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Regali foglianti last minute contro il pessimismo universale

Se siete arrivati alla Vigilia di Natale senza un’idea, per voi e per gli altri, ecco un girotondo di pensieri(ni) ottimisti che vi faranno affrontare un 2020 meno catastrofista

L’anno bellissimo che si sta per chiudere si conclude con una lunga e sterminata serie di libretti e libroni dedicati alla grande e presunta egemonia italiana del sovranismo, del populismo e del nazionalismo, ed è sufficiente farsi due passi in libreria per essere travolti da un’infinità di volumi ideati probabilmente per rovinarci le vacanze. Contro il catastrofismo cosmico e il pessimismo universale ci sono tre libri che meritano di essere acquistati con un clic che ci aiutano ad avere un po’ di ottimismo in più rispetto al futuro. Il primo libro da leggere, di cui abbiamo già parlato, è quello del professore del Mit Andrew McAfee che ha scritto un saggio (“More from Less”) che delude gli apocalittici del clima e che spiega in che modo il capitalismo può salvare il pianeta tanto dai problemi legati all’ambiente quanto da quelli generati dagli ambientalisti all’amatriciana. Il secondo libro da leggere è quello, scritto un anno fa ma attualissimo, da Ian Goldin, docente di Globalizzazione e sviluppo a Oxford, e Chris Kutarna, ricercatore e membro della Oxford Martin School, che hanno dedicato un saggio importante alla “Nuova età dell’oro”, alla ragione per cui non si può capire la forza della globalizzazione senza inquadrarla nella prospettiva del nuovo Rinascimento. Il terzo libro che vi consigliamo di comprare è stato scritto da Dalibor Rohac, 36 anni, resident scholar all’American Enterprise Institute, che ha scritto un saggio di cui vi parleremo più avanti sui falsi miti del sovranismo mondiale. Si chiama “In Defense of Globalism” e offre buoni spunti per non farsi trovare con le spalle scoperte quando nel 2020 la propaganda nazional-populista cercherà – senza riuscirci – di farci osservare il futuro con la coda in mezzo alle gambe. Auguri a tutti.

Claudio Cerasa

 

Un ebreo di Ashkelon

Sono ottimista, per Natale non regalo niente. Se fossi pessimista, se i tempi lo permettessero, se esistesse la possibilità, chiederei a un ebreo di Ashkelon, esatto, col naso bello adunco, di spostarsi in Italia e ve lo porgerei come regalo col suo fiocco. Vi romperebbe i coglioni tutti i giorni per dimostrare che siete antisemiti. E’ gente che sospetta. Voi resistereste per dimostrare che non lo siete, ma lo risultereste. Lo risulteremmo pressoché tutti, alla fin fine, il ventaglio è talmente ampio che anche i migliori cadrebbero, magari sullo spicchio estremo della raggiera. Un ebreo di Ashkelon che aspetta un missile ogni giorno tende a diventare maleducato quasi come un cristiano in condizioni analoghe. Quasi. Un ebreo di Ashkelon che da un secolo (quasi) sente dichiarare che il suo paese deve essere cancellato, avverte come una pulsione a spingere per cancellare chi lo afferma. Avendone i mezzi. E li mortacci sua, lui ce li ha. Fortuna che qualche nazista, talora uno Sharon, spesso lo frena. E’ parte del mestiere di uno statista ebreo. Un ebreo di Ashkelon che dovesse riascoltare la lezioncina sui territori, lui che li ha occupati per sopravvivere, e riascoltarla dall’europeo che annetterebbe, altro che le alture del Golan, sei Alsazie alla volta, potendo, più due Bacani, più quattro Ucraine, ecco allora l’ebreo di Ashkelon dovrebbe saper trattenere se stesso da una furia comprensibile. Suppongo. L’augurio di buon Natale è che possa riuscirci. Non parlategli di muri, se volete star sereni. Un simile tizio seduto a casa vostra, nostra, e per Natale, mi manderebbe ai pazzi. Capace, un ebreo di Ashkelon (mai dimenticare i missili appesi sulla testa dei figli in casa a tre metri da Gaza, mai dimenticare la sua tendenza alla reazione ineducata), che possa rompersi le balle perfino per le menate gratuite sulla signora Segre. Mica ce l’ha con la signora Segre, lei è sua sorella, più con le menate nostre, direi. Evitiamo con l’ebreo di Ashkelon, vi parlo da ottimista, di nominare dodici volte Auschwitz quando nemmeno una volta la generosa cancellatrice di Israele che concionò (da sardina velata) in piazza San Giovanni. Tanto per dirne un’altra. E infine chiarisco. Si dice ebreo di Ashkelon perché fa più “in” e può suonare da più informato. Se lo preferite di Tel Aviv, per me è uguale.

