in famiglia, nel luogo cioè in cui le generazioni si incontrano. La soluzione semplice, poco costosa, quasi indolore e applicabile ovunque, da Park Avenue agli slums di Ulan Bator, consiste nel non farle entrare in contatto. Se non risvegliasse sacrosante repulsioni, il progetto potrebbe avere già un nome: “Apartheid generazionale temporaneo”.

 

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Qualche mese di segregazione per fasce di età, infatti, farebbe svanire il virus evitando morti e macerie economiche che impiegheremmo anni a rimuovere. Ogni nucleo famigliare sarebbe chiamato a decidere in totale libertà con quale altro nucleo rimescolarsi sulla base delle proprie simpatie, hobby, abitudini oltre che ovviamente delle distanze e degli spazi disponibili. Per un po’ i giovani andranno a vivere con i giovani, gli adulti con gli adulti e i vecchi con i vecchi.

 

Due famiglie con due figli adolescenti e otto nonni formeranno quattro nuovi nuclei abitativi: i quattro figli si trasferiranno nella prima abitazione, i quattro genitori nella seconda, quattro nonni nella terza, gli altri quattro nella quarta. Certo, scoppierebbero liti, faide improvvise e violente, ma non molto diverse da quelle che già avvengono in ogni buona famiglia, anche senza lockdown. Andrebbero naturalmente previste variazioni in base alle situazioni ed esigenze di ognuno, risolvibili grazie a una semplice app (che potrebbe chiamarsi Apartheid Generation): per esempio sarebbe consigliabile trasferire i figli piccoli nella casa dei ragazzi più grandi che dovrebbero farsi carico della loro istruzione, nutrizione e vestizione.

 

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Un altro grande vantaggio del mio progetto – che non cede a tentazioni illiberali e preserva la democrazia – è che rimescolare temporaneamente le generazioni imporrebbe ai giovani di assumersi per qualche mese la responsabilità di prendersi il mondo sulle spalle e ai vecchi di smetterla di sentirsi immortali e insostituibili. Alla fin fine si tratterebbe di una specie di vacanza da fermi con mini traslochi di massa, da affrontare quasi come un’avventura o almeno una pausa dal tran tran della vita, in ogni caso come una temporanea liberazione da rapporti sociali, famigliari e individuali spesso soffocanti e consunti.

 

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Un analogo schema andrebbe naturalmente applicato ai trasporti, che andrebbero riorganizzati per scaglioni di età: alcuni vagoni saranno destinati agli ultrasessantenni, altri ai trenta-cinquantenni, altri ancora ai ragazzi che difficilmente, se infettati, sviluppano forme severe. Turnazioni e dislocazioni simili saranno previste anche per i luoghi di lavoro e, perché no, per ogni altro spazio pubblico. Anche per le scuole si tratterebbe soltanto di ribaltare lo schema: gli studenti si recherebbero in classe normalmente, non rinunciando alla socialità tanto necessaria all’età, mentre i professori insegnerebbero da casa grazie al computer. La scuola tornerebbe in presenza, ma in assenza di docenza. In ultimo, occorrerà farsi carico delle case di cura: gli anziani non autosufficienti dovrebbero essere affidati a medici, infermieri o badanti della stessa fascia anagrafica, ovviamente autosufficienti.

 

Ai vantaggi sanitari della riforma, si aggiungerebbero quelli sociali, culturali ed economici. I più giovani sarebbero indotti a rendersi indipendenti o quasi, o almeno a concepirsi come tali, e i genitori a concedergli libertà e fiducia. E i bambini, poverini? Essere gestiti per un periodo dai fratelli o cugini maggiori darà loro occasione di sperimentare almeno provvisoriamente la distanza di età tra le generazioni che hanno caratterizzato l’umanità per millenni. Dopo tre o quattro mesi di distanziamento generazionale il contagio si attenuerebbe e sarebbe disinnescata la possibilità di uno scontro generazionale di cui già si intravede il pericolo, così che a inizio primavera, quando si spera esisterà un vaccino, le famiglie potranno ricongiungersi più forti e affiatate di prima.

 

Il patto tra le generazioni sarà rinsaldato: i giovani saranno più consapevoli di se stessi, gli adulti più fiduciosi nei figli, gli anziani in se stessi. Sfortunatamente, è più facile andare al macello che abbandonare le strade consuete. A differenza di Jonathan Swift, che nel 1729 modestamente propose di risolvere la fame in Irlanda mangiando i bambini poveri, sono serenamente rassegnato al fatto che la presente proposta, per quanto molto meno cruenta e molto più praticabile di quella di Swift, sarà bellamente ignorata dall’opinione pubblica e dai potenti del mondo. Sono, però, ancora più convinto di prima che una politica che ignora le idee ignora le vie d’uscita.

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