PUBBLICITÁ

La rieducazione sentimentale

Simonetta Sciandivasci

Volevamo fare l’amore e la rivoluzione. Ma il fuoco che s’è acceso è stato, per l’ennesima volta, quello del focolare

PUBBLICITÁ

Divorziati, disgiunti, solinghi, profondissimi, quieti, essenziali, concreti, romantici, responsabili, gentili, caldi, rispettosi. Così immaginavamo che saremmo diventati, a clausura finita e pandemia domata o almeno ridotta a epidemia, quando stavamo in casa come clarisse e potevamo uscire soltanto come certosini, poche ore di spaziatura a settimana in tutto, entro un certo raggio di metri dal portone, a meno che per comprovate esigenze lavorative non fossimo richiesti altrove, dove la vita sempre è. Dicevamo che l’isolamento, comunque lo stessimo trascorrendo – in famiglia tradizionale, ristretta, allargata, mononucleare, bipolare – ci avrebbe fornito una complessa, rigenerante, disintossicante educazione sentimentale, e tanto ne eravamo convinti che ci allenavamo, scrivendo agli amanti passati, trapassati, remoti, oppure a quelli soltanto sognati, agognati distrattamente, infittendo l’agenda della fase 2 di appuntamenti con semiconosciuti o proprio sconosciuti. Traboccavamo di propositi, desideri, voglie, rivoluzioni. Volevamo tutto, tutti, anche i vicini di casa. Non vedevamo l’ora di mettere fiori nei nostri cannoni. Ci dicevamo, con grande divertimento e soddisfazione, che tutte le rassicuranti noiose autoctone alle quali eravamo state preferite, specie da certi neo femministi figli di alcuni audaci in tasca l’Unità, sarebbero state abbandonate, mollate a fine quarantena o forse addirittura prima, e ce le saremmo ritrovate, sole e tetre, spoglie e disadorne, per niente competitive, a vagolare su Tinder, proprio loro che prima del virus se ne dicevano schifate essendo persone salde, forse pure all’antica e con un certo orgoglio, ma ormai irrimediabilmente in ritardo, poiché nel mondo rieducato dal Covid su Tinder immaginavamo che ci si sarebbe scambiati informazioni, si sarebbero preparate sommosse internazionali contro il patriarcato e certi regimi oppressivi. D’altronde, quando la pandemia non era ancora pandemia ma l’Oms diceva che probabilmente lo sarebbe diventata, e tutti volevamo sapere di più dai cinesi che però non dicevano molto, e infatti la rabbia e il sospetto contro di loro aumentavano, certi americani avevano trovato la maniera di intercettare i cittadini di Wuhan su Tinder, che pure laggiù è bandito, e avevano domandato loro come fosse davvero la situazione, scoprendo peraltro che i cittadini di Wuhan stavano facendo lo stesso, avevano trovato un modo per usare Tinder, aggirando le restrizioni di Pechino, e chiedevano agli occidentali se quello che raccontava loro il governo combaciasse con quello che il resto del mondo sapeva.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Divorziati, disgiunti, solinghi, profondissimi, quieti, essenziali, concreti, romantici, responsabili, gentili, caldi, rispettosi. Così immaginavamo che saremmo diventati, a clausura finita e pandemia domata o almeno ridotta a epidemia, quando stavamo in casa come clarisse e potevamo uscire soltanto come certosini, poche ore di spaziatura a settimana in tutto, entro un certo raggio di metri dal portone, a meno che per comprovate esigenze lavorative non fossimo richiesti altrove, dove la vita sempre è. Dicevamo che l’isolamento, comunque lo stessimo trascorrendo – in famiglia tradizionale, ristretta, allargata, mononucleare, bipolare – ci avrebbe fornito una complessa, rigenerante, disintossicante educazione sentimentale, e tanto ne eravamo convinti che ci allenavamo, scrivendo agli amanti passati, trapassati, remoti, oppure a quelli soltanto sognati, agognati distrattamente, infittendo l’agenda della fase 2 di appuntamenti con semiconosciuti o proprio sconosciuti. Traboccavamo di propositi, desideri, voglie, rivoluzioni. Volevamo tutto, tutti, anche i vicini di casa. Non vedevamo l’ora di mettere fiori nei nostri cannoni. Ci dicevamo, con grande divertimento e soddisfazione, che tutte le rassicuranti noiose autoctone alle quali eravamo state preferite, specie da certi neo femministi figli di alcuni audaci in tasca l’Unità, sarebbero state abbandonate, mollate a fine quarantena o forse addirittura prima, e ce le saremmo ritrovate, sole e tetre, spoglie e disadorne, per niente competitive, a vagolare su Tinder, proprio loro che prima del virus se ne dicevano schifate essendo persone salde, forse pure all’antica e con un certo orgoglio, ma ormai irrimediabilmente in ritardo, poiché nel mondo rieducato dal Covid su Tinder immaginavamo che ci si sarebbe scambiati informazioni, si sarebbero preparate sommosse internazionali contro il patriarcato e certi regimi oppressivi. D’altronde, quando la pandemia non era ancora pandemia ma l’Oms diceva che probabilmente lo sarebbe diventata, e tutti volevamo sapere di più dai cinesi che però non dicevano molto, e infatti la rabbia e il sospetto contro di loro aumentavano, certi americani avevano trovato la maniera di intercettare i cittadini di Wuhan su Tinder, che pure laggiù è bandito, e avevano domandato loro come fosse davvero la situazione, scoprendo peraltro che i cittadini di Wuhan stavano facendo lo stesso, avevano trovato un modo per usare Tinder, aggirando le restrizioni di Pechino, e chiedevano agli occidentali se quello che raccontava loro il governo combaciasse con quello che il resto del mondo sapeva.

