PUBBLICITÁ

Se muore la Riviera

Antonio Pascale

E’ la metafora dell’Italia, che prima andava come un treno e adesso arranca. Ma c’è sempre un modo per rinascere, anche senza turismo

PUBBLICITÁ

E mi sovvien l’eterno e le morte stagioni, ecc., scriveva il nostro caro Giacomo da un colle. A me, più modestamente e con risultati immaginativi molto scarsi, seduto su una spiaggia di Rimini (quindi, come si dice, in linea d’aria, non così distante da Recanati) mi viene in mente solo l’Italia in Miniatura. Mi consolo così: non è poco, forse la mia generazione (classe 1966) ha scoperto l’esistenza della nazione e i monumenti, le città, e un minimo di geografia proprio visitando, a partire dagli anni Settanta, questo parco. Cioè, all’epoca, anche dal Sud, si veniva sulla cosa romagnola (e si visitava obbligatoriamente l’Italia in miniatura), perché si sentiva odore di Italia, e d’Europa. C’erano cose che noi, rappresentanti di una certa classe sociale (media borghesia), non avevamo mai visto. Tanti raccontavano la stessa storia: qui il turismo a partire dagli anni Sessanta ha portato ricchezza, benessere, e divertimento (ora, sempre seduto sulla spiaggia, mi ricordo dell’Aquafan di Riccione e di Fabilandia). Difatti, c’era sempre uno zio, un parente, un caro amico di famiglia che quando si accennava alla costa romagnola, chiudeva gli occhi, tirava una lunga boccata di sigaretta e sussurrava: “Eh, avreste dovuto vedere la Romagna negli anni Sessanta, altro che adesso, avreste visto la nascita dell’Italia”. Noi che in fondo eravamo negli anni Settanta, chiedevamo spiegazioni e lo zio, il parente il caro amico diceva sempre la stessa cosa: eh, allora, negli anni Sessanta, le cascanti dimore sul mare di pescatori sono diventate trattorie e altre cascanti dimore sono diventate locande.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


E mi sovvien l’eterno e le morte stagioni, ecc., scriveva il nostro caro Giacomo da un colle. A me, più modestamente e con risultati immaginativi molto scarsi, seduto su una spiaggia di Rimini (quindi, come si dice, in linea d’aria, non così distante da Recanati) mi viene in mente solo l’Italia in Miniatura. Mi consolo così: non è poco, forse la mia generazione (classe 1966) ha scoperto l’esistenza della nazione e i monumenti, le città, e un minimo di geografia proprio visitando, a partire dagli anni Settanta, questo parco. Cioè, all’epoca, anche dal Sud, si veniva sulla cosa romagnola (e si visitava obbligatoriamente l’Italia in miniatura), perché si sentiva odore di Italia, e d’Europa. C’erano cose che noi, rappresentanti di una certa classe sociale (media borghesia), non avevamo mai visto. Tanti raccontavano la stessa storia: qui il turismo a partire dagli anni Sessanta ha portato ricchezza, benessere, e divertimento (ora, sempre seduto sulla spiaggia, mi ricordo dell’Aquafan di Riccione e di Fabilandia). Difatti, c’era sempre uno zio, un parente, un caro amico di famiglia che quando si accennava alla costa romagnola, chiudeva gli occhi, tirava una lunga boccata di sigaretta e sussurrava: “Eh, avreste dovuto vedere la Romagna negli anni Sessanta, altro che adesso, avreste visto la nascita dell’Italia”. Noi che in fondo eravamo negli anni Settanta, chiedevamo spiegazioni e lo zio, il parente il caro amico diceva sempre la stessa cosa: eh, allora, negli anni Sessanta, le cascanti dimore sul mare di pescatori sono diventate trattorie e altre cascanti dimore sono diventate locande.

