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Se dissenti dal gender sei licenziato. E la creatrice di Harry Potter protesta

Giulio Meotti

“Vestitevi e chiamatevi come volete, ma far perdere il lavoro a chi dice che il sesso è reale, anche no”

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Roma. “Vestitevi come volete. Chiamatevi come volete. Andate a letto con ogni adulto consenziente che volete. Ma far perdere il lavoro alle donne per aver dichiarato che il sesso è una cosa reale? Sto dalla parte di Maya”. Con questo tweet ai suoi milioni di follower, J.K. Rowling si è cacciata in un bel guaio. L’autrice di Harry Potter è intervenuta sul caso di Maya Forstater, ricercatrice che ha perso il posto per aver espresso, su Twitter, posizioni “discriminatorie nei confronti dei trans”. Il think tank per cui lavorava, il Center for Global Development che combatte diseguaglianze e povertà, l’ha licenziata per uso di “materiale transfobico” (Forstater aveva detto che la differenza sessuale è biologica). Forstater aveva fatto ricorso e, due giorni fa, il giudice James Tayler ha stabilito che le sue opinioni “non sono protette dal credo filosofico” e che il think tank aveva il diritto di cacciarla. Forstater era stata sostenuta da Index on Censorship, organizzazione che si batte contro la censura. È un trend globale.

 

Allan M. Josephson, primario della scuola di Medicina pediatrica dell’Università di Louisville, negli Stati Uniti,  aveva partecipato a una tavola rotonda del think tank reaganiano  Heritage  sul gender, campo in cui è esperto. Josephson aveva affermato che il gender non ha basi scientifiche, perché “dovrebbe avere la meglio su cromosomi, ormoni e organi riproduttivi”. Il professore è stato licenziato dopo 43 anni di docenza e ha fatto causa all’università. A Oxford in Inghilterra, era partita una petizione (fallita) per rimuovere il celebre giurista John Finnis dopo che gli studenti lo avevano accusato di “transfobia”. All’Università di Bordeaux, in Francia, è saltata la conferenza di Sylviane Agacinski, rea di aver attaccato la gender theory nel libro “Femmes entre sexe et genre”. Il Times ha dedicato alle università inglesi una speciale inchiesta, dove si parla di “più di una dozzina di accademiche” la cui libertà di parola è inibita da accuse di “transfobia”. Quando Kathleen Stock, docente di Filosofia all’Università del Sussex, ha premuto il tasto “invia” su un blog sapeva che in realtà quel tasto era un detonatore. Stava criticando la teoria in voga per cui, per cambiare sesso, basta “autoidentificarsi”. Reazioni? Studenti con cartelli contro di lei, una condanna del sindacato, appelli a licenziarla e aggressioni online. Molti colleghi le hanno detto di essere d’accordo ma che non lo dicono pubblicamente per paura di rovinarsi.

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“La maggior parte dei professori negli anni Settanta credeva che la nuova teoria gender fosse una mania che sarebbe stata spazzata via come foglie d’autunno”, ha detto a Quillette Camille Paglia, femminista che hanno provato a cacciare dalla University of the Arts, a Philadelphia. Quei professori si sbagliavano. Da fantasiosa teoria di una nicchia ultra ideologizzata, il gender è diventata una dittatura da cui non è ammesso dissenso. Pena, reputazione e carriera.

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