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Il tracciamento israeliano degli infetti da Covid ci dà notizie utili sulle varianti

Enrico Bucci

Il caso di un uomo che si è reinfettato e le ipotesi di protezione dalle mutazioni del virus

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Una delle domande che, ovviamente, mi sono rivolte più di frequente è se, dopo avere avuto l’infezione o dopo essere stati vaccinati, si potrebbe nuovamente cadere vittima di Sars-CoV-2, per il fatto che alcune varianti potrebbero essere in grado di evadere la risposta immunitaria. Non si tratta di una domanda peregrina, visto che, per quel che riguarda i coronavirus cosiddetti “stagionali” con cui abbiamo convissuto finora, si è dimostrato che la proteina spike muta frequentemente, consentendo al virus di causare nuovi raffreddori ogni anno. Alla luce del fatto che la risposta anticorpale indotta sia dai vaccini sia dall’infezione con il virus cosiddetto “Wuhan”, cioè con i primi ceppi pandemici, perde di efficacia contro varianti di Sars-CoV-2 come per esempio quella sudafricana, è giusto interrogarsi su cosa potrebbe succedere in caso di reinfezione con un nuovo mutante. 

 

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Purtroppo, al contrario dei coronavirus stagionali, la risposta per Sars-CoV-2 si fonda su dati ancora sporadici, dato lo scarso tempo di osservazione e l’emersione relativamente recente di varianti immunoevasive. Sappiamo che queste varianti diminuiscono, ma non aboliscono del tutto e non nella stessa misura in ogni individuo la risposta neutralizzante degli anticorpi generati da un vaccino o da una precedente infezione; sappiamo anche che la risposta T, quella di tipo cellulare, contro vari coronavirus – incluso quello che causa la Sars – può durare anche molto a lungo, facendo supporre che non sia troppo facile generare mutanti in grado di evaderla completamente.

 

Grazie ad alcuni dati provenienti da Israele oggi sappiamo qualcosa di più. Un signore di nome Ziv Yaffe, di 57 anni, guarito una prima volta dal Covid-19, è risultato qualche giorno fa essere nuovamente infetto, questa volta dalla “variante sudafricana” del virus. Ritornato in Israele il 16 gennaio, ha cominciato ad avvertire i sintomi di raffreddore il 23 gennaio e ha deciso di sottoporsi a un tampone, visto che era stato comunque arruolato in un programma di follow-up post-Covid-19. E’ risultato positivo, e il sequenziamento ha rivelato che era stato reinfettato dalla nuova variante di Sars-CoV-2. Il dottor Shai Efrati, il direttore dell’equipe di ricerca che sta seguendo questo paziente, ha dichiarato che si tratta di un unicum, perché è la prima volta che si dispone del record clinico completo di una infezione, della guarigione e della reinfezione con dati correlati al livello anticorpale e alla clinica molto dettagliati; questi dati sembrano mostrare che la reinfezione, in presenza di un buon livello di anticorpi contro Sars-CoV-2, ha comunque un decorso clinico molto lieve, facendo pensare che l’immunità cellulare e gli anticorpi acquisiti, pur se meno efficaci nel neutralizzare la nuova variante, siano comunque protettivi nei confronti delle conseguenze cliniche più gravi. In aggiunta, nonostante prolungati contatti con i suoi familiari e diversi estranei, questo paziente non ha contagiato nessuno con la variante sudafricana. Dal punto di vista scientifico e clinico, si tratta di un “case study”, ovvero di una di quelle rondini che da sole non fanno primavera; tuttavia, i dati ottenuti sono compatibili con il fatto che la perdita di immunità anticorpale non è totale – e questo è un dato ormai solido – e che potrebbe esserci una immunità T meno sensibile alla variazione della proteina spike – anche se questa è un’ipotesi. Di certo Israele, grazie al continuo monitoraggio della sua popolazione, continua a fornire dati di rilevanza eccezionale per seguire pandemia, vaccinazioni ed evoluzione del virus.

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