PUBBLICITÁ

Da Milano Marittima a Cesenatico – dicevano gli zii, i parenti i cari amici, scandendo bene e distanziando le cifre – c’erano 4.600 alberghi 600 lire tutto compreso, colazione, pranzo e cena (nel 1957 Rimini conquistò il primato nazionale delle pensioni e degli alberghi, al secondo posto Roma, al terzo Riccione 443 esercizi, escluse le locande). Si suonava, si cantava e si mangiava e si lavorava e ci si divertiva. Poi c’era la birra Löwenbräu, buonissima, che solo lì la trovavi, perché in Romagna venivano i tedeschi di Monaco e quindi, capisci? Tu vai a Rimini e vedi l’Italia, e infatti c’è anche l’Italia in miniatura. Ma mica solo quella: oh, ci sono i grattacieli, mica devi andare in America. Sì, certo, i grattacieli, altra cosa fantastica per noi, all’epoca. C’erano discussioni tra i romagnoli: che ne facciamo? Meglio la villa liberty, la bifamiliare sulla costa o il grattacielo popolare? Comunque, il primo fu a Milano Marittima (1956, data di rilascio della licenza edilizia). Appena concluso tutti gli appartamenti erano già stati in gran parte prenotati. Apprezzamento – si leggeva allora – per lo slancio, l’eleganza e la signorilità delle forme architettoniche, sobrie ed estremamente semplici, un esempio assai riuscito perché esente da eccessive pretese e complicazioni formali. Poi toccò a Cesenatico (data licenza: 1957), trentacinque piani, centoventisei, il più grande grattacielo in cemento armato d’Europa (dicono le cronache del tempo), un piano in più del Pirellone. I primi tre piani dell’edificio ospitavano negozi, bar, sale da ballo, ristoranti, sale di soggiorno e per ricevimento, a partire dal quarto e fino al nono piano, l’edificio era occupato da un modernissimo albergo (ottanta stanze con bagno), i ventitré piani restanti saranno suddivisi in 120 appartamenti. Quattro ascensori, tre rapidi con chiamata multipla e un montacarichi. Poi Rimini, anche se qui la popolazione non la prese bene. Perché, capite, Rimini una identità già ce l’aveva, altro che grattacielo. A parte il maestoso Arco d’Augusto, ma c’era il Grand Hotel, e poi Fellini. 

 

PUBBLICITÁ

A Rimini non c’erano solo racconti d’estate, ma si parlava pure dell’umidità, del buio e la nebbia dell’inverno. E della guerra! 338 bombardamenti (triste primato in Italia insieme a Cassino). L’82.02 per cento degli edifici colpiti, 400 milioni di lire di debito pubblico, disoccupazione altissima, attività economiche paralizzate, e in ciò rientrava chiaramente anche l’attività turistica ricettiva. Quindi Rimini ha faticato e si è ripresa e ora, negli anni Sessanta si raccontava: ubriaca di vita d’estate e seduta ai tavoli del caffè Commercio d’inverno. E però, tornando al grattacielo, quegli zii e quei parenti c’erano stati: d’altronde era riprodotto su centinaia di cartoline, di fianco al Tempio Malatestiano e al Ponte di Tiberio, segno distintivo della riviera: cento metri di altezza, visibile per molte miglia in mare. Ti accoglie appena arrivi in stazione ferroviaria. Se navighi è come un faro, se cammini è una bussola, e poi, dalla sommità del grattacielo si domina tutta la riviera romagnola e la costa marchigiana, fin quasi ad Ancona, e si vede il profilo degli Appennini nei giorni di luce piena. Capite? – dicevano gli zii e i parenti, andate in Riviera, salite sui grattacieli e vedrete Milano, e l’Europa anche, dal vero, in carne e ossa, non dovevi accontentarti di Giochi senza frontiere. Poi, incredibile, si scopa. C’erano quelli che a fine estate non solo conteggiavano le prede, ma attribuivano punteggi alle donne di diversa provenienza e categoria sociale che ora, sinceramente, non ricordo quando valeva una commessa di Brescia o una tedesca (comunque: pratica sgradevole, ma una certa coscienza all’epoca non era ancora venuta fuori).

 

 

Quindi adesso, per il sovvenir dei ricordi giovanili, fa effetto passeggiare sui lungomari spogli e deserti. Colpa della pandemia (si sente dire). E così, cammini e conti gli alberghi in successione, uno affianco all’altro. Guardi dentro e sono bui. Stessa cosa per i Lidi, già chiusi (non ci sono i tedeschi, si sente dire, nemmeno russi), l’orizzonte limitato per via dell’umidità. Insomma, vuoi i ricordi poco leopardiani, il senso di abbandono attorno, o perché al venire meno della densità umana si coglie meglio una certa fastidiosa densità di abitazioni, che sa di speculazione edilizia (dai tetti di Misano Adriatico si scorgono solo tetti e tetti, disordinatamente tetti), mi è sembrato di passeggiare in alcuni luoghi calabresi. Ma vuoi vedere, mi sono detto, che questa fine estate è come un presagio, la costa romagnola metafora dell’Italia, prima andava come un treno, ora arranca.

