PUBBLICITÁ

Tipi da Facebook

Matteo Marchesini

Leggere il ceto medio semicolto che scrive sul “social dei vecchi”, dove gli eventi si diluiscono in chiacchiere

PUBBLICITÁ

Dopo un decennio abbondante di social si continua a dire “ne parlano su Facebook” come si direbbe “l’ho visto in tv”: a conferma del fatto che ormai molte notizie date dai media tradizionali le ricaviamo indirettamente dai nostri contatti, ma anche del fatto che siamo un paese anziano e abitudinario. D’altra parte, quando si prova a misurare l’effetto di uno spazio insieme così pubblico e così privato, è difficile non ritrarsi con un senso di vertigine. Per capire davvero i modi in cui i social frammentano l’opinione pubblica bisognerebbe consacrare la vita alla sociologia. Tuttavia l’espressione di cui sopra, se usata per Facebook, esprime una verità elementare: questo “social dei vecchi”, dove anziché bruciarsi in stories, clip o battute, gli eventi si diluiscono in chiacchiere, ricorda un po’ uno spiazzo da sagra. Sotto i festoni kitsch, lingue e generazioni si mischiano e si fraintendono. C’è chi canta e chi fa comizi, chi amoreggia segretamente tra la folla e chi discute con pedanteria. I nipoti sfottono i nonni che li benedicono senza capirli, gli adulti minacciati dalla mezza età si mettono in mostra, e davanti a ogni avvenimento le tesi, le antitesi e le sintesi che Hegel spalmava sui secoli si condensano in una cena.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Dopo un decennio abbondante di social si continua a dire “ne parlano su Facebook” come si direbbe “l’ho visto in tv”: a conferma del fatto che ormai molte notizie date dai media tradizionali le ricaviamo indirettamente dai nostri contatti, ma anche del fatto che siamo un paese anziano e abitudinario. D’altra parte, quando si prova a misurare l’effetto di uno spazio insieme così pubblico e così privato, è difficile non ritrarsi con un senso di vertigine. Per capire davvero i modi in cui i social frammentano l’opinione pubblica bisognerebbe consacrare la vita alla sociologia. Tuttavia l’espressione di cui sopra, se usata per Facebook, esprime una verità elementare: questo “social dei vecchi”, dove anziché bruciarsi in stories, clip o battute, gli eventi si diluiscono in chiacchiere, ricorda un po’ uno spiazzo da sagra. Sotto i festoni kitsch, lingue e generazioni si mischiano e si fraintendono. C’è chi canta e chi fa comizi, chi amoreggia segretamente tra la folla e chi discute con pedanteria. I nipoti sfottono i nonni che li benedicono senza capirli, gli adulti minacciati dalla mezza età si mettono in mostra, e davanti a ogni avvenimento le tesi, le antitesi e le sintesi che Hegel spalmava sui secoli si condensano in una cena.

PUBBLICITÁ

 

Quando ho aperto la mia pagina ho accettato tutte le richieste di amicizia, così oggi osservo un campione di umanità abbastanza vario: radicali che forgiano sillogismi impeccabili e leghisti che scrivono “RACKETE TI AUGURO LE SS”, aforisti esperti di Herzog che propongono le ricette economiche di Hayek e “Comunisti Dialettici per Di Maio” che linkano Fusaro denunciando i complotti del Bilderberg, femministe che a partire da una modella armena ragionano sui canoni di bellezza, e ragazzoni da bar che condividendo la foto della stessa modella commentano con un “inchiavabile più della Merkel”… Però anche tra i miei “amici” prevalgono i simili, gli ipocriti fratelli, o forse dovrei dire gli scriventi del “ceto medio semicolto” di cui l’ipocrita fratello sono io. Ecco alcuni di questi tipi.

 

PUBBLICITÁ

Il letterato coatto. Appena sveglio cerca un Witz da postare. Lo vorrebbe raffinato ma anche glamour. Poi però ripiega su un libresco spirito di patata. Se in Costa Smeralda la gente si assembra nei locali mentre il Covid infuria, pubblica la prima edizione di “Sardegna come un’infanzia” e digita sopra “Infantilismi”. Oppure, sempre con allusione al contagio, nell’imminenza del voto opta per un: “Alle urne con Foscolo”, allegando un’illustrazione dei Sepolcri; L’editorialista blasé. Il suo bersaglio preferito è lo “gne gne dei moralisti”. Volendo parare in anticipo tutte le obiezioni, tende a una sintassi ciceroniana. Ha il terrore di essere preso per un ingenuo, o un invidioso, o un “poraccio” che ignora le “basi” della vita sociale. Per questo difende subito le persone di successo. Ad esempio il Briatore che dà delle “cesse” alle mogli dei poveri. “Premesso che sono sempre stato educato, e ho educato mio figlio, a valori diversi, e che non metto piede in una discoteca dai tempi di De Michelis (tempi in cui strobo e intelligenza politica andavano d’accordo)”, avvisa l’editorialista se qualcuno s’indigna, “premesso tutto ciò, mi chiedo dove vivano gli sciroccati che si scandalizzano. Tra l’altro sono pure ignoranti, se la considerano un’uscita ‘di destra’. Già Engels, nello studio sulla classe operaia inglese…”. Questa attitudine è esaltata dalla Ferragni. “Avete perso un’ottima occasione per tacere”, potrebbe dire una sua fan blasée commentando la foto dell’influencer agli Uffizi, “dato che non capite come funziona l’impresa Ferragnez. Anzi, sospetto che non capiate neanche l’estetica della grande pittura. Tra i miei contatti, non a caso, il primo a buttare merda è uno che porta la felpa sopra la camicia e che nel 2008 provò a rimorchiarmi a un meetup (dove ero stata TRASCINATA, obviously)”; Il memologo, o della razza delle zie di Proust.

 

Se l’ironia dei quarantenni è ancora quella di Spinoza.it, e i ventenni dànno una versione dadaista dello shitposting, lui è un trentenne sensibilissimo al rischio di “cringe”. Alla nuda espressione di un’idea sovrappone talmente tanti filtri gergali da risultare non meno esoterico e comico di Céline e Flora, le zie che nella “Recherche” rendono indecifrabili i ringraziamenti a Swann nascondendoli dietro una nebbia di allusioni. Tra boost e trigger, i post del memologo sono così sofisticati che al confronto “Finnegans Wake” sembra Enzo Biagi. Se una sua ex ragazza svilisce la loro storia, piazza un Krusciov con la didascalia “gaslighting”. “Io che spiego a Pasolini come si distingue CasaPound” chiosa pubblicando l’immagine di due hipster identici, salvo per il fatto che uno stringe un manganello. A volte spera di arrivare al comunismo per via semiologica, poi prevale l’amarezza: “Late capitalism: io che a Termini parlo di rivoluzione, e Google che un’ora dopo mi consiglia ‘Gramsci cimitero Testaccio’ ”; I veraci. Si tratta di boomer, ma non solo, che scambiano i rapporti su Fb per quelli reali, e al tempo stesso sono le prime vittime dello sdoppiamento. Riempiono gli sfondi colorati di commenti atroci o grotteschi. Ma chi scrive “Oggi sono tutti in vendita o idioti. Che ci faccio qui io, uomo della civiltà di Nenni e Olivetti?” è di solito un signore mite e per nulla arrogante. E’, anche, la prova vivente che su Fb si ripropone l’opposizione proustiana tra io profondo e io sociale: il soggetto che pubblica un post-invettiva sembra non avere nulla a che fare con quello che subito dopo alza gli occhi dallo smartphone e domanda dolcemente ai famigliari cosa c’è per cena.

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