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il foglio del weekend

Il virologo s’è fatto scrittore

Mariarosa Mancuso

Gli scienziati non si perdono un talk-show, e ora sono tutti in uscita con un libro sulla “nuova peste”. Da Bassetti a Gismondo, lezioni di scrittura dimenticabili, negazionismi e retorica che tutto addolcisce

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Peccato dover fare a meno del non-abbastanza-instant-book scritto dal ministro della Salute Roberto Speranza: “Perché guariremo”. Sarebbe dovuto uscire da Feltrineli il 22 ottobre, non è riuscito a incastrarsi tra la prima e la seconda ondata. Lo si cerca invano nelle librerie, eppure qualche copia stampata esiste, è sfuggita al controllo, e le sue quotazioni su eBay hanno raggiunto i 150 euro più la spedizione (potenza della scritta: “Ritirato dal commercio”).
     

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Peccato dover fare a meno del non-abbastanza-instant-book scritto dal ministro della Salute Roberto Speranza: “Perché guariremo”. Sarebbe dovuto uscire da Feltrineli il 22 ottobre, non è riuscito a incastrarsi tra la prima e la seconda ondata. Lo si cerca invano nelle librerie, eppure qualche copia stampata esiste, è sfuggita al controllo, e le sue quotazioni su eBay hanno raggiunto i 150 euro più la spedizione (potenza della scritta: “Ritirato dal commercio”).
     

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Peccato. Un ministro che qualche giorno fa ha dichiarato “pensare al Natale è lunare” chissà quante altre capriole linguistiche avrebbe fatto stare in qualche centinaio di pagine sul tema “dai momenti più duri a una nuova idea di salute”. E’ che i momenti duri sono ancora qua, la nuova idea di salute pare essere tutta a carico nostro (casa, telelavoro, solitudine che abbatte noi prima del virus) e lui dice “lunare” per intendere “ma siete matti, se solo pensate alle cene, all’albero con le palle dorate, al presepe e al panettone con i canditi”. 
   

Roba da lunatici, non nel senso di “umorali” ma nel senso di “matti veri”. Ma poi, a parte i regali che fanno girare l’economia (salgono anche le vendite dei libri, un quarto del fatturato si fa a dicembre) cos’è tutto questo attaccamento a una festa che detiene il record dei litigi e dei malumori familiari? Siamo in epoca di contagi, tempo tre giorni e “lunare” è la parola scelta da Dino Giarrusso per dire che le donazioni non esistono, o forse non erano donazioni, o forse non venivano da persone con interessi da difendere. Nel frattempo anche il Natale con “qualcuno dei tuoi” si fa meno lunare (ora nel senso di remoto) e la popolazione spera di farcela anche quest’anno a litigare con il cognato. Ultimo Natale pervenuto, ché qui ogni mezza giornata le lune cambiano: vietato lo scambio di baci e abbracci, consentito lo scambio di doni.
   

Le librerie non sono rimaste sguarnite. Ai classici da rileggere (più nel primo confinamento, a dire il vero, ora che sono rimaste aperte il bisogno è meno acuto) si sono aggiunti i libri dei virologi, degli epidemiologi, degli specialisti in malattie infettive. Se vai in televisione tutte le sere, resistere alla tentazione di un agile volumetto che chiarisca il luminar-pensiero equivale a uno spreco di notorietà. Quando il poeta Mallarmé diceva “il mondo è fatto per finire in un libro” non intendeva esattamente questo (aveva pure precisato “in un bel libro”, cosa che qui sembra fuori portata).
   

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Lavoro ad alto rischio, neppure lo scafandro anti-contagio protegge. Quel che sembrava finito è ricominciato, i tempi della stampa (per quanto abbreviati dalla tecnologia) possono tradire. Ma lo statuto televisivo degli “esperti” non prevede incertezze, e se non le spari grosse chiamano qualcun altro (malignità nostra, aggravata dai giornalisti che – altra malignità nostra – riferiscono a orecchio: chi scrive “la curva sale in picchiata” non può spiegare al popolo la differenza tra lineare ed esponenziale).
     

“Una lezione da non dimenticare” di Matteo Bassetti (con Martina Maltagliati, Cairo Editore) è uscito il 12 novembre. Non una data tranquilla, l’impennata era già in atto. Audace anche la frasetta di buon augurio, rubata a Flaubert che suggerisce di “leggere per vivere” (non per divertirsi, come fanno i bambini, né per istruirsi, come fanno gli ambiziosi: di grande effetto ma c’entra pochissimo). Interno, giorno, Policlinico San Martino di Genova, la stanza del direttore della clinica Malattie infettive. Con le dediche dei figlioli, il gagliardetto del Genoa, il tomo di Dante Bassetti, padre dell’autore e dell’infettivologia italiana.
     

