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Gli ostacoli lungo la via della cura al Covid, tra farmaci e regole

Marianna Rizzini

Il rallentamento degli anticorpi monoclonali, tra privacy, norme e distribuzione. L'altra via (oltre al vaccino). Ma le altre cure funzionano?

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La campagna di vaccinazione procede e quella per il rapido ricorso alla dose booster entra nel vivo, ma, lungo la strada della lotta al Covid, ci si domanda anche a che punto siano le cure. Durante la primavera e l’estate scorsa, infatti, era sorta una questione per così dire burocratica attorno agli anticorpi monoclonali: era emersa intanto la difficoltà di trovare pazienti positivi per la legge sulla privacy, come allora aveva fatto notare il microbiologo Rino Rappuoli, vertice del team che, alla Fondazione Toscana Life Sciences, ha messo a punto il principio attivo, poi sperimentato allo Spallanzani di Roma e al Centro Ricerche Cliniche di Verona. Ancora prima di giungere alla fase della produzione, Rappuoli aveva sottolineato l’importanza di andare di pari passo con il lavoro sui vaccini e con quello sulle cure, visto che gli anticorpi monoclonali funzionano come “prodotto naturale” dell’uomo: sono molecole create partendo dal sangue di persone che hanno contratto il Coronavirus e sono guarite perché il loro sistema immunitario, attraverso le cosiddette cellule B, ha prodotto anticorpi capaci di neutralizzare il virus.

   

Sempre nella prima parte del 2021, alcuni medici avevano sollevato un altro problema: l’uso dei monoclonali era stato infatti “rallentato” dalla norma che escludeva i pazienti già ospedalizzati, essendo stati gli anticorpi autorizzati per pazienti a rischio da trattare precocemente. Non solo: la somministrazione in sé presenta complessità, ed è il medico che deve prescrivere, giudicando caso per caso, per attivare la procedura indirizzata a iniettare il farmaco. C’è poi il tema della distribuzione: non essendoci grande abbondanza, al momento distribuisce la struttura commissariale – e c’è chi guarda con maggior favore, in prospettiva, per il futuro, alla pillola anti-virale (Pfizer ha annunciato che i trial della pillola anti Covid Pavloxid hanno confermato che il farmaco è efficace nell’evitare le conseguenze più gravi del virus).

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Sul sito dell’Aifa, comunque, sono disponibili i dati settimanali sull’uso dei monoclonali: nella settimana 3-9 dicembre il numero di prescrizioni ammonta a 1917 (con Veneto e Lazio in testa alle regioni con 438 e 257 prescrizioni settimanali). Ma le cure funzionano? Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, ha spiegato sul Corriere della Sera che al momento non c’è ancora una vera e propria alternativa al vaccino per contrastare la pandemia: “Funzionano solo tre rimedi”, dice Remuzzi: “Il cortisone con certe dosi e in certi momenti e la controindicazione che se sbagli fai peggio. Poi due anticorpi monoclonali che vanno somministrati insieme e hanno comunque efficacia parziale. E un farmaco che inibisce una delle citochine responsabili dell’infiammazione, sul quale i dati non sono certi. Al momento non esiste alcuna cura per la fase acuta della malattia”.

    

All’inizio di dicembre, durante un convegno all’Università di Siena, il professor Rappuoli, parlando di anticorpi monoclonali, ha sottolineato le difficoltà incontrate durante la seconda e la terza fase della sperimentazione: “Si sta procedendo lentamente. Ciò avviene perché gli unici centri che funzionano bene sono quelli toscani, dove c’è stata una buona organizzazione e sono state reclutate persone per la sperimentazione. Altrove non è avvenuta la stessa cosa. Per questo motivo stiamo andando molto a rilento, ma per fortuna non siamo i soli a fare i monoclonali”.

 

E Rappuoli insiste anche sulla vaccinazione nella fascia 5-11: “I vaccini sono ciò che ha permesso alle generazioni moderne di eliminare al mortalità infantile che si verificava in passato. Oggi quel tasso di mortalità è molto diminuito proprio perché ci sono i vaccini”. 
 

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