Andrea Marcenaro

 

Illustrazioni atomiche

Alessandro Sanna vive a Mantova ed è uno dei migliori illustratori italiani. Ha fatto un libro senza parole, si chiama “Come questa pietra – Il libro di tutte le guerre” (Rizzoli, 32 euro). Proprio senza dire nemmeno una parola. Sono centocinquanta e più acquerelli, impaginati come fossero un album, con le sbavature di colore al bordo pagina. Sono un racconto, un nastro continuo, come certe pitture giapponesi. Ma non pacificate, sono un gonfiarsi e un precipitare di valanga. Dalla prima pietra, e potrebbe essere quella di Caino, il libro senza parole insegue i luoghi e il multiforme ingegno degli uomini. La pietra diventa frecce, fuoco, navi, città. Fino a un fungo atomico, ma anche oltre. Un precipitare a perdifiato nella corsa del gioco preferito dell’umanità. (Forse). Per grandi e piccini.

Maurizio Crippa

 

Il viaggio che non ho fatto

Vorrei un viaggio in Africa, il viaggio che non ho mai fatto e che con ottimismo spero sempre che farò. Dovevo partire lo scorso novembre, ma troppe cose si sono messe in mezzo. Il mio viaggio è un po’ particolare perché ci sono posti precisi in cui voglio andare, nel deserto del Kenya. Però vorrei regalare anche un viaggio più normale ai miei figli, sempre in Africa. E riuscire a fare la crostata buona come quella che faceva mia nonna. Che è un pensiero enormemente ottimistico. E regalerò tutto quello che posso, anche di più.

Annalena Benini

 

Sardine di ceramica

A me piacciono le ceramiche e i vetri colorati, quindi è tutto facile. Dalle bancarelle (a Roma è stata già elogiata sul Foglio quella nel mercatino di piazza Mazzini gestita da un simpatico tunisino) alle manifatture storiche. A via del Pellegrino c’è il siriano che ne vende tantissimi, compresi tanti vasi dal collo stretto decorati con pesciolini bluastri che potremmo regalare come allusione sardinista e se anche non venisse colta l’allusione al dibattito politico resterebbe un oggetto perfetto per le case colorate. Restando in ambito ittico ho visto una bellissima bottiglia con dentro un polpo rossastro che sembra diventare più grande quando si riempie d’acqua. Si chiama Octopus e la trovate anche online. Per i bambini, dai neonati in avanti, ora che sono del ramo, consiglio i giochi Clementoni, regali ottimistici perché ne faranno sicuramente crescere le capacità cognitive e quindi la buona predisposizione verso il futuro.