PUBBLICITÁ

Traboccavamo di propositi, desideri, voglie, rivoluzioni. Volevamo tutto, tutti, anche i vicini di casa. Non vedevamo l’ora


 

Abbiamo sognato a lungo – meglio, lo abbiamo creduto possibile – un radicale cambiamento dei costumi, una sfilata che inaugurasse una nuova estate su un vecchio litorale, sentendoci spossati da tutto e per tutto (lettura, politica, vecchi film, sport) tranne che dall’idea di nuove conquiste (e dal panificare e fare cruciverba, a onor del vero), nuove etiche e nuove morali, forse semplificate, ma di certo più libere, più assennate. Mentivamo? Simulavamo? Giocavamo? Le strade sono piene di gente che sta in mascherina così come ci stava prima: appesantita e trafitta dall’altro, da quello che ha in casa così come da quello che incontra fuori, in fila, una delle decine di file in cui a ciascuno tocca assieparsi, tutti stanchi come se quella nostalgia così profonda e mozzafiato per gli abbracci non l’avessimo mai provata. Anzi.

 

Lo spazio personale, ossessione del pre-covid, quando il contatto era tanto indesiderabile da essere contingentato da circolari, disposizioni contrattuali e hashtag scarlatti, non ci è mai stato tanto caro. Sono tornate le crociate del mondo di prima per la tutela della nostra incolumità a partire dalla silhouette che l’istinto costruisce intorno a ciascuno di noi e che appunto chiamiamo spazio personale (centimetri inviolabili intorno al nostro corpo, e chi li viola è un molestatore). Le ragioni di prima erano pressoché filosofiche ed emancipazioniste: toccare l’interlocutore, specie se donna, era azione prevaricatrice, soverchiante e paternalistica. L’Atlantic scrisse una volta che Trump era un bullo perché toccava troppo i suoi interlocutori e Trump, dal canto suo, quando Biden era stato accusato di prendersi troppe confidenze con le sue colleghe, di abbracciarle, toccarle in testa, prenderle per mano senza mai chiedere loro “posso?”, lo prese in giro per giorni, dandogli del toccone. Per noi mediterranei la questione non era dirimente, ma ci chiedevamo se stavano ponendosi le basi per un futuro nel quale non ci si sarebbe scontrati mai perché nessuno si sarebbe incontrato più. Non eravamo propriamente dilaniati dalla prospettiva. Sai quanta fatica e disturbi in meno: lo pensavamo con lo stesso liberatorio cinismo con cui abbiamo venerato, in quarantena, le boutade di Vincenzo De Luca, specie quando si diceva dispiaciuto perché “da noi non esistono metodi terapeutici come la fucilazione”. Quando è arrivato il covid e ci ha spediti tutti a casa con ordinanza cautelare, siamo stati gli stessi che hanno pianto, tremato, sentito l’insopprimibile desiderio di calore, incontri, pacche, strette di mano, baci, limoni, sesso occasionale, e che però hanno applaudito al governatore terminator, alle sue minacce rivolte a chiunque indugiasse anche solo nel passeggiare. Soffrivamo il distanziamento sociale tanto da cantare Eros Ramazzotti insieme al vicino di casa che odiavamo più dei call center, eppure ci appostavamo alla finestra per denunciare eventuali fuorilegge assembrati. E adesso?


