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Il galateo del coronavirus rivaluta i gomiti e una regola d’amore: stiamoci vicini tenendoci lontani

Simonetta Sciandivasci

Tutti i paesi del mondo potrebbero non solo dover affrontare un’epocale revisione di abitudini e stili, ma doversi difendere dai cliché per non pagarli con l’isolamento dalla comunità internazionale

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Non argineremo il coronavirus con la scienza, almeno non solo, non subito. Serviranno, servono da ora, e in verità servivano da ieri, le buone maniere, le precauzioni, la disciplina. Tutte arti che l’umanità da anni espunge dall’esercizio quotidiano di civiltà e civismo, nel nome dell’uno vale uno e di una società più giusta, trasparente, sincera, autentica. Ma adesso, quasi al culmine di questo processo di abolizione di regole, gerarchie, competenze, differenze e ruoli, un contagio influenzale dalle potenzialità un giorno ridicole e il giorno dopo preoccupanti, ci costringe a starcene al posto nostro, imparare a seguire un galateo, obbedire a precisi codici comportamentali che sono anche tutti da riscrivere, massimizzare, centuplicare, immettendo nell’etichetta ciò che prima stava nella psicopatologia. Se lavarsi continuamente le mani era rupofobia, adesso è patriottismo. Ricordate Jack Nicholson in “Qualcosa è cambiato”, lo scrittore inamabile che tornava a casa, si lavava le mani a lungo e poi gettava via la saponetta? O Larry David che in “Basta che funzioni” di Woody Allen si lavava le mani cantando “Happy Birthday”? Ieri erano sociopatici misogini misantropi, oggi sono modelli comportamentali. In Inghilterra si raccomanda di lavarsi le mani cantando “Happy Birthday” due volte di fila. Il ministro Roberto Speranza non ha ancora stilato una playlist di pezzi da cantare mentre ci mondiamo le estremità (noi consigliamo Elettra Lamborghini).

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Non argineremo il coronavirus con la scienza, almeno non solo, non subito. Serviranno, servono da ora, e in verità servivano da ieri, le buone maniere, le precauzioni, la disciplina. Tutte arti che l’umanità da anni espunge dall’esercizio quotidiano di civiltà e civismo, nel nome dell’uno vale uno e di una società più giusta, trasparente, sincera, autentica. Ma adesso, quasi al culmine di questo processo di abolizione di regole, gerarchie, competenze, differenze e ruoli, un contagio influenzale dalle potenzialità un giorno ridicole e il giorno dopo preoccupanti, ci costringe a starcene al posto nostro, imparare a seguire un galateo, obbedire a precisi codici comportamentali che sono anche tutti da riscrivere, massimizzare, centuplicare, immettendo nell’etichetta ciò che prima stava nella psicopatologia. Se lavarsi continuamente le mani era rupofobia, adesso è patriottismo. Ricordate Jack Nicholson in “Qualcosa è cambiato”, lo scrittore inamabile che tornava a casa, si lavava le mani a lungo e poi gettava via la saponetta? O Larry David che in “Basta che funzioni” di Woody Allen si lavava le mani cantando “Happy Birthday”? Ieri erano sociopatici misogini misantropi, oggi sono modelli comportamentali. In Inghilterra si raccomanda di lavarsi le mani cantando “Happy Birthday” due volte di fila. Il ministro Roberto Speranza non ha ancora stilato una playlist di pezzi da cantare mentre ci mondiamo le estremità (noi consigliamo Elettra Lamborghini).

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L’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un prontuario anti contagio nel quale consiglia di lavarsi le mani spesso e a lungo, di tenersi a un metro di distanza dagli altri, di evitare baci, carezze, effusioni. In Arabia Saudita il naso a naso, saluto tradizionale tra maschi, è sospeso, in congedo, in malattia, ci si dice ciao come si può, con un impercettibile cenno del capo, come si fa tra collusi, tra colleghi di rapina.

 

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Tutti i paesi del mondo potrebbero non solo dover affrontare un’epocale revisione di abitudini e stili, ma doversi difendere dai cliché per non pagarli con l’isolamento dalla comunità internazionale. Se gli italiani sono considerati pericolosi perché vivono nel terzo focolaio di contagio di coronavirus, e pure perché toccano baciano coccolano troppo, ai francesi toccherà fare i conti con la notoria predilezione che hanno per il profumo a scapito dell’igiene (il 62 per cento di loro dichiara di non lavarsi le mani, Bruxelles deciderà di spedirli tutti in collegio in Svizzera?). Angela Merkel s’è vista rifiutare una stretta di mano da Seehofer, il suo ministro dell’Interno, e dopo lo smarrimento iniziale ha capito e dichiarato che era saggio, inevitabile.

 

Stringere le mani non significa più siglare un accordo, congedarsi, ringraziarsi, bensì esporre il prossimo al pericolo. Posare le proprie mani su quelle altrui equivale infatti a scambiarsi un volume di virus e affari pari a 3.200 batteri (niente a che vedere con gli 80 milioni di batteri che migrano da una bocca all’altra durante un bacio). Se questa rivoluzione della prossemica sarà momentanea o definitiva chi lo sa, intanto sono già state proposte delle alternative, sono allo studio nuovi rituali formali con cui dirsi ciao, benvenuto, bentornato, va bene, va male, ti odio, ti amo, e alcuni di questi sono già in fase di collaudo. S’è preso a salutarsi chinando la testa, giungendo le mani, sfregandosi i gomiti (nei quali siamo stati caldamente invitati a starnutire, la ricorderemo come l’epidemia che ha rivalutato il gomito e la sua multifunzionalità).

 

Angelo Borrelli, capo dipartimento della Protezione civile, ha invitato gli italiani a essere meno espansivi, e vuoi vedere che alla fine di questi mesi di contenimento dei contatti smetteremo di gesticolare, abbracciarci, incrociare i calici, darci pacche sulle spalle. Da Eboli in giù come faranno, bisognerà legare le mani a migliaia di persone, i meridionali non sono mica tutti come i lucani, i quali – parola dell’assessore regionale alla sanità – sono i pazienti ideali perché se ne stanno a casa “a mangiarsi un bel piatto di pastasciutta con la mamma”, e Dio li benedica, decrecisti e quarantenisti felici. Gli inglesi, come i lucani, sono tranquilli, in fondo a loro il contatto ha sempre fatto orrore, per non parlare dell’invasione dello spazio personale, la consideravano reato pure quando erano il più grande impero coloniale d’Occidente. Italiani, state a casa se avete la febbre, evitate i luoghi affollati, salutatevi da lontano, mantenete una distanza di due metri dagli altri: le raccomandazioni che il comitato tecnico-scientifico nominato da Conte ha approntato per il ministero della Salute parlano chiaro, isolarsi per prevenire è meglio che curare.

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In generale, e dappertutto, stiamoci vicino e teniamoci lontano, come fanno i trenta-quarantenni quando s’innamorano.

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