Giuseppe De Filippi

 

Conversazioni

Temiamo di essere entrati nella categoria “bambino che ha tutto”. Come nella frase materna “quest’anno niente regali perché avete già tutto” (poi puntualmente i pacchi con il nastro arrivavano). Libri, film, giornali stranieri a portata di mano sono più di quelli che riusciamo a godere – detto per chi è nato con lo streaming e l’internet veloce, e non ha mai sentito il rumore del modem che si collegava (ricordate l’angosciante sequenza di note con cui Richard Dreyfuss in “Incontri ravvicinati del terzo tipo” cercava il contatto con gli alieni? Ecco, una cosa così). Nel piccolo paradiso in cui viviamo, manca solo la conversazione. Conversazione, non accertamenti polizieschi del tipo “XYZ ti è piaciuto?” (in caso di pareri diversi, fine immediata della chiacchiera). Conversazione, che non vuol dire sapere se e quanto “Storia di un matrimonio” vi ha fatto piangere. O se e quanto “Il Colibrì” vi ha cambiato la vita (nessun libro la cambia, tranquilli). Conversazione, gradita anche senza carta regalo.

Mariarosa Mancuso

 

Gioielli ottimisti

Stendhal diceva che la bellezza è una promessa di felicità, io dico che il lusso è una dichiarazione di ottimismo. Si spende molto denaro, col lusso, ma domani se ne guadagnerà altrettanto se non di più. Il lusso è gioia e spensieratezza, ovvero salute dell’anima e del corpo: ricevere regali costosi aumenta le difese immunitarie, ne sono certo. Per questo a Natale vorrei regalare, e vorrei mi fosse regalato, un gioiello. Un anello. Il Touch minimalista di Lia Di Gregorio? Il Nudo esibizionista di Pomellato? Oppure un anello quasi archeologico della libanese Rosa Maria? O invece un anello metropolitano della milanese Misani? Devo decidere. Potrebbe perfino essere, per festeggiare la vittoria Tory (cosa c’è di più conservatore di un gioiello inglese da tramandare di generazione in generazione?), un anello diamantifero di Graff. Ovviamente a simili livelli di spesa bisogna farsi assistere da un esperto, da un gemmologo, ad esempio dall’unico scrittore-gemmologo del pianeta, Aurelio Picca. A cominciare dalla sua forma (il cerchio simbolo di eternità) un anello è per sempre, e puntare sulla durata dei sentimenti è sia ottimistico sia indispensabile.

Camillo Langone

 

Un motorino rosso

Ho visto il mio regalo sfrecciare a un incrocio in una giornata di sole: era piccolo, rosso e silenzioso. Troppo silenzioso, non si accorgeva nessuno della sua presenza, figurarsi del suo arrivo, e siccome in strada, come dappertutto, vince chi si fa sentire, il mio desiderio rosso stava per finire spiaccicato sotto i miei occhi. Ma è passato via, veloce ed elegante, forse inconsapevole del pericolo, brillava di quella luce che hanno solo i sopravvissuti. Lo vorrei proprio, quel motorino rosso, piccolo, elettrico e leggero: mi ricorda il Ciao che avevo da ragazza, le pedalate furiose per farlo partire, le richieste a sconosciuti: riesci a metterlo in moto?, il fumo nero che se oggi lo vedesse mia figlia finirei in ceppi al tribunale di Greta. Sul mio nuovo motorino rosso invece potrei girare assieme a questa mia figlia ambientalista, e chiacchierare, che è la cosa che più amo fare con lei: le parole sarebbero il nostro clacson, perché è importante riempire il silenzio dei motori elettrici, si vive più a lungo. Mi mancherebbe un po’ la metropolitana, che è calca e attacchi d’ansia ma anche telefonate importanti, letture, appunti, sorrisi che non mi aspettavo. Forse ogni tanto mi farò un giro lì sotto per concedermi una pausa dal traffico e dal mio sogno rosso, e per segnare le volte in cui sono passata a prendere mia figlia, mio figlio, mio marito e, seduta sul mio motorino, ho fatto la proposta più bella e indecente che c’è: vieni amore, ti porto a casa.