Sbrigata la vocazione, accertato il volto umano, rievocate le prime esperienze, andiamo a Wuhan. Dove alla fine del 2019 molti sono stati gli affollamenti internazionali, tra cui i giochi olimpici militari. “Il nemico invisibile aveva già scaldato i motori”, scrive Bassetti, “quando il primo paziente di Codogno è stato identificato, grazie all’intuizione di un’anestesista” (una che, bisogna ricordarlo e lo facciamo noi, ha fatto di testa sua senza badare ai protocolli). Tra le immagini suggestive, quella del motore è una delle tante che dà al coronavirus una direzione e una volontà di nuocere. 
   

Panico. Bassetti smorza i toni dicendo che la malattia somiglia “più a un’influenza aggressiva che alla peste bubbonica”. Il panico non scende, salgono le polemiche. Da qui la scelta di scendere in campo, con un’altra immagine: il capitano di una nave in avaria non dice ai passeggeri “morirete tutti affogati”. Degli atteggiamenti schierati in campo, questo è detto “il tranquillizzatore”.
   

La prefazione al libro di Matteo Bassetti è firmata (trascriviamo con precisione) dal “Sen. Prof. Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute”. Titolare di un altro libro, “Covid segreto – Tutto quel che non sapete sulla pandemia” (edizioni PaperFirst, fate conto il Fatto Quotidiano) che porta la firma sua e quella di Alessandro Cecchi Paone. Inizia con una “modesta proposta”, datata 12 marzo 2020 e indirizzata “ai maggiori decisori italiani pubblici e privati”. 
   

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Ci avevano appena rinchiusi. Per alleviare “le ore vuote dei palinsesti notturni” l’eletta schiera di virologi-politici-giornalisti (che come si sa – e non solo con il senno di poi – sono fortemente ansiogeni) avrebbe dovuto lasciare il posto a “psicologi, esperti di risk management, medici di base, assistenti sociali, filosofi e poeti”. Alessandro Cecchi Paone (immodestamente) propone, e sembra ignaro della frazione di secondo con cui un ospite televisivo cambia specializzazione, se la sua non è più richiesta. Aveva già pensato anche il titolo (da film dell’orrore): “Non siete soli”.
     

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Non se ne fece niente. Senza apprezzabile risultato. Gli studi televisivi si sono affollati lo stesso, anche senza un apposito programma. Anche di filosofi, poetesse, attivisti con uso di cultura che in precedenza si erano applicati al cormorano morente, e prima ancora alla Sarajevo assediata e ai libri della biblioteca bruciati per scaldarsi. Siccome l’essere umano tende alla dietrologia (i giornali americani riferiscono che i pazienti sono negazionisti anche in punto di morte, a Milano c’è gente convinta che le ambulanze vadano in giro vuote per creare allarme), Alessandro Cecchi Paone promette di raccontare il “dietro le quinte della gestione politico-amministrativa dell’emergenza e della sua comunicazione”.
   

Lo fa con un’inchiesta, un po’ di giornalismo investigativo, studiando la coreografia dei decreti? (le letterine dei bambini ancora non erano arrivate sulla scena). Niente di niente. Lo fa interrogando il succitato “Sen. Prof. Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute”. Per iniziare alla grande, “la seconda ondata”. Secondo Pierpaolo Sileri “non è in corso, e non si verificherà” (è seccante vincere facile, ma il volumetto risulta uscito il 5 novembre, a ottobre i numeri già salivano rapidamente, accompagnati dal mantra “non è come a marzo”: qui si temono “oltre mille positivi al giorno”, calcolate voi quanto siamo fuori fase). 
   

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“Anche il ministro Speranza non crede alla seconda ondata”, conferma Cecchi Paone, aggiungendo “saremo fuori dall’incubo” per la Pasqua prossima. Meglio sarebbe scriversi sul calendario l’avvertimento di Mark Twain: “E’ difficile fare previsioni, soprattutto riguardo al futuro”. Mentre sentiamo, come rumore di fondo, la retorica che tutto addolcisce (nemmeno l’emergenza ha suggerito parole meno di circostanza, altra occasione persa). “Avere quasi 14 milioni di persone sopra i 65 anni è una risorsa da valorizzare e soprattutto tutelare”, insiste il viceministro della Salute Sileri (dev’essere per questo che li hanno mandati ai giardinetti con quota 100, per tutelari e valorizzarli, salvo poi richiamare in servizio i medici pensionati).
     

Prima di svelare a Alessandro Cecchi Paone i segreti del Comitato Tecnico Scientifico, le proprie prodezze accademiche e i relativi nomignoli – e prima di concludere con un bel “in questo momento che scrivo” – Pierpaolo Sileri aveva firmato la prefazione a “Ombre allo specchio” di Maria Rita Gismondo (Arthur Schnitzler ne avrebbe cavato un bel “Girotondo”, non amoroso ma tra camici bianchi). Più che per i titoli accademici, la ricordiamo per la frase “poco più di un’influenza”, pronunciata quando nessuno di noi, esclusi gli specialisti, sapeva quante vittime fa in un anno l’influenza. “Bioterrorismo, infodemia e futuro dopo la crisi” è il panoramico titolo, ma si comincia con un ritratto personale. Non si può neppure ritenerlo un vizio femminile, tutti sentono il bisogno di dire che dentro quel camice c’è “una persona come voi” (qui in più ci sono le mani lunghe e il maschilismo, e la lotta per far diventare l’ospedale Sacco di Milano quello che è oggi).
   

