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cattivi scienziati

L’agricoltura biodinamica dà i numeri, e i conti non tornano

Enrico Bucci

I sostenitori di questa tipologia di agricoltura continuano a diffondere stime sulla redditività per ettaro che non hanno alcun senso. È importante distinguere tra realtà e marketing

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Avevo promesso ai miei lettori di cominciare l’analisi dei “numeri” della cosiddetta agricoltura biodinamica, quelli veri e quelli falsi. Iniziamo, dunque; con l’avvertenza che, per questioni di spazio, non potrò esaurire tutta la discussione in questa sede, ma mi riservo di approfondire in seguito. Vorrei innanzitutto cominciare dal più importante numero falso, che è falso in un senso particolare: nel senso, cioè, che è un numero che non significa nulla, pur se ottenuto da un calcolo vero, ma viene usato come uno degli argomenti principali dai sostenitori della biodinamica e da quei politici che rilanciano acriticamente cifre e dati, senza indagarne l’origine e forse senza nemmeno comprenderne il vero significato.

 

È quel numero che abbiamo sentito sbandierare tanto in questi giorni, nella discussione al Senato e nei documenti di supporto fatti girare da certi parlamentari e da certi senatori, per convincersi a vicenda: la biodinamica renderebbe alle aziende agricole, in termini economici, oltre 13.000 euro in media per ettaro, a fronte di poco più di 2.400 del biologico e di poco più di 3.200 per l’agricoltura convenzionale. Detta così, è una cifra che da sola convincerebbe tantissimi a darsi al biodinamico, chiudendo un occhio – o meglio tutti e due - sull’esoterismo e la stregoneria, per abbracciare un brand redditizio ed un metodo di produzione che premia l’attenzione per l’ambiente. Parleremo altrove dei presunti benefici ambientali e delle balle sostenute a riguardo, ma qui interessa subito una cosa: è vero che la biodinamica è così conveniente, in termini di redditività, nonostante la resa minore ammessa dai suoi stessi sostenitori?

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Per saperlo, bisogna innanzitutto farsi una domanda: la biodinamica renderebbe 13.309 euro per ettaro in media, ma in media su cosa? In altre parole, come è calcolata questa media? Significa qualcosa? Per saperlo, bisogna trovare l’origine del dato e del confronto con gli altri tipi di aziende. Questa è in un documento di qualche anno fa, il bioreport 2017-2018, sviluppato dal Mipaf in collaborazione con il Crea, sotto l’egida dell’Unione europea.

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A pagina 126 di questo documento, la tabella 5 riporta la redditività per ettaro dichiarata da Demeter Italia per un campione di 133 aziende agricole, divise per classi di estensione: 3-4,99 ettari, 5-9,99 ettari e così via. La redditività media di queste aziende per ettaro è ottenuta sommandone il fatturato e dividendolo per il numero di ettari complessivi (pari a 4.607), il che permette di ottenere appunto circa 13.309 euro per ettaro.

Tuttavia, se guardiamo alla tabella, notiamo qualcosa di strano. Le aziende di estensione diversa ricavano in media per ettaro cifre molto, molto differenti. Per esempio, le aziende da 20 a 29,99 ettari guadagnano 36.128 euro per ettaro, mentre le aziende immediatamente più grandi, da 30 a 49,99 ettari guadagnano solo 5.880 euro per ettaro. Ma come può il valore per ettaro cambiare così tanto, semplicemente in base all’estensione dell’azienda? Come spiegato nel report, questo dipende per esempio dal tipo di produzione dell’azienda: le aziende vinicole guadagnano molto di più di quelle, poniamo, cerealicole, e dunque far la media per ettaro di aziende eterogenee, prese in numero di 133 su oltre 300 presenti all’epoca nei database di Demeter, non ha nessun significato, perché il valore finale dipende, ovviamente, da quante aziende di un certo tipo ci sono in totale nel campione; più ce ne sono di quelle ad alto reddito, più la rendita media sarà elevata, meno rappresentativo sarà il campione. Inoltre, se per determinate estensioni la resa è ingiustificatamente molto più alta di estensioni immediatamente successive nella tabella, significa proprio che il campione è eterogeneo, e anche il paragone per classi di estensione è irrimediabilmente bacato. Per intenderci: se il campione avesse compreso più aziende da 30-49,99 ettari, che rendono solo poco più di 5000 euro per ettaro, forse la media sarebbe risultata più bassa; e, guarda caso, proprio questa classe è la meno rappresentata nella tabella del documento!

Del resto, come riportato sempre nello stesso documento – ma ovviamente omesso nei discorsi dei supporter del biodinamico e dei politici che fanno rimbombare le aule e le chat in questi giorni – una vigna in Francia rende 17.000 euro per ettaro; quindi a contare è enormemente di più il tipo di produzione e la provenienza, piuttosto che il metodo, e il numero magico di “oltre 13.000 euro in media per ettaro” è niente di più che un richiamo per i gonzi, esattamente come le promesse di fantomatici e facili guadagni mediante metodi segreti sviluppati dall’operatore finanziario di turno.

 

Ora spero sia chiaro, e mi piacerebbe non sentire più parlamentari della nostra Repubblica riportare numeri, di cui non hanno prima verificato l’origine ed il significato; perché se questi numeri nascono da soggetti portatori dello stesso interesse di cui si chiede la tutela, bisogna saper distinguere tra il marketing e la realtà. Questo è uno dei tanti “numeri falsi” e fuorvianti che girano, come in un disco rotto; ma, nella prossima puntata, ci occuperemo dei numeri veri, quelli inerenti il reddito di certe multinazionali che detengono il marchio biodinamico e del mondo che gira intorno a loro. Mostreremo come, cioè, quando qualcuno, magari attirato dalla favoletta dei mirabolanti guadagni per ettaro, decide di aderire alla biodinamica, i primi a guadagnare, in realtà, sono i rappresentanti di una multinazionale ed i loro adepti, a spese delle tasche dei consumatori (come abbiamo visto nell’articolo precedente, a proposito del vino) e dei bilanci delle aziende.

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