 

PUBBLICITÁ

Che si fa? O non si fa niente, o ci si mette un po’ di buzzo buono: esaminare i problemi e cercare soluzioni. Partiamo dai problemi. Dalla costa, appunto. L’erosione è così visibile. Appena hai un angolo privilegiato, può vedere che dalla tua parte ci sono cento metri di spiaggia, affianco ne vedi la metà. Che poi sembra un paradosso, la costa è necessaria al turismo e senza costa, il turismo arretra. Ma più c’è attività antropica (e metti anche le attività estrattiva di gas al largo della provincia di Ravenna) più la costa arretra e meno turismo c’è: senza sabbia non c’è mare. A proposito di sabbia. Sempre nei famosi anni Cinquanta-Sessanta, molti albergatori spedivano lettere con auguri di Natale ai propri clienti, così mantenevano i contatti. Si racconta che nel 1953 alla fiera campionaria di Milano, Umberto Bartolani, distribuì 21.000 bustine con un campione di sabbia della riviera con la scritta “riviera di Rimini, la più bella e accogliente spiaggia di Italia”. Senza sabbia niente mare. Che poi c’è spiaggia e spiaggia. Il litorale della regione Emilia-Romagna ha un’estensione di circa 130 chilometri (tecnicamente, dalla foce del torrente Tavollo, tra Cattolica e Gabicce, alla foce del Po di Goro). Spiagge basse e sabbiose, distinte per convenzione in due parti: il tratto tra Cattolica/Lido di Volano e la Sacca di Goro (parte meridionale del triangolo deltizio del Po, quindi circa .3000 ha di laguna aperta). Qui, poco turismo, ma intensa produzione ittica, soprattutto mitilicoltura. Poi secondo tratto, tra Cattolica e la foce del Po di Volano, cioè un’unica e immensa spiaggia 110 chilometri. Comunque, la regione Emilia Romagna si è data da fare, a partire dal 1981, col Piano Costa. Prima andava di moda la difesa rigida, poi si è scelto il ripascimento artificiale (le scogliere, cioè, massi rocciosi assemblati in diversi modi proteggono il lido ma spostano il problema sui litorali limitrofi, invece, col ripascimento si evitava il problema sui litorali limitrofi). Ma niente da fare, l’erosione è andata avanti, quindi si è passati prima per il “Progettone” e poi al sabbiodotto: alla fine, fatti i conti, tra il 1983 e il 2006, sono stati portati a ripascimento diverse aree di spiaggia, pari a 6,6 milioni di metri cubi di sabbia. Ah, dove si prende la sabbia? Le sabbie litoranee a disposizione erano del tutto insufficienti. Si potevano usare le cave a terra, ma costava troppo e poi metti una pezza e crei un buco dall’altra parte. E allora hanno prelevato la sabbia sottomarina (con una draga che scavava a 40 metri e a una distanza da terra di 55 chilometri). Risultato? Buono. Poco impatto ambientale e disagi pressoché nulli. Tanto che siamo già a nuovi Progettoni. 

PUBBLICITÁ

 

Comunque, ora si parla di turismo sostenibile. Se ne parla spesso, anche per l’Italia. Il turismo! Sappiamo, cosa dicono i politici, l’Italia potrebbe vivere solo di turismo. Ma non è vero, non si vive di solo turismo. Comunque, nel 2003, a Rimini è arrivato il bagnino sostenibile (meno consumo idrico, meno consumo energetico elevato, meno produzione di rifiuti, più pannelli fotovoltaici, riutilizzo acqua docce, raccolti differenziata) e sì, ha prodotto buoni risultati. Ora, si tenta di esportare questo modello all’intera regione. Meno impatto, cioè turismo diffuso. Non so se la pandemia, cambiando le carte in tavola, ha suggerito qualcosa di nuovo. Certo è che adesso, la costa romagnola è da un lato sostenibile, perché, appunto, non c’è nessuno, dall’altro insostenibile economicamente: che ne facciamo di queste centinaia di pensioni familiari (le grandi catene qui non hanno attecchito), una accanto all’altra, senza tedeschi, francesi, russi, e con pochi italiani? Come si farà, quando tutto sarà finito, a spostare i tedeschi, francesi, russi, e i tanti italiani su più fronti? Magari verso il Delta, dove la luce al tramonto è bellissima, e ci sono posti come Comacchio, delicati e strani, e un parco con fauna eccezionale, ma anche qui, stessa cosa, così delicata. Si potranno convincere i turisti a lasciar perdere la stessa spiaggia e lo stesso mare e visitare i mosaici di Ravenna, con quei colori incantevoli? E potremmo evitare di andare tutti insieme al lavoro e tutti insieme in vacanza? Così da non concentrare i flussi? Le vecchie abitudini sono dure a morire, infatti stanno riprendendo, ma in fondo Rimini può essere un esempio per l’Italia, anche adesso che appare spettrale: prove, tentativi, fallimenti, buoni risultati, di nuovo fallimenti. Tanto la vita è questo, fai un passo, ti applaudi, poi ti rendi conto che ha creato un’orma, torni a indietro, maledici te stesso, cerchi di rimodellarla e vai avanti, che poi è una maldestra parafrasi di Leopardi: Al gener nostro il fato / Non donò che il morire. Questa è la vita, la costa romagnola non fa eccezione, nasce, muore, forse rinasce, dipende anche da noi. Diciamo così, Rimini, ovvero, la costa metaforica.

PUBBLICITÁ

 

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