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L'indagine epidemiologica

Tutto quello che sappiamo delle varianti del virus presenti in Italia

Giovanni Rodriquez

La diffusione nelle regioni, il dubbio sull'uso dei test molecolari, la maggiore contagiosità: il punto sulle mutazioni del Covid-19 che circolano nel paese

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La variante inglese del coronavirus è già presente in Italia nel 17,8 per cento dei contagi in atto ma è prevedibile che nelle prossime settimane diventi dominante nello scenario italiano ed europeo. Di contro, la variante brasiliana e quella sudafricana hanno una distribuzione attualmente molto limitata sul territorio nazionale. Questo il quadro dell'attuale situazione epidemiologica fatto ieri dal direttore della prevenzione del Ministero della Salute Gianni Rezza. L'intensa circolazione della variante inglese è emersa da uno studio condotto la scorsa settimana da Istituto superiore di Sanità, Fondazione Bruno Kessler e Ministero della Salute. 

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La variante inglese del coronavirus è già presente in Italia nel 17,8 per cento dei contagi in atto ma è prevedibile che nelle prossime settimane diventi dominante nello scenario italiano ed europeo. Di contro, la variante brasiliana e quella sudafricana hanno una distribuzione attualmente molto limitata sul territorio nazionale. Questo il quadro dell'attuale situazione epidemiologica fatto ieri dal direttore della prevenzione del Ministero della Salute Gianni Rezza. L'intensa circolazione della variante inglese è emersa da uno studio condotto la scorsa settimana da Istituto superiore di Sanità, Fondazione Bruno Kessler e Ministero della Salute. 

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I risultati dell'indagine

In totale, hanno partecipato all’indagine 16 Regioni e sono stati complessivamente coinvolti 82 laboratori. Su 3.984 casi con infezione da virus Sars-CoV-2 confermata, sono stati effettuati 852 sequenziamenti. Di questi, 495 infezioni sono risultate riconducibili alla variante inglese. La variante è stata identificata nell’88% delle Regioni partecipanti. Le stime di prevalenza regionale sono risultate molto diversificate con dati compresi tra 0% e 59%. Nello studio si spiega che l’ampio range di prevalenze, tra 0 e 59%, potrebbe suggerire delle differenze nella data di introduzione della variante stessa nelle diverse Regioni. Da questo punto di vista si spiega poi come sia presumibile che tali differenze "vadano ad appiattirsi nel corso del tempo". Considerata la maggior trasmissibilità della variante, e considerato l’andamento in altri paesi interessati precocemente dalla diffusione della variante, si evidenzia che "è prevedibile che questa nelle prossime settimane diventi dominante nello scenario italiano ed europeo". 

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Questa situazione, alla luce del fatto che la copertura vaccinale per le persone più fragili non ha ancora raggiunto coperture sufficienti, "può avere un impatto rilevante se non vengono adottate misure di mitigazione adeguate". Da qui il suggerimento di intervenire "rafforzando/innalzando le misure in tutto il paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione". 

 

Le nuove indicazioni sui test rapidi

Alla luce delle varianti arrivano anche nuove indicazioni del Ministero della Salute sui test antigenici rapidi. "Le nuove varianti, dalla cosiddetta variante Uk alla variante brasiliana, che presentano diverse mutazioni nella proteina spike(S), non dovrebbero in teoria causare problemi ai test antigenici, in quanto questi rilevano la proteina N. È da tenere però presente che anche per la proteina N stanno emergendo mutazioni che devono essere attentamente monitorate per valutare la possibile influenza sui test antigenici che la usino come bersaglio", spiega in una circolare il ministero della Salute.

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Rispetto alla precedente circolare che autorizzava e normava l'uso dei tamponi rapidi, "si è osservata un’evoluzione dei test, nonché un cambiamento nella situazione epidemiologica dovuta alla circolazione di nuove varianti virali, che non possono non essere prese in considerazione". Inoltre, si legge ancora nella circolare, "l’uso dei test molecolari basati su una combinazione di geni virali target che comprende il gene S, può essere di ausilio per lo screening della variante Voc 202012/01 (variante inglese), poiché alcuni test utilizzati correntemente rappresentano un’indicazione per il successivo sequenziamento".  Ad ogni modo, a rassicurare sull'utilità dei test antigenici anche in presenza di varianti è stato sempre Gianni Rezza: "Queste mutazioni della proteina N sono per ora un fenomeno piuttosto raro per cui i test antigenici mantengono la loro grande utilità. In casi specifici è giusto il ricorso per la conferma ai test molecolari". 

 

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La variante inglese è più letale?

Sappiamo ormai per certo che la variante inglese ha una maggiore trasmissibilità, ma a questo si è aggiunto l'allarme lanciato la scorsa domenica dal consigliere del ministro della Salute, Walter Ricciardi sulla necessità di un immediato lockdown. La richiesta di Ricciardi era conseguente all'esame di un documento scientifico prodotto da una task force internazionale di esperti voluta dai leader di grandi Paesi occidentali: dal nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, alla Cancelleria tedesca Angela Merkel ed al presidente francese Emmanuel Macron, fino al primo ministro britannico Boris Johnson. In questo rapporto, visionato da Ricciardi, viene analizzato l'impatto delle varianti del virus in circolazione. Ne emerge che la variante inglese non provocherebbe soltanto un aumento della contagiosità del 50%, ma sarebbe più letale del virus originale del 20-30%. Non è però chiaro se la maggiore letalità sia intrinseca al virus o se sia dovuta al crescere dei contagi e quindi al conseguente intasamento degli ospedali con inevitabili ricadute sulla presa in carico dei pazienti.

 

 

Varianti e vaccini

 Sul possibile impatto delle varianti nella campagna vaccinale ci sono luci ed ombre. “Tre le varianti virali più note: quella inglese, molto trasmissibile, è la più diffusa sul territorio nazionale ma per fortuna non diminuisce l'efficacia dei vaccini", ha spiegato sempre Rezza. Per quanto riguarda invece la variante brasiliana e quella sudafricana, queste potrebbero avere profili più problematici anche se al momento non vi è alcuna certezza in merito. Sempre dal documento prodotto dalla task force internazionale sarebbe infatti emerso la variante brasiliana non creerebbe immunità rischiando di ridurre drasticamente l'impatto dei vaccini, mentre la sudafricana potrebbe ridurre al minimo l'efficacia del vaccino di AstraZeneca, quello su cui l'Italia ha puntato maggiormente.

 

Quale strategia?

Alla luce di questi nuovi dati sulle varianti lo scorso lunedì, nel corso di un incontro tra Governo, Regioni e Cts, si è discusso delle possibili strategie da adottare. Nel corso dell’incontro è emerso che in Italia la variante inglese sta raddoppiando la sua presenza ogni settimana e che potrebbe diventare quella predominante nel giro di 5-6 settimane. Il rischio palesato dagli esperti è quello di un avere un incremento del 50% dei casi entro un mese. Ma all'orizzonte non si profila nessun lockdown nazionale. Piuttosto, in caso di una particolare circolazione di varianti nel Covid su un territorio si agirà tempestivamente con zone rosse su base sub-regionale. C’è stata invece "spaccatura" su un’apertura generalizzata delle scuole. La variante inglese ha dimostrato di poter colpire anche i più piccoli. Da qui l'indicazione di un attento monitoraggio nelle prossime settimane per intervenire, laddove si ritenga necessario, anche con un'interruzione generalizzata della didattica.

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