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La Sardegna di Briatore è un'impostura. Ma la guerra ai giovani non ha senso

Gianmaria Tammaro

“Essere ragazzi è tenere aperto l’oblò della speranza anche se il mare è cattivo”. Enrico Vanzina racconta la Roma in vacanza di calciatori e soubrette, quella dei suoi film. Le accuse alla movida e quei vecchi che fanno un po' rabbia e un po' tenerezza

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“Negli ultimi anni i vecchi sono diventati la maggioranza. E l’ago della bilancia dell’atavica lotta generazionale si è spostato verso la parte più anziana della popolazione”. Il quadro che Enrico Vanzina – scrittore, sceneggiatore, regista, produttore e giornalista, classe 1949 – traccia è un quadro preciso, anche se avvolto da una fitta coltre di dubbi e di incertezze. Nei suoi film, da “Sapore di mare” diretto del fratello Carlo fino al più recente “Sotto il sole di Riccione” distribuito da Netflix, c’è un ritratto intelligente e soprattutto sincero di quella che è la realtà. “I giovani, oggi, sono stati messi all’angolo. E l’opinione pubblica si è polarizzata unicamente su quello che dicono i più grandi”.

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“Negli ultimi anni i vecchi sono diventati la maggioranza. E l’ago della bilancia dell’atavica lotta generazionale si è spostato verso la parte più anziana della popolazione”. Il quadro che Enrico Vanzina – scrittore, sceneggiatore, regista, produttore e giornalista, classe 1949 – traccia è un quadro preciso, anche se avvolto da una fitta coltre di dubbi e di incertezze. Nei suoi film, da “Sapore di mare” diretto del fratello Carlo fino al più recente “Sotto il sole di Riccione” distribuito da Netflix, c’è un ritratto intelligente e soprattutto sincero di quella che è la realtà. “I giovani, oggi, sono stati messi all’angolo. E l’opinione pubblica si è polarizzata unicamente su quello che dicono i più grandi”.

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Ma i giovani sono cambiati?
“Io penso che lo stato della gioventù non cambi mai. C’è questa bellissima frase di Bob Dylan che dice: essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza anche quando il mare è cattivo”.

 

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Facendo così, però, c’è pure il rischio di bagnarsi.
“In questo momento c’è una specie di persecuzione, molto politicamente corretta, contro la movida e i ragazzi. E invece è questo che significa essere giovani: tenere aperto l’oblò della speranza anche nei momenti più difficili”.

 

La pandemia non è finita.
“E ci sono delle ragioni sensatissime di allarme e di premura. Ma è vera anche un’altra cosa: i vecchi hanno dimenticato cosa voglia dire essere giovani, cosa voglia dire vivere, cosa sia la speranza”.

 

Certe cose ritornano. E il suo cinema ha anticipato i tempi.
“Non si anticipa niente quando si scrive un film. Ci si guarda attorno, si studia la realtà, quello che succede. Effettivamente fa una certa impressione rivedere un film come Fratelli d’Italia, con Christian De Sica, Jerry Calà e Massimo Boldi. Ma quello che c’era allora, alla fine degli anni ‘80, c’è anche oggi. C’è stata sicuramente una corsa delle classi più popolari a una vita più ricca e agiata. Una cosa che era ridicola e che rimane ridicola”.

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La Sardegna è passata da Terra Promessa a terra di tutti.
“Ma resta un posto meraviglioso, io la adoro, e non solo per gli italiani. Adesso è stata colpita duramente dal coronavirus, come sono state colpite tante altre zone. Negli ultimi anni si è trasformata. Con l’arrivo degli americani e dei russi, ha assunto una dimensione fuori luogo”.

 

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In che senso?
“La bellezza della Sardegna risiede nella sua semplicità. Alcune parti della regione sono state trasformate in enormi teatri di posa. E un po’ ti passa la voglia di andarci. Pensi alla Sardegna di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto di Lina Wertmuller: è irreale, pazzesca. E tutto questo è stato ricoperto da locali, alberghi, scenografie esagerate”.

  

È diventata irriconoscibile?
“C’è stato uno stravolgimento improvviso, lontano dalle realtà di una volta, che ha reso tutto finto. Adesso si insegue qualcosa che non esiste, qualcosa che si trova sui giornali scandalistici, urlato, ripetuto: i calciatori, le soubrette, i miliardari. Qualcosa che, ecco, non va”.

 

Nei suoi film tutto questo c’era già.
“Chi fa la commedia fotografa il presente. Abbiamo raccontato quello che c’era. Quando parli di qualcosa con ironia non la stai sposando, ma la stai criticando. La commedia è sempre un’istantanea di un momento particolare, che non aderisce mai al racconto in sé”.

 

Che mondo è questo in cui viviamo?
“Uno in cui tutti difendono il loro posto, la posizione che hanno guadagnato. I vecchi vogliono comandare, e vogliono farlo da soli. E questo è sbagliato. Picasso diceva che per diventare giovani serve molto tempo. La prima volta che ho letto questa frase sono rimasto molto colpito. Ora, però, la condivido”.

  

Perché?
“Perché anche io, da pochi anni, sono diventato giovane. E ho capito che i giovani sono migliori di noi, e lo sono senza saperlo. Fargli la guerra è insensato”.

  

I giovani non hanno nessuna colpa?
“I giovani crescono nell’ambiente in cui nascono, con i consigli e gli insegnamenti che gli vengono dati, nella scuola e nella famiglia. E hanno una grande forza a loro disposizione: possono ribellarsi”.

 

Questi, però, non sembrano essere sul punto di farlo.
“Sono un po’ mosci, è vero. Ma non credo che il loro sia disinteresse. Se non ci sono più persone pronte a fare la rivoluzione, siamo davvero nei guai”.

 

Chi sono, oggi, i giovani?
“Sono sicuramente più spaventati, sicuramente più protetti. Ma la struttura dei sentimenti e dei valori non è cambiata, e questi ragazzi hanno trovato la loro strada: sanno altre cose, ma le sanno. E io scommetto su questo nuovo modo di vivere”.

 

Lei va controcorrente.

“Lo so, ma non sono contro i vecchi: non completamente. Io li vedo, i vecchi, quelli della mia generazione, e a volte, lo confesso, mi fanno tenerezza”.

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