Pubblicato lo scorso luglio da La Nave di Teseo, “Ombre sullo specchio” dichiara: “Questo non è l’ennesimo libro sull’emergenza” (ed è inutile illudersi che sia una citazione da Magritte, la pipa con sotto la scritta “questa non è una pipa”). Chiarisce che nulla sarà come prima (ma che ansia, però, tutto un millenarismo da virus che dopo un po’ sfinisce: non siamo diventati migliori, abbiamo solo la mascella dolorante a furia di sbadigliare e di sentire sempre le stesse cose). Un capitolo è dedicato all’infodemia, e però mai nessuno che noti lo smisurato numero di pagine dedicate sui giornali italiani alle regioni rosse e a quelle che rosse non sono (è arrivata da poco la variante “rosso tratteggiato”, per chi spera di essere presto promosso a zona arancione).
     

Da quando il vaccino è vicino, arrivano anche i sondaggi su quanti italiani sono pronti a vaccinarsi: uno su sei dirà “no grazie” (sta scritto sul Corriere della Sera) e qui francamente la già barcollante stima che avevamo del nostro prossimo crolla. Accade un attimo prima di scoprire che Maria Rita Gismondo – “il Covid ha svelato il maschilismo” – mette in guardia dal vaccino Moderna che ci farà diventare tutti Ogm (organismi geneticamente modificati, come il grano che invece di produrre spighe stentate ne produce abbastanza per non far morire di fame i contadini).
     

Diciamo un’eresia: in tv si potrebbe anche non andare, le interviste si potrebbero anche rifiutare. E chissà dove finiranno tutti questi libri che puntualmente ripartono da Wuhan, il mercatino degli animali vivi, il pensiero “sarà una cosa cinese” e poi l’allarme. Altre tappe imprescindibili, nel racconto: la constatazione che “un virus così piccolo fa danni così grandi” (come se la medicina l’avessero vista solo da lontano). Alcuni sono stati contagiati dal Covid. Altri hanno curato il paziente 1, e quando tutto finisce c’è un libro per raccontarlo. “Un medico” di Raffaele Bruno (scritto con Fabio Vitale) riporta per intero il giuramento di Ippocrate – è la seconda volta che lo leggiamo, in questa epidemia libresca. Comincia con l’allenamento in palestra (la quiete prima della tempesta, format collaudatissimo), e finisce con il ringraziamento ai collaboratori, nominati uno per uno (altri parlano di “angeli”)
     

I bambini hanno il loro libro-gioco, “Ti conosco mascherina” scritto da Ilaria Capua per le edizioni Coccinella. Illustrato, colorato, con finestrelle da aprire, racconta l’incontro di una bambina con il microscopico virus, e i modi che abbiamo per difenderci (pare che in molti su twitter abbiano reagito irritati: i genitori negazionisti educheranno figli negazionisti). Per gli adulti, nel maggio scorso Ilaria Capua ha scritto “Il dopo – Il virus che ci costringe a cambiare mappa mentale” (Mondadori). “Una nuova versione della normalità” annunciano le righe di  Julio Vincent Gambuto, scrittore e saggista americano che ha per motto, nel suo sito: “quando il personale, il pandemico e il politico si incontrano”. Ha dedicato l’ultimo articolo al Giorno del Ringraziamento, quando gli americani si riuniscono in famiglia per il tacchino (virologicamente parlando, pericoloso quanto il Natale da noi).
     

Qui si comincia con il pangolino, e subito passiamo alla peste. Come nel libro zero da cui tutto cominciò: “La grande sfida – Dal coronavirus alla peste come la scienza può cambiare l’umanità” di Roberto Burioni (Rizzoli, in libreria già dal 10 marzo e in allegato al Corriere della Sera per una più ampia diffusione: gli incassi destinati alla beneficenza dovrebbero aver raggiunto una discreta somma). Era già stato progettato, l’emergenza ha solo accelerato i tempi, e procurato a Burioni l’accusa di soffiare sul fuoco dell’isteria per vendere più copie.

     

Tornando a Ilaria Capua (in libreria anche con altro titolo “Salute circolare – Una rivoluzione necessaria”, uscito in edizione aggiornata a fine maggio, editore Egea), “Il Dopo” insegna che nessuna tragedia è tutta nera, i bordi delle nuvole scure lasciano sempre vedere un alone luminoso. E’ il “silver lining” in cui sperano gli americani, qui accompagnato dalle lineer direttrici per “il mondo nuovo”. Frase sempre un po’ sinistra, per chi ha letto il romanzo fantascientifico scritto da Aldous Huxley nel 1932: bambini fabbricati in laboratorio, condizionamento educativo, droga euforizzante obbligatoria. Speriamo in un post-virus meno tetro: la lista della scienziata elenca biodiversità, globalizzazione sostenibile, telelavoro, tanta scienza e donne in prima fila.
    
 

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