Nelle case di tutti è andato in scena quello spettacolo, e che alle pezze e ai fornelli ci fossero donne o uomini non è stato importante


 

PUBBLICITÁ

Negli Stati Uniti le vendite di armi non sono mai state così numerose come negli ultimi tempi, le persone si sentono insicure a causa del virus, temono tanto la polizia quanto le rappresaglie contro la polizia dopo l’omicidio di Loyd, intuiscono che il clima ferve, continuerà a farlo a lungo, e preferiscono poter fare affidamento su sé stessi per difendersi. Il New York Times ha scritto che ormai ogni giorno, da qualche parte negli Stati Uniti, c’è almeno una discussione sull’indossare le mascherine che degenera in un’aggressione. Per moltissimi americani, le mascherine sono inutili bavagli e insopportabili restrizioni della loro libertà personale.

 

Poche settimane fa, a Roma sono scesi in piazza un buon numero di persone che sostenevano che il virus è un’invenzione, un complotto per mandare all’aria l’economia e fornire così la scusa ai poteri forti di succhiare altri soldi dei contribuenti (vista la lucida obiezione, sarebbero stati tantissimi anche se fossero stati in tre, e comunque erano più di tre). La rieducazione sentimentale del Covid ha certamente fallito in questo: assennarci. I fessi paranoici sono rimasti fessi paranoici, forse hanno perfino proliferato. La medaglia alla resistenza (attiva, passiva, di mediotermine e di lungo corso) va certamente alla famiglia, vera araba fenice italiana, che non solo ne è uscita identica e per niente smagliata, ma pure parecchio rivalutata, desiderata, ambita.


Il Covid ha certamente fallito in questo: assennarci. I fessi paranoici sono rimasti fessi paranoici, forse hanno perfino proliferato


 

Prima che l’Italia avviasse la grande riapertura, il 4 maggio, Giuseppe Conte aveva fatto l’ennesima conferenza stampa per dirci che eravamo liberi di visitare i nostri congiunti, facendoci drammaticamente e inequivocabilmente capire che d’uscire dal recinto ancora non se ne parlava e non se ne sarebbe parlato a lungo, e tanto valeva farci bastare l’esistente, o al massimo recarci dall’usato sicuro, peraltro più facile da monitorare ed eventualmente sanificare. Avevamo reagito con gran cipiglio, e un’indignazione arricchita da troppe parodie per essere vera, e infatti veramente sentita non era: ci stava bene così, un altro mesetto solo da e con zia, mamma, nonna, cugina, fidanzata stabile, nessuno. Naturalmente, avevamo fatto di tutto per dire il contrario, che non ci stava affatto bene, e che il governo aveva un’idea troglodita delle relazioni, e che non si rendeva conto che gli italiani, i grandi amori, non li intrattengono certo con i congiunti, ma con i clandestini, quelli con cui si dicono che è tutto un attimo da un tempo che dura più dei rispettivi matrimoni, ma che è un tempo disarcionato da funzioni e ruoli, e quindi eterno, e mai sciupato. Mentivamo. Tutta quella fretta di riparare dai disgiunti, se pure in casa o fuori casa ne avevamo fin sopra i capelli di parenti e serpenti, non la avevamo davvero, e i dati Istat lo confermano: ad aprile gli italiani che parlavano in termini negativi della reclusione domestica in famiglia erano l’otto per cento, i single avevano messo via la voglia di fare l’amore nel 96 per cento dei casi, e il 62 per cento di noi ha potenziato i contatti con genitori, nonni, e affini tramite Zoom, Skype, telefono, urla al balcone. E noi che ci illudevamo che sarebbero saltati matrimoni, coppie storiche, relazioni semoventi, che figli impigriti e choosy sarebbero partiti alla volta dei mari (nazionali), che i maschi si sarebbero disinibiti e le donne ne avrebbero giovato. Era proprio aprile quando Ester Viola ha scritto su Harper Bazaar: “Chi se la passa meglio? La coppia moscia. Quella che da tempo non s’interroga sulla qualità del sentimento e lo stato dell’unione, che va d’inerzia, d’amante, sopravvive per comodità, quella che ha acceso i ceri al dio del quieto vivere. E’ tutto come prima della pandemia, chi in una stanza, chi nell’altra, poco amore ma sempre molto cordiale. Avranno capito la lezione, che andrà tutto bene, nel senso che tocca farcelo andare”. La famiglia italiana è ancora la ragione per cui Vittorio Gassman e Fanny Ardant, ne “La Famiglia”, restano amanti, e si rimpiangono per tutta la vita, e a un certo punto si chiedono di prendersi a schiaffi, per favore, dammi uno schiaffo. Su Tinder non troverete le lievi ben piazzate con le quali siete state sostituite dai vostri ex fidanzati che durante il lockdown scrivevano a voi: quelle sono rimaste dov’erano, ché visti i tempi di magra che ci si prospettano, essendo più rassicuranti di voi, a quelli là rimangono più comode. Perché mai una pandemia avrebbe dovuto destrutturare e disarticolare i vecchi comfort? E perché mai dovremmo andare incontro all’ignoto proprio adesso che potrebbe essere infetto, se non lo facevamo prima, quando non era altro che ignoto?

