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Il rinvio della Cop26 è un’opportunità per educare gli apocalittici del clima

Umberto Minopoli

Le Cop dell’Onu si sono esposte ad annuali, impietosi e frustranti esibizioni di fallimenti ed impotenza e il Covid-19 ha dimostrato che le emissioni di CO2 le abbatte solo il lockdown dell’economia

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Negli spazi dello Scottish Events Campus a Glasgow, avrebbe dovuto riunirsi a novembre la Cop26, ma proprio in questi spazi si sta allestendo un ospedale da campo per curare i pazienti effetti da Covid. Era inevitabile il rinvio della Conferenza sul clima: la crisi pandemica impone la sua priorità. Ma il 2021 come nuova data sarà solo tempo perso se i governi e il climatismo non ne approfittano per qualche opportuna presa d’atto e qualche revisione di obiettivi e programmi.

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Negli spazi dello Scottish Events Campus a Glasgow, avrebbe dovuto riunirsi a novembre la Cop26, ma proprio in questi spazi si sta allestendo un ospedale da campo per curare i pazienti effetti da Covid. Era inevitabile il rinvio della Conferenza sul clima: la crisi pandemica impone la sua priorità. Ma il 2021 come nuova data sarà solo tempo perso se i governi e il climatismo non ne approfittano per qualche opportuna presa d’atto e qualche revisione di obiettivi e programmi.

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Dopo il fallimento del vertice di Madrid (dicembre 2019), la prossima Cop scozzese avrebbe registrato lo stesso esito di tutte le conferenze mondiali sul clima, dalla Cop21 di Parigi del 2015: un sostanziale fallimento dell’obiettivo di un programma, concordato e vincolante per i governi di politiche di mitigazione climatica (come vengono un po’ impropriamente e velleitariamente definite). A roboanti, solenni e accalorate lamentazioni sull’emergenza del clima, allarmi per il 2050 che si avvicina, avrebbe fatto seguito la consueta e sostanziale inconsistenza, vaghezza ed evanescenza di impegni e risultati misurabili ed esigibili. Da quando (non era indispensabile che fosse così) il parametro delle emissioni di CO2 è stato elevato ad esclusiva misura della transizione energetica sostenibile, persino con prevalenza sulla lotta agli inquinanti ambientali effettivi, le Cop dell’Onu si sono esposte ad annuali, impietosi e frustranti esibizioni di fallimenti ed impotenza: le emissioni di CO2 si ostinano ad aumentare e a mostrarsi rigidamente ancorate a una legge che, a questo punto, appare di natura: calano solo in presenza di recessione, stalli produttivi e caduta drastica dei consumi energetici. Il Covid lo ha mostrato in modo spietato: le emissioni di CO2 le abbatte solo il lockdown dell’economia.

 

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I governi dei paesi industrializzati sono impegnati a definire il più grande programma di recovery economica dei tempi moderni. Nessuno può, realisticamente, aspettarsi che esso non entri in conflitto palese con impegni sulla decarbonizzazione troppo scolastici, troppo vincolanti nei tempi, nelle scadenze e nelle modalità di realizzazione. Non ci si illuda che un’auspicabile sconfitta di Donald Trump a novembre cambi il quadro. Nessun leader americano potrebbe sostenere le versioni radical e millenaristiche del green new deal e della decarbonizzazione hard entro il 2050. Il rinvio della Cop26 può essere, invece, un’ottima occasione per ripensare, in modo realistico ed efficace, alla transizione sostenibile. Abbandonando velleità, luoghi comuni, conformismi verbali nella declamazione degli obiettivi del climatismo, letteralmente insostenibili per le economie del mondo. Crescerà solo la frustrazione e l’impotenza se i governi del mondo non avranno il buonsenso di liberarsi dalle angosce del 2050 e dall’incubo della CO2 e della decarbonizzazione hard e irrealistica.

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