Paola Peduzzi

 

Bottiglie di plastica

Sono pessimista di natura, quindi la richiesta del direttore quest’anno mi ha messo in crisi. Non tanto per pensare al regalo da proporre – il che comunque è una fatica non da poco – quanto per la connotazione scelta: deve essere ottimista. Alla fine ho pensato che nonostante il lugubre profetare la fine prossima del mondo, con Greta che scuote il globo con cipiglio savonarolesco e allarmati strilli sul polo nord che si sposta sempre più a nord, la fine di tutto non sia poi così prossima. E allora, con volontà ottimistica e sfida agli araldi di morte, regalo volentieri un pacco di sei bottiglie d’acqua naturale minerale. Bottiglie di plastica, però. Come quelle che aveva Thunberg sul catamarano che ha solcato le onde dell’Atlantico portandola a New York, per capirci. E poi perché la plastica è un materiale meraviglioso: sta poi all’uomo, essere razionale, smaltirla per bene. Senza buttarla nei fiumi o – più prosaicamente – sul marciapiede davanti a casa, dove i cassonetti ricolmi di spazzatura (almeno a Roma) non riescono più a contenere neanche uno spillo. Viva la plastica, che ha reso l’umanità un po’ più migliore.

Matteo Matzuzzi

Carnet per ogni cosa

Ottimismo del carnet, promessa già implicitamente mantenuta: vorrei ricevere (e in qualche caso regalare) carnet per tutto. Dal blocco di cinque biglietti per il cinema al pacchetto-pieghe per i capelli al set cena più drink nel ristorante nuovo preso a casaccio da un libro pieno di ristoranti nuovi a casaccio alle due lezioni prova di tango per principianti alla scheda-regalo in libreria. Mi piace l’idea che dovrò fare per forza le cose (piacevoli) che mi sono state regalate.

Marianna Rizzini

 

Un’alga. Meglio dei pesci rossi

Anche io non l’ho mai capito: sarò davvero ottimista oppure fingo per reazione? Un conflitto interpretativo che influenza anche la scelta dei regali: un oggetto inutile è il simbolo del consumismo ed è quindi ontologicamente ottimista? Oppure l’ottimismo si esprime con la praticità? Per i libri lunghi, per i viaggi, per le esperienze (va moltissimo, in questi tempi pessimisti, regalare esperienze) pare non abbiamo abbastanza tempo. E avere tempo è un lusso fin troppo ottimista, che porta inevitabilmente alla procrastinazione. Però per riflettere su questo e allo stesso tempo contemplare la bellezza perfetta della natura (l’unica inutilità davvero ottimistica) non serve più andare in cima alle Dolomiti: c’è un’alga. Si chiama Marimo, l’ha scoperta nell’Ottocento il botanico giapponese Takiya Kawakami. Marimo significa esattamente: pianta acquatica a forma di palla. Originaria del lago Akan, nell’Hokkaido, viene venduta da sempre nel nord del Giappone come portafortuna dentro ad ampolle di design, ma ormai potete trovarla un po’ ovunque. E’ come un pesce rosso, ma richiede meno attenzioni. Una palla verde che riesce sempre nel suo scopo, cioè la fotosintesi clorofilliana. Ottimista, no?

Giulia Pompili

 

Un bollitore di poesie

Leggendo poesie non si diventa di certo ottimisti, le poesie fanno male, svuotano l’anima e gli occhi, ma quanto bene fa svuotarsi dentro. Vorrei libri, tanti, tutti di poesie con testo originale a fronte perché dopo essermi svuotata l’anima in italiano mi piace farlo nelle lingue degli altri, con le lacrime degli altri. Poi vorrei la neve, ma questo è un regalo un po’ troppo impegnativo, potrei soprassedere. Infine vorrei un bollitore – “E un bollitore per il tè. Con il beccuccio che, all’uscita del vapore, si apre e si chiude come una bocca e sibila belle melodie, o recita Shakespeare, o semplicemente si scompiscia dal ridere con me?” è l’incipit di “Molto forte, incredibilmente vicino” di Jonathan Safran Foer. Un bollitore di quelli rosa, il rosa pastello dei bollitori Smeg che starebbero benissimo in una puntata di “Mad Men”. Eugenio Cau, suo malgrado, me ne ha regalato uno trasparente, lo ringrazio ma lo preferirei rosa, è un colore più ottimista. Eugenio non offenderti, giuro che nella mia vita c’è spazio per più di un bollitore.