 

Chi aveva l’amante è tornato dall’amante, in certi casi con precauzioni ulteriori, e specificando di aver ritrovato la passione coniugale, e non è che ti fai bizzarre idee, mi dispiace ma devo andare, il mio posto è là. Ci siamo guardati di più, è vero. Ma gli occhi delle sconosciute e degli sconosciuti, che peraltro ora incontriamo di rado, impegnati come siamo tutti a seguire i tracciamenti di Immuni, non valgono e non hanno valso mai lo spettacolo intimo del congiunto che prima incontravamo solo una volta al giorno, per cena, con la camicia o i tacchi che gli uscivano dalle orecchie, e i colleghi che gli rimbombavano ancora nella testa, e che invece ora vediamo lavorare in tuta in salotto, almeno tre volte a settimana, spolverare, caricare la lavatrice, stirare, cucire. “Tutte le donne, così solenni nelle loro piccole imprese, lo divertivano, lo trascinavano d’impeto a vedere all’improvviso il mondo scivolar via in virtù di questa seriosità nel fare le piccole cose fisiche: sbottonare, stirare, prendere il sole, cucinare. Il mondo era tenuto insieme da questi atti”. Scriveva così John Updike in “Coppie”, parlando di un adultero, che però non nell’adulterio s’innamorava delle sue amanti, ma quando le vedeva curare la casa, vincolarsi al concreto, al terreno, al pavimento, alle mensole. Nelle case di tutti è andato in scena quello spettacolo, e che alle pezze e ai fornelli ci fossero donne o uomini non è stato importante, ma il fuoco che s’è acceso è stato, per l’ennesima volta, quello del focolare. E chi all’inizio ha vacillato, poi non ha vacillato più: le lettere alle poste del cuore si sono riempite di febbrili racconti di ritrovamenti di coniugi, che se non hanno fatto sesso perché temevano di traumatizzare i figli di certo hanno parlato, si sono tenuti per mano, e hanno così deciso di tenersi quello che avevano, come è sempre stato e come sempre sarà.


E noi che ci illudevamo che sarebbero saltati matrimoni, coppie storiche, relazioni semoventi, i figli impigriti e choosy 


Le altre relazioni, quelle pericolose e soltanto pensate, proseguono con spavalda ipocrisia: ci si dice che ci si vedrà, ma certo che sì, non appena sarà possibile andare a Bora Bora andremo a Bora Bora, tesoro, non vorrei mai incontrarti in uno squallido bar tra Termini e Repubblica, né tra il Colosseo e l’Ara Pacis, dai, con tutti quegli italiani rumorosi e guardoni di mezzo. Gli incontri promessi in quarantena che sono realmente avvenuti hanno avuto bizzarri esiti: alcune si sono sentite proporre di imbastire relazioni amicali improntate a dibattiti sulla cinematografia statunitense con particolare focus su Billy Wilder perché sai: tengo famiglia, non posso tradire, non adesso. E quelle, naturalmente, hanno detto ancora un altro sì, certe che l’uomo disamorato sia ancora il meglio armato, e quindi il più appetibile. Max Gazzè aveva ragione prima e ha ragione anche adesso: “L’uomo che ama si dibatte in un lago salato asciugato dal sole e non prega ma danza, silenziosa presenza agitata che nessuna musica nota. Ci spiega perché un suono è speranza ma quest’uomo la nega e appigliandosi invano a un amore pensato, annega”. Annegati pochi, forse addirittura nessuno: all’amore pensato in pandemia abbiamo opposto strenua, efficace, prevedibile resistenza, non appena la vita è tornata a vivere.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