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Sapore di Covid

Jerry Calà: "La mia Sardegna era da doppia libidine. Briatore? Non si può gioire per una malattia"

Francesco Palmieri

Intervista con l'attore icona degli anni '80. "Occhio a Cortina, porteranno il coronavirus anche lì”

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Se c’è una differenza più di altre fra “noi e loro”, cioè tra chi viveva – prima di recitarli – film come “Sapore di mare” e i giovanissimi di adesso, sta tutta nella storia con la “esse” minuscola, quella piccola di ognuno. “Noi andavamo in discoteca per rimorchiare, ridere, formare compagnie”. E “loro”? “Loro vanno nei locali per far vedere che ci vanno. Per mostrarsi al tavolo e contare i like”: Jerry Calà, terminati gli spettacoli estivi, la racconta così mentre si rilassa nella sua casa di Verona. E se così la racconta lui, icona poi interminabilmente divo di quegli anni Ottanta, con mezzo secolo di carriera, bisogna credergli più che a un sociologo. Tutto conosce di quel mondo tranne il sentito dire ed è persino difficile capire se lo abbia più vissuto o rappresentato. “Adesso questi ragazzi stanno ai tavoli a stappare bottiglioni più grandi di loro, per cui si ubriacano troppo presto e lo sballo si mangia il divertimento. Anzi, a dirla tutta mi pare che neanche si divertano tanto”. 

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Se c’è una differenza più di altre fra “noi e loro”, cioè tra chi viveva – prima di recitarli – film come “Sapore di mare” e i giovanissimi di adesso, sta tutta nella storia con la “esse” minuscola, quella piccola di ognuno. “Noi andavamo in discoteca per rimorchiare, ridere, formare compagnie”. E “loro”? “Loro vanno nei locali per far vedere che ci vanno. Per mostrarsi al tavolo e contare i like”: Jerry Calà, terminati gli spettacoli estivi, la racconta così mentre si rilassa nella sua casa di Verona. E se così la racconta lui, icona poi interminabilmente divo di quegli anni Ottanta, con mezzo secolo di carriera, bisogna credergli più che a un sociologo. Tutto conosce di quel mondo tranne il sentito dire ed è persino difficile capire se lo abbia più vissuto o rappresentato. “Adesso questi ragazzi stanno ai tavoli a stappare bottiglioni più grandi di loro, per cui si ubriacano troppo presto e lo sballo si mangia il divertimento. Anzi, a dirla tutta mi pare che neanche si divertano tanto”. 

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Non sembri un discorso da vecchi quel “ci divertivamo meglio”, anche se riguarda un’Italia così diversa e propensa a fare dei suoi personaggi maschere, più incline a sorridere di loro che a odiarle, su un filo che correva dai film dell’estate agli snobbati cinepanettoni, da Forte dei Marmi a Cortina, da Ferragosto a Natale, dalla bellezza in costume al cumenda impellicciato. “E’ che a noi non fregava niente degli altri. Importava di noi”, dice Calà. “Ora è il contrario. Io li guardo quando sto sul palco. E mi sorprendo: certe volte perché così giovani sanno a memoria le canzoni di Battisti, dei Nomadi e dell’Equipe 84. Altre volte mi sorprendo perché ognuno smanetta sul suo smartphone. Invece di parlare con gli altri, posta il racconto di una serata che non sta vivendo. Per far sapere che lui è lì, per raccontarlo, si sta perdendo la storia che racconta. Un presente divorato da se stesso”.

 

E’ la presenza-assenza tra la vita e un wi-fi che spegne il divertimento e vira qualche volta in odio: adesso è la Sardegna o il Covid di Flavio Briatore, per cui qualcuno ha pure esultato. “Ma come fai a gioire per una malattia? Neanche del peggior nemico… Le opinioni sono una cosa, gli hater un’altra. Mica dico sia tutta colpa dei social, li uso anch’io non solo per lavoro. Nei giorni della quarantena mi piaceva comunicare con gli altri, curiosare nelle case via Instagram, sapere come se la stavano passando. Non diciamo: ‘Maledetti social!’. Piuttosto, hai presente certe signore raffinate? Che le vedi principesse, ma poi al volante se al semaforo non parti subito cominciano a tirare parolacce micidiali. Meglio ignorare. O se qualcuno insulta rispondere con educazione: quello si scioglie, rettifica, non s’aspettava la replica”.

 

Calà conosce il Billionaire: “Ci girai ‘Vita Smeralda’ nel 2006 e in una scena appare anche Flavio. Peccato che non fu capito, perché era quasi un docufilm che anticipò di qualche mese lo scandalo di Vallettopoli. E descriveva un mondo già molto cambiato rispetto agli anni Ottanta: credo di avere raccontato bene quel nuovo tipo di vacanza che ha partorito le successive, quando ormai s’andava in Sardegna per far business, da cacciatori e cacciatrici di opportunità. Non più per divertirsi ma a ‘inciuciare’”.

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Lui ce l’ha con chi getta la croce sulla regione per il coronavirus: ancora a Ferragosto Jerry fu fotografato a Porto Rotondo con Marco Travaglio. (“Un caso: me l’ha presentato Umberto Smaila. Non abbiamo parlato ma cantato: gli riesce bene ‘I migliori anni della nostra vita’”). “La Costa Smeralda era Covid free… Sono stati i turisti a portare i contagi, ma sai quali? Quei vacanzieri che avevano già fatto tappa a Ibiza, Formentera o Mykonos. Quei figli di papà cui i papà non hanno saputo dire: quest’anno stai tranquillo in Italia, mica per nazionalismo ma per buon senso. Macché, hanno dovuto replicare il ‘giro delle sette chiese’ come se niente fosse. La Sardegna è stata la loro penultima tappa”. E l’ultima? “Cortina, ovviamente. Occhio a Cortina, porteranno il Covid anche lì”.

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