Micol Flammini

 

Consumismo anarcocapitalista

Noialtri seguaci del cioranesimo, o del cioranismo, siamo cresciuti con “L’inconveniente di essere nati”, “Al culmine della disperazione” e “Sommario di decomposizione”, sicché il nostro status sull’ottimismo è quantomeno rivedibile. Però in quanto consumatori anarcocapitalisti, abbiamo gustosi regali da consigliare. Per esempio, se vi garba scrivere (o conoscete qualcuno cui garba scrivere), fatevi un giro sul sito di Palomino e comprate delle Blackwing, matite bellissime e pregiate che odorano di cedro e scrivono meravigliosamente (ci sono pure le edizioni speciali, di recente una dedicata a Nellie Bly). In Italia si comprano a Milano, nella stupenda cartoleria dei Fratelli Bonvini; hanno pure uno store online, per chi non capita di frequente nella vera capitale d’Italia. Se poi vi garba pure prendere appunti, ci sono le agende o i taccuini di Smythson in carta Featherweight. Dimenticherete le fin troppo commerciali, seppur adorabili, Moleskine.

David Allegranti

 

Condividere con nessuno

Tra i grandi pessimismi del decennio appena concluso c’è quello nei confronti della tecnologia. Abbiamo cominciato gli anni Dieci pensando che i social media fossero veicolo di liberazione, li finiamo convinti che ci facciano il lavaggio del cervello e che siano un pericolo per la democrazia. Ecco un buon antidoto alla depressione da Facebook: cominciare a tenere un diario digitale. Il diario migliore è una app che si chiama DayOne e il modo più intelligente per usarla, consigliato dal sommo columnist tecnologico del New York Times Farhaad Manjoo, è questo: creare il vostro social network personale, protetto da password, che solo voi potete vedere e che sarà lo sfogatoio di tutti i vostri impulsi social. Andate al ristorante e non potete fare a meno di fotografare il piatto di carbonara? Anziché postare la foto su Facebook e appestare i vostri amici, caricatela su DayOne per trasformare la vanità in ricordo. Sentite il bisogno impellente di scrivere un resoconto di quanto sono state belle le vacanze a Berlino? Fatelo su DayOne, e la app tra un anno vi ricorderà i momenti magici trascorsi ad Alexanderplatz. Il segreto è questo: se condividete la vostra vita con i social scattano le dinamiche terribili della psicologia di Facebook, con l’ansia da prestazione per i like e l’ossessione per la perfezione instagrammatica e l’indignazione costante da Twitter. Se condividete la vostra vita con un diario personale digitale, invece, generate pura gioia da documentazione. E come si fa a far girare il pil? DayOne è gratis ma funziona meglio con abbonamento, 50 euro all’anno circa.

Eugenio Cau

 

Bici pieghevoli

A essere ottimisti non si fa un soldo di danno. E quale miglior ottimismo se non immaginare un futuro pieno di città senza auto? Sotto l’albero mettete una bici pieghevole. Vi ritroverete per le mani un buon modo per muovervi, stare in forma e poter bere quanto volete senza aver paura di ritrovarvi senza patente.

