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È meglio vaccinare prima i soggetti più a rischio o quelli più contagiosi?

Carlo Alberto Carnevale Maffè

Trattare un individuo con basso tasso di trasmissione salva una persona per volta, vaccinare un soggetto che fa da veicolo di nuove catene di contagio previene decine, a volte centinaia di potenziali vittime, oltre che ridurre in modo significativo gli impatti socio-economici della pandemia

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Qualcuno si è mai chiesto quali obiettivi si pone la campagna di vaccinazione del governo, e di conseguenza, con quali criteri debbano essere allocate le dosi a mano a mano disponibili? Non è possibile misurare il successo o l’insuccesso del più grande sforzo sanitario e organizzativo mai prospettato nella storia della Repubblica senza dichiarare ex ante, misurare strada facendo e valutare ex post la congruenza delle scelte effettuate rispetto ai target che ci si è posti. In assenza di chiare indicazioni, proviamo a discutere i possibili obiettivi della campagna e a valutare i sottostanti criteri di allocazione delle risorse. Le scelte di sanità pubblica, infatti, non sono una mera valutazione tecnica da delegare a pochi specialisti, ma rientrano nella sfera delle responsabilità politiche e quindi dell’obbligo di trasparenza e di accountability del governo.

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Qualcuno si è mai chiesto quali obiettivi si pone la campagna di vaccinazione del governo, e di conseguenza, con quali criteri debbano essere allocate le dosi a mano a mano disponibili? Non è possibile misurare il successo o l’insuccesso del più grande sforzo sanitario e organizzativo mai prospettato nella storia della Repubblica senza dichiarare ex ante, misurare strada facendo e valutare ex post la congruenza delle scelte effettuate rispetto ai target che ci si è posti. In assenza di chiare indicazioni, proviamo a discutere i possibili obiettivi della campagna e a valutare i sottostanti criteri di allocazione delle risorse. Le scelte di sanità pubblica, infatti, non sono una mera valutazione tecnica da delegare a pochi specialisti, ma rientrano nella sfera delle responsabilità politiche e quindi dell’obbligo di trasparenza e di accountability del governo.

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Apparentemente, il governo ha due obiettivi impliciti, deducibili dallo scarno piano reso pubblico, dalle scelte fin qui effettuate e dalle spesso contraddittorie affermazioni dei soggetti istituzionali responsabili: il primo obiettivo, in senso temporale, è la vaccinazione di personale medico-sanitario e popolazione anziana, ovvero dei soggetti ritenuti più a rischio. Il secondo target è la vaccinazione di una quota di popolazione adulta sufficiente a raggiungere l’immunità di gregge. In termini strettamente logici, il primo obiettivo mostra una chiara contraddizione. In termini di salute pubblica, il secondo rischia di essere difficilmente raggiungibile e comunque non risolutivo: sia per le irresponsabili defezioni dei No Vax, sia per la sostanziale incertezza sui fattori epidemiologici che caratterizzeranno l’evoluzione della pandemia.

   

