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TRA DIRITTI E LINEE GUIDA

Obbligo o incentivi? I luoghi di lavoro alla prova del vaccino

Maurizio Del Conte

Per uscire da questa impasse la strada più efficace potrebbe essere quella di premiare i lavoratori disposti a vaccinarsi

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Può un datore di lavoro obbligare i propri dipendenti a vaccinarsi contro il SarsCoV-2? La domanda circola con sempre maggiore insistenza tra i responsabili delle risorse umane, ma la risposta è tutt’altro che scontata e l’incertezza che ne deriva contribuisce a deprimere il clima di fiducia delle imprese. Sulla questione si consuma uno scontro tra principi e valori a diverso titolo meritevoli di tutela. Da una parte c’è il diritto dei lavoratori a lavorare in sicurezza. Diritto al quale corrisponde il dovere del datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. In base a questo principio sancito dal codice civile, le imprese non avrebbero soltanto il diritto, ma addirittura il dovere di imporre ai propri dipendenti la vaccinazione per garantire la sicurezza sanitaria dei luoghi di lavoro. D’altra parte non si può non tenere in considerazione il principio sancito dall’articolo 32 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. E mentre la legge già prevede, a determinate condizioni e per determinati gruppi di lavoratori, la vaccinazione antitetanica, antitubercolare e quella contro l’epatite B, nulla è stabilito con riguardo al vaccino contro il SarsCoV-2. Certo, il legislatore potrebbe colmare questa lacuna, ma al momento appare assai improbabile, considerando la posizione sin qui assunta dal governo che, in vista della campagna vaccinale, ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di lasciare libertà di scelta ai cittadini, così indirettamente scaricando su di essi la responsabilità di un’eventuale recrudescenza della malattia. Al contrario, le imprese non possono scaricare la responsabilità su quei lavoratori che abbiano scelto di non vaccinarsi, essendo penalmente e civilmente responsabili per la salute e sicurezza di tutti i propri dipendenti.

 

Sull’impresa grava l’onere della prova di aver adottato ogni misura idonea a garantire la salute dei lavoratori. Con la conseguenza che se un lavoratore si contagia sul luogo di lavoro, in capo al datore di lavoro scatta una presunzione di responsabilità, superabile solo attraverso una difficilissima prova contraria. Un po’ come avviene negli incidenti stradali, dove si presume che chi tampona non abbia osservato la distanza di sicurezza e sia quindi tenuto a risarcire i danni. Si comprende, perciò, l’importanza che hanno avuto sin qui i protocolli di sicurezza sottoscritti dalle rappresentanze delle imprese e dai sindacati. Lavoro da remoto ove possibile, misurazione della temperatura in ingresso nei luoghi di lavoro, distribuzione di dispositivi di protezione individuale, distanziamento fisico, barriere protettive, sanificazione dei locali sono state le misure individuate dalle parti di comune accordo per garantire la massima sicurezza possibile. Ma la novità del vaccino cambia tutto. Impossibile non considerarlo come lo strumento d’elezione per tutelare la salute di tutti i lavoratori. Eppure, mentre negli Stati Uniti la Equal Employment Opportunity Commission ha rotto gli indugi e ha autorizzato le aziende a imporre ai propri dipendenti di vaccinarsi, il nostro Comitato Nazionale Bioetico non vede con favore un obbligo generalizzato. Pur ritenendo che non possa escludersi “l’obbligatorietà in casi di emergenza, soprattutto per gruppi professionali maggiormente esposti all’infezione e alla trasmissione della stessa” il Comitato auspica che “sia privilegiata e incoraggiata l’adesione spontanea da parte della popolazione”. Per uscire da questa impasse la strada più efficace potrebbe essere, allora, quella degli incentivi. Se non si può arrivare a sanzionare i lavoratori che si rifiutano di vaccinarsi, è tuttavia possibile premiare quelli disponibili a farlo. Per evitare l’ennesima lotteria dei bonus e ricondurre l’incentivo a un più corretto equilibrio di sistema, si potrebbe prevedere il trasferimento a ogni lavoratore che si vaccina di una quota del premio assicurativo che il datore di lavoro è tenuto a versare all’Inail. Questo incentivo avrebbe il vantaggio di non gravare sulle imprese, mentre le minori entrate per l’Inail potrebbero essere compensate dalla minore esposizione al rischio di risarcimento dei danni da Covid. Incentivando in questo modo le vaccinazioni dei lavoratori si otterrebbero almeno tre risultati socialmente ed economicamente importanti: più sicurezza per tutti i lavoratori, riduzione della spesa sanitaria legata al Covid e maggiore certezza nella gestione del personale di ritorno dallo smartworking, in vista della tanto auspicata ripresa.

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