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"La terribile serata dei César"

Giulio Meotti

I moralisti miserabili scorticano Polanski, ma salvano il regista vincitore condannato

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Roma. “La cerimonia dei César è sembrata un funerale. L’industria cinematografica francese ‘troppo bianca, troppo vecchia, troppo borghese’ è stata divorata sotto i nostri occhi dal cinema delle minoranze”, scrive sul Figaro Barbara Lefebvre. Florence Foresti, che conduceva la serata del massimo riconoscimento cinematografico francese, ha storpiato il nome di Roman Polanski in “Roro”, “Popo”, per concludere: “Ho deciso che non è abbastanza grande per fare ombra al resto dei nominati”. Intanto, mentre l’attrice Adèle Haenel usciva dalla sala una volta annunciato il premio alla regia per il film di Polanski sull’affaire Dreyfus, fuori dalla Salle Pleyel l’associazione Osez le féminisme tappezzava i muri con slogan come “Violanski”. Così, mentre il ministro della Cultura Franck Riester si rammaricava del premio al regista condannato dalla giustizia americana nel 1977, un opuscolo del sindacato Cgt Spectacle chiedeva di fregarsene della giuria dei César e metteva il nome di Polanski tra virgolette. Come se non esistesse. Come se non avesse più diritto di esistere. “Ma attenzione, nel piccolo mondo degli artisti che impartiscono lezioni dal loro loft nel sesto arrondissement”, ha concluso Lefebvre, moralismo fa il paio con doppia morale.

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Roma. “La cerimonia dei César è sembrata un funerale. L’industria cinematografica francese ‘troppo bianca, troppo vecchia, troppo borghese’ è stata divorata sotto i nostri occhi dal cinema delle minoranze”, scrive sul Figaro Barbara Lefebvre. Florence Foresti, che conduceva la serata del massimo riconoscimento cinematografico francese, ha storpiato il nome di Roman Polanski in “Roro”, “Popo”, per concludere: “Ho deciso che non è abbastanza grande per fare ombra al resto dei nominati”. Intanto, mentre l’attrice Adèle Haenel usciva dalla sala una volta annunciato il premio alla regia per il film di Polanski sull’affaire Dreyfus, fuori dalla Salle Pleyel l’associazione Osez le féminisme tappezzava i muri con slogan come “Violanski”. Così, mentre il ministro della Cultura Franck Riester si rammaricava del premio al regista condannato dalla giustizia americana nel 1977, un opuscolo del sindacato Cgt Spectacle chiedeva di fregarsene della giuria dei César e metteva il nome di Polanski tra virgolette. Come se non esistesse. Come se non avesse più diritto di esistere. “Ma attenzione, nel piccolo mondo degli artisti che impartiscono lezioni dal loro loft nel sesto arrondissement”, ha concluso Lefebvre, moralismo fa il paio con doppia morale.

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foto LaPresse


  

 

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E qui entra il caso Ladj Ly, il bravissimo regista vincitore del miglior film ai César per l’adattamento dei “Miserabili” di Victor Hugo nella banlieue di Montfermeil. Ly aveva tutti i crismi per vincere: un film su immigrazione, disagio, razzismo, guerra tra bande e islam in cui Salah, un ex delinquente diventato salafita, media tra i giovani e la polizia. Si tratta di un regista che ha imparato a fare cinema con la fotocamera del cellulare, per il quale in Francia una “gran parte della popolazione è razzista e islamofoba” e che non ha mancato di insultare giornalisti invisi al demi-monde come Éric Zemmour (“Questo figlio di puttana”) e Zineb el Rhazoui (“Questa stronza”). Solo che Ly nel 2011 era stato condannato a tre anni per avere rapito l’amante della sorella di un amico. Quando è uscito il film un anno fa, alcuni giornalisti hanno voluto ricordare i fatti, ma Ly ha negato, ha detto che si trattava di un “errore di persona” e ha minacciato di fare causa. Lo scorso dicembre, scrive il Parisien, il regista è stato costretto ad ammettere.

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Durante la cerimonia dei César, l’attrice Aïssa Maïga, nata in Senegal, ha fatto sfoggio di indigenismo: “Ogni volta che mi ritrovo in una grande riunione di lavoro non posso fare a meno di contare il numero di neri”, ha detto squadrando il pubblico di bianchi benpensanti. Sul Figaro, Alain Finkielkraut la chiama la “terribile serata dei César”: “Ha battuto tutti i record di ferocia e bruttezza. Risate barbariche hanno il sopravvento sull’umorismo, un pubblico pomposo ridacchia e il ministro della Cultura, ora ministro del linciaggio compassionevole, si rallegra in silenzio. Ladj Ly, con loro grande sollievo, ha ricevuto il César per il miglior film. Ampiamente meritato. Ma non importa a questi moralizzatori che si rifiutano di separare l’uomo e l’artista, che Ly sia stato condannato a tre anni per complicità nel rapimento di un uomo che aveva avuto la cattiva idea di dormire con la sorella di un amico. Per la Francia che vuole essere accogliente e progressista, la dominazione può avere solo un volto: quello del maschio bianco occidentale”.

 

Quando la liceale Mila è stata insultata dagli islamisti, femministe e impegnati non hanno proferito parola (è donna e Lgbt, ma bianca e “islamofoba”). Quando è arrivato il vecchio Polanski, è stata la carogna ideale su cui gettarsi. Quando è stato il turno del promettente regista di origini africane eroe della banlieue, è un santo qualunque cosa dica o faccia. Un triplo salto morale.

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