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Il senso del prime-boost

Possiamo combinare i vaccini per avere un super-vaccino?

Gennaro Ciliberto

C’è la possibilità di unire i pregi degli adenovirali (AstraZeneca) a quelli a Rna (Pfizer/Moderna). Ma serve una sperimentazione

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Stiamo entrando nel vivo della campagna vaccinale contro il virus Sars-CoV-2. Un vaccino, quello a Rna della BioNTec/Pfizer è stato già approvato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ed è in fase di implementazione dal 27 Dicembre. Un secondo vaccino, sempre a Rna, della Moderna è stato approvato ieri dall’Ema. Ambedue questi vaccini hanno mostrato in sperimentazioni cliniche di Fase 3 un equivalente livello di protezione dalla malattia sintomatica intorno al 95 per cento. Un terzo vaccino, quello con vettore adenovirale, della AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford, è stato già approvato dall’agenzia regolatoria inglese. Tuttavia si è aperta un’intensa discussione riguardo alla tempistica di approvazione da parte di Ema per questo vaccino alla luce di dati contrastanti, e in qualche modo di difficile interpretazione, sul livello di protezione provenienti dagli studi di Fase 3.

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Stiamo entrando nel vivo della campagna vaccinale contro il virus Sars-CoV-2. Un vaccino, quello a Rna della BioNTec/Pfizer è stato già approvato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ed è in fase di implementazione dal 27 Dicembre. Un secondo vaccino, sempre a Rna, della Moderna è stato approvato ieri dall’Ema. Ambedue questi vaccini hanno mostrato in sperimentazioni cliniche di Fase 3 un equivalente livello di protezione dalla malattia sintomatica intorno al 95 per cento. Un terzo vaccino, quello con vettore adenovirale, della AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford, è stato già approvato dall’agenzia regolatoria inglese. Tuttavia si è aperta un’intensa discussione riguardo alla tempistica di approvazione da parte di Ema per questo vaccino alla luce di dati contrastanti, e in qualche modo di difficile interpretazione, sul livello di protezione provenienti dagli studi di Fase 3.

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In questi studi è stato osservato che la somministrazione su un ampio numero di volontari di due dosi standard del vaccino (Sd/Sd) conferisce una protezione solo del 62 per cento mentre, la somministrazione di metà dose come prima vaccinazione (effettuata per errore come ammesso della stessa azienda e su un numero ristretto di persone) seguita da una dose piena come richiamo (Ld/Sd), avrebbe dato una protezione del 90 per cento. Vi è da dire che l’agenzia britannica ha approvato la schedula Sd/Sd del vaccino di AstraZeneca nonostante sia meno efficace perché c’è una maggiore quantità di dati disponibili e comunque perché il 60 per cento di protezione supera l’obiettivo minimo del 50 per cento di protezione che era stato fissato all’inizio della sperimentazione. Da sottolineare che un aspetto comune a tutti e tre i vaccini è la necessità, al fine di “educare” opportunamente il nostro sistema immunitario, di somministrare due dosi separate da 3-4 o più settimane di tempo.

 

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Pensando nel lungo termine agli scenari futuri e riflettendo sui dati disponibili a oggi ritengo che ci siano tutti gli elementi per effettuare quanto prima una sperimentazione di un vaccino misto, quello che in termini tecnici viene chiamato prime-boost eterologo, o, come dicono gli inglesi un “mix and match”, cioè un vaccino in cui due diversi vettori con caratteristiche complementari ma distinte, vengono utilizzati per la prima vaccinazione rispetto al richiamo. Questa idea che è stata palesata nei giorni scorsi in Gran Bretagna anche come soluzione tappabuchi per sopperire alla carenza di dosi di alcuni vaccini, è stata molto criticata perché di fatto non esistono a oggi dati sull’efficacia di questo approccio e perché dovremmo essere tutti d’accordo che non si può procedere in modo non programmato.

 

Tuttavia occorre fare alcune riflessioni importanti. L’approccio del prime-boost eterologo è stato già in passato impiegato in via sperimentale per altri vaccini quali ad esempio contro la malaria oppure contro il rotavirus, oppure ancora alcuni vaccini terapeutici anti-tumorali. Esistono al riguardo solide basi scientifiche, sia teoriche sia sperimentali che questo approccio ha molto senso. Il prime-boost eterologo è stato teorizzato tempo fa per sfruttare le migliori caratteristiche di ogni metodologia vaccinale, facendo in modo comunque che il nostro organismo diriga la risposta immunitaria desiderata contro il bersaglio prescelto, nel nostro caso sempre la proteina Spike del Sars-CoV-2. Per esempio il vaccino russo Sputnik V contro il coronavirus è basato sul concetto del prime-boost eterologo, in quel caso vengono usati due vettori adenovirali umani, quello Adeno24 come prima dose e quello Adeno5 come richiamo, contenenti ambedue il gene per la proteina Spike. Il motivo per cui i russi hanno ideato il vaccino in questo modo è per evitare che la seconda dose, se fatta con lo stesso vettore, sia poco efficace perché è noto che il nostro organismo, dopo essere stato esposto a un vettore adenovirale, genera degli anticorpi neutralizzanti contro il vettore stesso. Per cui, iniettando un vettore diverso non si incorre in questo possibile rischio.

 

Fatte queste considerazioni ritengo che sarebbe molto importante valutare, attraverso un’adeguata sperimentazione clinica, l’efficacia di un prime-boost eterologo contro il coronavirus usando due tecnologie molto diverse, perché questa potrebbe portare ad aumentare ulteriormente l’efficacia finale. A tale riguardo la sperimentazione potrebbe contemplare come prima dose una standard di vaccino Oxford/AstraZeneca, perché è stato pubblicato nei loro studi che questa tipologia di vaccino è molto rapido nell’indurre in tempi brevi una buona risposta immunitaria sia anticorpale sia mediata da linfociti T e nel fornire un discreto livello di protezione già dopo poche settimane. A questo priming, dovrebbe far seguito un richiamo (boost) con un vaccino a Rna in quanto per ambedue si è visto negli studi pubblicati, una certa lentezza di azione nelle prime settimane, ma una fortissima capacità di potenziare la risposta immunitaria dopo il priming, maggiore comunque di quella che si vede con una seconda dose di vettore adenovirale. Si potrebbero combinare così le qualità migliori dei due vaccini, la rapidità del vettore adenovirale nel priming, la potenza dell’Rna nel richiamo. Ritengo che, poiché è il governo italiano a gestire le dosi e la disponibilità del vaccino, una sperimentazione in tal senso potrebbe essere un importante contributo del nostro paese alla ricerca vaccinologica e potrebbe vedere coinvolte le nostre principali istituzioni e i nostri migliori centri di ricerca. La realizzazione di una sperimentazione del genere sarebbe possibile solo a seguito di un’azione di mediazione tra istituzioni quali Aifa, Istituto superiore di sanità e ministero della Salute da un lato e dall’altro le aziende farmaceutiche coinvolte, al fine di pianificare e organizzare quanto prima possibile una sperimentazione prospettica di questa portata. Non sarebbero probabilmente necessari grandi numeri e molte risorse perché si potrebbe fare tesoro delle informazioni già pubblicate finora sui vaccini individuali. E tutto questo per un fine superiore, quello di poter ottimizzare le risorse disponibili e dare un forte risposta scientifica per il contenimento della pandemia.

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Direttore Scientifico Istituto Regina Elena e Presidente Federazione Italiana Scienze della Vita (Fisv)

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