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Limitiamoci qui ad analizzare la fase iniziale della campagna vaccinale. Per segnalare la possibile contraddittorietà del primo obiettivo (vaccinare i soggetti più a rischio) basta riferirsi ad alcuni dati: in Italia, dopo poco più di tre settimane dall’inizio della campagna vaccinale, la quota di dosi distribuite ai soggetti over 70 è di circa l’11,8 per cento, mentre solo lo 0,56 per cento ha interessato i cittadini sopra gli 80 anni, ovvero quelli più a rischio. Per contrasto, la Germania ha finora dedicato oltre il 60 per cento delle dosi agli ospiti delle Rsa e alle coorti più anziane della popolazione. In Italia, solo il 7,9 per cento delle vaccinazioni è stato fatto nelle Rsa, mentre il 59,4 per cento è andato al personale sanitario. Queste evidentissime differenze pongono un problema di coerenza generale tra obiettivi dichiarati (priorità a chi è più a rischio) e scelte effettuate (netta maggioranza di vaccinati tra personale sanitario relativamente giovane e a basso rischio). Oltre a segnalare l’incongruenza tra dichiarazioni e azioni, è necessario domandarsi se è più razionale – in termini di interesse pubblico – la via tedesca o quella italiana. Il dibattito internazionale sulle priorità da adottare per la campagna vaccinale contro il Covid-19 ha coinvolto già da molti mesi scienziati, esperti di public health e comitati etici, ed è tuttora aperto. La scelta italiana di privilegiare il personale sanitario, inclusi i ruoli organizzativi di supporto, indipendentemente dall’età e dal livello di rischio individuale, appare più razionale, in termini di interesse generale, di quella del governo tedesco. La ragione è chiarita dai criteri suggeriti da diversi comitati etici nazionali, che consigliano – in caso di scarsità di risorse – di dare priorità ai soggetti che abbiano maggiore probabilità di salvezza e che consentano a loro volta di salvare più vite, in logica di superiore contributo al bene collettivo. Tale logica è pienamente coerente con la “messa in sicurezza” del sistema sanitario, che svolge un fondamentale servizio alla collettività. In condizioni di pandemia con elevato indice di trasmissione, come quello attualmente riscontrato in Europa a causa del diffondersi di “varianti” del virus particolarmente contagiose, è inoltre perfettamente razionale allocare le dosi di vaccino non a singoli individui isolati, ma ai cluster di soggetti con la più alta probabilità di essere veicoli di trasmissione, come appunto il personale sanitario, che sappiamo essere stato fin dall’inizio coinvolto nei focolai di contagio di origine ospedaliera. Tale scelta è ovviamente subordinata all’assunto che, come è quasi sempre storicamente accaduto con i precedenti vaccini e come è evidenziato dai primi dati sperimentali disponibili, la vaccinazione riduca significativamente le manifestazioni sintomatiche dell’infezione virale e che quindi riduca più che proporzionalmente la probabilità di trasmissione a soggetti terzi. Se immaginiamo il meccanismo di contagio come un grande albero di catene trasmissive, vaccinare un soggetto “foglia” come un individuo isolato, ha effetti solo lineari e individuali di mitigazione del rischio, mentre intervenire su un soggetto “ramo”, specie se parte di un’organizzazione che svolge una funzione critica per la società, produce effetti esponenziali di riduzione del contagio. In altri termini, trattare un individuo con basso tasso di trasmissione salva una persona per volta, vaccinare un soggetto che fa da veicolo di nuove catene di contagio previene decine, a volte centinaia di potenziali vittime, oltre che ridurre significativamente gli impatti socio-economici della pandemia.

   
Mentre la protezione dalla malattia è un pur rilevante beneficio privato e individuale, la riduzione del fattore di trasmissione è un assoluto beneficio pubblico. Se ne deve dedurre che l’obiettivo sociale di una campagna di vaccinazione deve essere primariamente la riduzione del fattore di trasmissione, e solo secondariamente la protezione individuale dei vaccinati. Mentre il secondo obiettivo ha effetti lineari, il primo ha conseguenze esponenziali, anche con una riduzione solo parziale delle probabilità di trasmissione. 
Quindi è necessario approfondire gli effetti reali dei criteri di distribuzione dei vaccini, perché – per quanto nominalmente ispirati a principi “etici” – rischiano in realtà di risultare irrazionali e inefficienti in termini sanitari e distorsivi in termini sociali. 

     
Le reazioni sdegnate nel caso delle dichiarazioni di Letizia Moratti sull’utilizzo di una gamma di criteri per l’allocazione dei vaccini che includesse fattori economici, per quanto comprensibili vista l’incongruenza della proposta stessa come bene evidenziato su queste colonne da Luciano Capone, non sono il modo migliore per affrontare un problema di tale importanza. Che piaccia o no alle anime belle che si sono stracciare le vesti davanti alla maldestra uscita del vicepresidente lombardo, su base globale l’allocazione primaria dei vaccini è già avvenuta sulla base delle risorse economiche dei diversi stati: negare questo semplice fatto è quindi alquanto ipocrita, per chi vive nel ricco occidente. Si colga invece l’occasione per aprire una discussione, dati alla mano, sui criteri di allocazione dei vaccini. La pandemia è una malattia pubblica e sociale, non soggettiva e individuale: deve quindi essere pubblico anche il confronto sulle priorità da adottare e sugli effetti delle scelte istituzionali.

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