Giovanni Battistuzzi

 

Ottimismo da tubino nero

Ti salva in ogni situazione, perché eclettico e di una semplicità disarmante. Eppure lo cerco da settimane, il mio regalo, senza successo. Lo intravedo addosso ad altre, perfetto come un understatement, a una cena, a teatro, ma anche a un appuntamento di lavoro. Voglio un tubino nero, “la petite robe noire” resa iconica negli anni Venti da Coco Chanel, quell’abito versatile, essenziale e rivoluzionario che ha trasformato l’austerità della Grande Depressione nell’ottimismo del Dopoguerra, scoperto le caviglie alle donne e regalato loro l’arma della comodità, che ha strappato il nero alla tristezza per consacrarlo sovrano incontestato dello chic. Per Vogue, era la Ford della moda, perché come la diffusione della Model T aveva democratizzato lo stile. Dicono così le riviste patinate nel celebrare i suoi 90 anni: ogni donna dovrebbe averlo nell’armadio, da indossare con i tacchi ma anche con le scarpe da ginnastica (pare sia più idoneo dire sneakers, oggi). Nel mio armadio manca da un anno e da allora ogni valigia è un dramma. Lo cerco in ogni vetrina. Quello con il sorriso alla Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”, ovviamente: lo scollo a barchetta, stretto sui fianchi. E invece, i manichini mi riconsegnano sempre un dettaglio fuori posto: strass, un fiocco, una cerniera di troppo a rovinare il rigore magico del mio tubino nero, pieno di romanticismo e spensieratezza.

Rolla Scolari

 

Un poliregalo utile

Ho tre regali da consigliarvi, sono tutti bellissimi e felicitanti e io non so sceglierne uno e basta, scegliere in generale è una cosa che m’affatica più di stirare, più di conversare con un sommelier, e poi trovo che sia pessimista ridurre la scelta a una cosa soltanto, come se il meglio possa essere davvero nell’uno – e invece è nei molti. Li prendete tutti e li impacchettate insieme in un unico poliregalo (e poi mi fate sapere com’è andata: se male, non rimborso; se bene, m’aspetto fiori non opere di bene).

1) Cuffia protettiva per la notte (Dita Protective Hair Wrap della Silke London). Il letto vi riposa o vi strema d’amore, due cose parimenti scarmiglianti che con questa cuffia terrete a bada. E’ fatta di seta e l’interno è studiato per evitare la frizione con i tessuti di lenzuola e federe, che pare siano quanto di più deleterio per le cuticole dei capelli. In più, preserva e mantiene i boccoli, il liscio, l’anti crespo, persino il frisé. 2) Clessidra. Non fanno che dirci che la vecchiaia è una giovinezza migliore: per questo ci dotiamo di uno strumento che fa dello scorrere del tempo lo spettacolo di una duna del deserto che ci si compone davanti, e senza ghibli tra le palle. 3) Crema Augustin Bader. Va applicata al mattino e alla sera, per 40 giorni, allo scadere dei quali avrete “una pelle da persone ricche”. Si comincia dall’epidermide e si arriva allo stipendio, abbiate fede. Con la faccia da ricchi, nessun colloquio andrà male, nessuno vi sottopagherà, né vi darà del tu.

Ogni tre rami c’è una stella marina, ogni tre regali c’è un aereo che vola.

Simonetta Sciandivasci

 

Il basco da imparare

“Kaixo! Ni Koldo naiz. Ah! Zu Koldo zara! Ni Amaia naiz. Zer moduz? Ondo, eta zu? Oso ondo. Nor da hura? Hura Gotzon da. Gotzon nire laguna da. Kaixo, Gotzon!”. Eugéne Ionesco raccontava che l’idea delle commedie dell’assurdo gli era venuta studiando inglese col metodo Assimil, e effettivamente anche i dialoghi di Assimil in basco tradotti hanno un tono alla Jonesco. “Ciao! Io sono Koldo. Ah! Tu sei Koldo! Io sono Amaia. Come va? Bene, e tu? Molto bene. Chi è lui? Lui è Gotzon. Gotzon è amico mio, Ciao, Gotzon!”. Ma volete mettere l’emozione di dirlo nella lingua più antica d’Europa? Creato in Francia nel 1929, Assimil insegna 79 lingue attraverso 13 (su Amazon: 67,91 euro). L’autore di queste righe ve ne ha approcciate sette, ma soprattutto capire il basco lo ha impressionato. Poi, è vero, senza pratica si dimentica, ma la faccia ammirata che fa un Urruticoechea quando gli dici “il tuo cognome significa La Casa Più Lontana, no?” non ha prezzo. Ondo esan beharko? (= O.k. in basco).

