Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Anche con Bianchi non c'è la svolta: scuole aperte, esami a metà

Mario Leone

Ahi! Con il nuovo ministro dell’Istruzione cambia poco: gli Invalsi restano depotenziati

Ogni anno a fine febbraio la scuola italiana si anima in attesa delle indicazioni per lo svolgimento degli esami conclusivi e le prove Invalsi. A marzo scorso lo scoppio della pandemia sanciva la chiusura degli istituti su tutto il territorio nazionale. La didattica si trasferiva sulla rete, furono cancellate le prove Invalsi e gli esami conclusivi rimodulati in fretta e furia, lasciando la sola prova orale in remoto per le medie e in presenza per la maturità. Uno tsunami che cambiò (per sempre) la professione del docente, costringendo tutti a una sorta di rivoluzione culturale.

 

Dopo un anno, la situazione è complessa, qui e lì ci sono chiusure spesso ribaltate dai ricorsi al Tar, come sta accadendo in Puglia. Le superiori hanno ripreso da poche settimane in presenza e nel resto del paese tanti docenti si spendono per mantenere viva l’offerta didattica. Nell’ultimo periodo del suo mandato, Lucia Azzolina ha difeso l’apertura delle scuole, giustificato una serie di scelte sbagliate (vedi i famigerati banchi a rotelle), provato a gestire i concorsi docenti, fermati anch’essi dal Covid. Di mezzo c’è stata una crisi di governo risolta con la nascita del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi che per viale Trastevere ha puntato su Patrizio Bianchi, nominato ad aprile 2020 proprio dall’Azzolina capo della task force dell’istruzione per l’emergenza pandemica.

 

Tra le prime azioni del ministro, quella di sottoporre al Consiglio superiore della pubblica istruzione le Ordinanze sugli esami di stato che lunedì 22 sono state rese pubbliche, destando qualche perplessità. Pochissime novità, quasi nulle: alle medie l’esame prevede un colloquio orale fatto in presenza su un tema concordato con il consiglio di classe. Stessa modalità per la maturità. “Per entrambi – si legge – la partecipazione alla prova nazionale Invalsi, che comunque si terranno, non sarà requisito d’accesso”. Dopo un anno, dunque, non è cambiato nulla. Nel comunicato stampa allegato, Bianchi afferma che “l’esame deve essere concepito come il diritto di tutti gli studenti di essere valutati sulla base delle attività scolastiche svolte nell’arco di tutto il percorso tenendo conto delle difficoltà vissute durante l’emergenza sanitaria”.

 

  

 

Già da qualche anno gli Invalsi si stanno trasformando in una sorta di “olimpiadi della matematica e dell’italiano”, spesso boicottate o somministrate male dai docenti. Questi ultimi in ansia più per il giudizio sul loro operato che per i risultati dei ragazzi. “Nello specchio della scuola”, ultimo libro di Bianchi, il ministro si mostra favorevole a test come gli Invalsi, ipotizzando anche la possibilità di darne maggiore spazio perché “offrono dei dati importanti per decidere le politiche scolastiche”. L’idea è quella di ampliare l’autonomia degli istituti purché raggiungano certi obiettivi che sarebbero monitorati proprio con prove strutturate sul modello degli Invalsi. Allora cosa non convince degli esami di quest’anno? Sicuramente la scelta di non introdurre le prove scritte. Perché, se le scuole sono aperte, non si può svolgere un esame regolare?

 

I ragazzi delle terze medie, chi più, chi meno, hanno frequentato quest’anno in presenza. Certo, il percorso triennale è stato interrotto dal lockdown dello scorso marzo, ma l’anno scolastico 2018/2019 è stato svolto regolarmente. Perché non procedere a un esame “normale”, svolto se mai con maggiore clemenza rispetto al solito? Perché non proporre almeno una prova scritta per la maturità? Qui i ragazzi hanno un percorso quinquennale di cui “dare conto” e mostrare di saper organizzare un testo scritto dopo circa 13 anni di scuola è doveroso. Già da tempo la maturità urge di una riforma strutturale, il Covid ha solo svelato definitivamente il problema. In questo senso da anni la Fondazione Agnelli si batte per una radicale riforma della maturità che così strutturata non offre risultati confrontabili degli studenti e non serve alle università, che automaticamente sottopongono i nuovi iscritti a test che ne valutino le competenze e le effettive conoscenze.

 

Si poteva fare di più. Conoscendo il pensiero del presidente del Consiglio, difficilmente questo tipo di soluzione l’avrà entusiasmato, lui che sin dalle prime dichiarazioni aveva lanciato un whatever it takes sulla scuola, forse si sarà reso conto della complessità nel nostro Sistema d’istruzione.

 

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