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Perché serve un piano nazionale per sequenziare le varianti del coronavirus

Gennaro Ciliberto

Costerebbe 5 milioni all'anno, portando benefici chiave sulla tenuta dei vaccini e degli anticorpi monoclonali. Eppure l'Italia è più indietro di tutti

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Ormai è ben noto come il coronavirus Sars-CoV-2 nel suo finora inarrestabile percorso di diffusione pandemica stia andando incontro a mutazioni del suo materiale genetico e come alcune di queste varianti possano mostrare la tendenza a diffondersi di più del virus che è partito da Wuhan, perché dotate di una maggiore capacità di infettare le persone. Abbiamo sentito parlare da dicembre prima della variante inglese, poi di quelle sudafricana e brasiliana, infine da qualche giorno della tedesca. Non è ancora chiaro se alcune di queste varianti siano dotate di maggiore aggressività dal punto di vista clinico. Sono iniziate ricerche per chiarirlo ma ci vorrà del tempo per avere risposte accurate. Tuttavia un dato che sembra emergere è la maggiore infettività delle nuove varianti. Questa è legata ad alcune modifiche della proteina spike proprio nella parte che riconosce la proteina Ace2 che è il recettore del virus presente sulle nostre cellule. Le modifiche aumentano l’efficacia di questo riconoscimento. Monitorare la diffusione di queste varianti, e di eventuali altre che purtroppo potrebbero venire fuori in futuro, è fondamentale per capire meglio le dinamiche di diffusione del virus e decidere se sono necessarie misure di contenimento appropriate e, perché no, anche vedere se aree geografiche diverse presentano sotto-popolazioni virali diverse, ognuna con un suo proprio indice di diffusione, il tanto citato Rt.

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Ormai è ben noto come il coronavirus Sars-CoV-2 nel suo finora inarrestabile percorso di diffusione pandemica stia andando incontro a mutazioni del suo materiale genetico e come alcune di queste varianti possano mostrare la tendenza a diffondersi di più del virus che è partito da Wuhan, perché dotate di una maggiore capacità di infettare le persone. Abbiamo sentito parlare da dicembre prima della variante inglese, poi di quelle sudafricana e brasiliana, infine da qualche giorno della tedesca. Non è ancora chiaro se alcune di queste varianti siano dotate di maggiore aggressività dal punto di vista clinico. Sono iniziate ricerche per chiarirlo ma ci vorrà del tempo per avere risposte accurate. Tuttavia un dato che sembra emergere è la maggiore infettività delle nuove varianti. Questa è legata ad alcune modifiche della proteina spike proprio nella parte che riconosce la proteina Ace2 che è il recettore del virus presente sulle nostre cellule. Le modifiche aumentano l’efficacia di questo riconoscimento. Monitorare la diffusione di queste varianti, e di eventuali altre che purtroppo potrebbero venire fuori in futuro, è fondamentale per capire meglio le dinamiche di diffusione del virus e decidere se sono necessarie misure di contenimento appropriate e, perché no, anche vedere se aree geografiche diverse presentano sotto-popolazioni virali diverse, ognuna con un suo proprio indice di diffusione, il tanto citato Rt.

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E’ questo uno dei motivi per cui è necessario sequenziare il coronavirus. L’Italia lo fa poco, o diciamo, quasi per niente. Qualche numero. Se si va sulla banca dati più completa al momento, quella del sito GISAID, il numero di sequenze lì depositate e fatte nel mondo sono circa 400 mila di cui meno di 2 mila fatte in Italia… Il paese che ne ha fatte di più è l’Inghilterra con circa 130 mila, ma per esempio molto meglio di noi è messa anche la Spagna che ne ha fatte quasi 7 mila. Quindi con le poche sequenze fatte, e anche in modo sporadico, siamo in pratica all’oscuro di quale variante o varianti circolino in Italia. Ma c’è un altro importante aspetto da considerare, ed è l’impatto delle varianti sull’efficacia di vaccini e di anticorpi monoclonali. Le varianti di cui stiamo parlando, come detto sopra, modificano la Spike che è il principale bersaglio degli anticorpi che vogliamo far produrre al nostro organismo con la vaccinazione, ovvero anche degli anticorpi monoclonali terapeutici. E lo fanno in maniera subdola: la Spike mutata è ancora capace di farci del male legandosi bene a Ace2 ma sfugge al controllo degli strumenti che abbiamo generato contro Spike non mutata. Per esempio, se ci vacciniamo con la proteina Spike originaria potrebbe succedere che gli anticorpi che generiamo riconoscano meno bene le varianti brasiliana o sudafricana di Spike, e questo avrebbe come conseguenza una minore capacità protettiva del vaccino.

 

Risultati scientifici, benchè ancora preliminari, sembrano indicare proprio questo. Ma il rischio ancora maggiore è la perdita di efficacia terapeutica di un anticorpo monoclonale perché il suo meccanismo di azione è più selettivo di un vaccino e diretto volta per volta nei confronti di una e una sola specifica sezione della proteina Spike, mentre invece i vaccini funzionano inducendo anticorpi cosiddetti policlonali, diretti un po’ contro tutte le parti della proteina Spike. In questo periodo stiamo vedendo circa 10 mila tamponi molecolari positivi al giorno nel nostro paese. Possiamo considerare che facendo il sequenziamento del 20 per cento, cioè 2 mila sequenze ben distribuite per tutta l’Italia, dovremmo avere una discreta rappresentazione delle varianti che circolano. Non sarebbe nemmeno necessario farlo ogni giorno, ma una volta alla settimana dovrebbe essere sufficiente. Quindi siamo a 2 mila sequenze a settimana (4 mila ogni due settimane) per 52 settimane in un anno sono circa 100 mila sequenze. Questo numero potrebbe sensibilmente diminuire, lo speriamo, se la diffusione del virus diminuirà con l’avanzare della campagna vaccinale. Ogni sequenza, se la sua gestione viene ottimizzata mediante multipli sequenziamenti in contemporanea, costa circa 25 euro a campione e così arriviamo a 2,5 milioni di euro. Se aggiungiamo il costo del personale, sia per l’esecuzione sia per la analisi informatica, potrebbe raddoppiare al massimo arrivando a 5 milioni all’anno, una cifra molto contenuta.

 

La domanda allora è la seguente: perché un paese come il nostro non si organizza per attivare questo programma? E’ sorprendente anche un po’ allarmante che non ci si riesca a organizzare pur avendo in Italia istituti scientifici di eccellenza (gli Irccs, le Università, il Cnr) dove sono presenti le tecnologie e le competenze adeguate. E questo a fronte di un investimento economico davvero modesto rispetto al beneficio che ne otterremmo. Spero pertanto che un programma del genere venga considerato e implementato al più presto. Un’ultima nota. Con la speranza che in tempi brevi questo programma venga avviato, il suo finanziamento non può provenire da fondi ministeriali destinati alla ricerca. Questa è da considerarsi una attività strettamente assistenziale/emergenziale e come tale andrebbe finanziata attingendo ad una sorgente diversa in modo da non penalizzare i già esigui fondi destinati alla ricerca scientifica.

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Gennaro Ciliberto
Dir. scientifico Irccs Regina Elena e pres. Federazione italiana Scienze della vita

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