Maurizio Stefanini

 

Parolacce da colorare

Quest’anno ho deciso di farmi un regalo per calmarmi. La vicina ha deciso di mettere serrande elettriche per tutta casa che alza e abbassa come fossero un gioco a qualsiasi ora facendo rumore; quella del piano di sopra ha una tata che invece che parlare, urla; fare una fattura richiede una seconda laurea mentre la grande monnezza sta sommergendo anche i Parioli, a tal punto che ieri ho trovato sotto casa un termosifone. La sopravvivenza, almeno per ora, mi sembra necessaria quindi ho comprato un album pieno di parolacce da colorare. Se fino a ieri, per rilasciare lo stress, potevi imprecare o metterti a colorare un libro, ora con questo album si possono fare entrambe le cose insieme. Del resto, colorare uno “stronzo” o una “testa di cazzo” non l’ho mai fatto fino ad ora, ma li ho solo incontrati. Quindi, non vedo l’ora. Colorerò e ignorerò, ripetendo questo mantra per tutte le Feste. Vi dirò a gennaio se l’auto-regalo ha avuto l’effetto sperato o se è stato defenestrato poco dopo averlo aperto assieme a un “vaffanculo”. Ovviamente gridato ad alta voce.

Giuseppe Fantasia

 

Le storie del Milan

Regalo ottimista, regalo milanista. In tempi grami – parlo di calcio – il modo migliore per sorridere al futuro è studiare il passato e ripercorrere i centovent’anni di storia del Milan, computando i lungi decenni senza scudetti, i filotti di derby persi, i calciomercati che partorivano topolini, le stagioni in, ehm, serie B. Per questo ad alcuni miei confratelli di fede rossonera ho già regalato, e agli altri consiglio vivamente, “1899. AC Milan: le storie” di Michele Ansani, Gino Cervi, Gianni Sacco e Claudio Sanfilippo (Hoepli editore; per i dettagli, c’è la commossa recensione di Giovanni Battistuzzi sul Foglio.it). Non per accontentarsi pensando che in passato è andata peggio. Per scoprire invece, da questa gioiosa narrazione a otto mani, capillare e ironica, che i periodi di magra pullulavano di motivi d’interesse, di fedeltà incrollabili, di spunti pittoreschi e insulti rutilanti; di felicità di esserci che oggi s’è fatta orgoglio di esserci stati. Il futuro, se non bello, quanto meno sarà divertente. Parlo di calcio e non solo.

Antonio Gurrado

 

L’ombrello banana

Io dico che dovreste optare per un ombrello banana. Si chiama Um-Banana, e me l’ha regalato per Natale la mia amica Melissa. E’ un grazioso ombrellino giallo che ha per custodia una banana di plastica. L’ombrello banana è il coltellino svizzero degli ombrelli. Non solo ripara dalla pioggia e dalla grandine, ma in più non sgocciola e tiene alla larga i malintenzionati, perché se lo agganci alla cintura pare la fondina di una pistola. Con due ombrelli banana, poi, a saperli maneggiare con destrezza, si possono ottenere ottimi effetti western. Inutile aggiungere che l’Um-Banana è una fonte inesauribile di practical jokes di buono, medio e infimo gusto – sicuramente meglio del pollo di gomma che comprai anni fa per gettarlo a sorpresa tra i commensali inorriditi. Chiudo la mia perorazione per l’ombrello banana dicendo che è anche una duttile metafora politica da tenere a portata di mano nelle discussioni, e non è certo un caso – anzi, è la riprova che una spiritello sardonico governa le nostre vite – se a Melissa ho regalato, in cambio, un libro di vignette di Altan.

Guido Vitiello

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