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Così i pediatri e i medici di base potranno fare i test rapidi

Luca Roberto

Tra qualche giorno sarà possibile sottoporsi ai test antigenici senza rivolgersi ai drive-in o agli ospedali. La sfida per tenere le scuole aperte. Ma la diagnostica di primo livello rimane un rebus

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Al massimo tra una quindicina di giorni, ci si potrà sottoporre ai test antigenici per scoprire se si è positivi al Sars-Cov-2 dal proprio medico di base o dal proprio pediatra. E' quanto sancisce l'accordo nazionale sottoscritto da tutte le sigle sindacali che riuniscono i pediatri di libera scelta e da una parte di quelle che rappresentano i medici di base. E che dovrà essere adesso recepito e integrato dalle regioni. Prevede che i medici vengano dotati di 2 milioni di test rapidi e di un numero congruo di dispositivi di sicurezza, per una spesa complessiva che il ministero della Salute ha quantificato in oltre 30 milioni di euro. Sono previsti per gli interessati dei compensi che variano dai 18 euro a test per chi eserciti nel suo studio professionale ai 12 euro per chi usufruisca, dopo averne fatta richiesta, di locali compensativi.

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Al massimo tra una quindicina di giorni, ci si potrà sottoporre ai test antigenici per scoprire se si è positivi al Sars-Cov-2 dal proprio medico di base o dal proprio pediatra. E' quanto sancisce l'accordo nazionale sottoscritto da tutte le sigle sindacali che riuniscono i pediatri di libera scelta e da una parte di quelle che rappresentano i medici di base. E che dovrà essere adesso recepito e integrato dalle regioni. Prevede che i medici vengano dotati di 2 milioni di test rapidi e di un numero congruo di dispositivi di sicurezza, per una spesa complessiva che il ministero della Salute ha quantificato in oltre 30 milioni di euro. Sono previsti per gli interessati dei compensi che variano dai 18 euro a test per chi eserciti nel suo studio professionale ai 12 euro per chi usufruisca, dopo averne fatta richiesta, di locali compensativi.

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“Siamo in grande emergenza, per cui abbiamo voluto dare un segnale di responsabilità. Permetterci di fare una media di 50 mila tamponi al giorno da qui alla fine di dicembre, dando supporto alla medicina territoriale già particolarmente provata in questo periodo, mi sembra un risultato molto significativo”, ci dice Paolo Biasci, presidente della Federazione italiana medici pediatri. “Per quanto riguarda la diagnosi, il gold-standard rimane il tampone molecolare, verso cui devono essere indirizzati i casi sospetti. I test antigenici sono utilissimi invece per screening su larga scala. E infatti nell'accordo che abbiamo sottoscritto è previsto che si possano fare ai contatti stretti asintomatici”, aggiunge Biasci. Il quale, per far capire la portata del provvedimento, fa un esempio concreto: “Nel caso della scuola, se una classe finisce in quarantena dopo il riscontro di una positività, si può prendere un appuntamento per fare il test rapido al decimo giorno. Se è negativo la quarantena finisce e si può tornare in classe. Il nostro lavoro insomma è e sarà orientato a fare di tutto per tenere le scuole aperte”.

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Non la pensa allo stesso modo Pina Onotri, segretario generale del Sindacato Medici italiani (Smi), che non ha sottoscritto l'accordo rifiutando la logica dell'obbligatorietà. “Oltre a non apprezzare il metodo non ne abbiamo condiviso il merito. Il nostro è stato anche un grido di dolore della categoria, che dall'inizio della seconda ondata ha già perso 4 medici. Sarebbe bastato che l'adesione rimanesse volontaria e che il 30 per cento dei medici di base aderisse per dare fondo alle richieste di test rapidi. In più – aggiunge Onotri –, i regolamenti condominiali in molti casi sono contrari ai flussi di pazienti da gestire negli uffici. Una soluzione sarebbe stata riaprire la medicina dei servizi per rafforzare una rete territoriale allo stremo”.

 

E però a Domenico Crisarà, vicesegretario della Fimmg, il principale sindacato dei medici di base, quelle di chi ha rifiutato di sottoscrivere l'accordo sembrano critiche pretestuose. “Perché altrimenti dovremmo chiudere tutti gli studi. Già adesso la quota di sintomatici è maggioritaria: è ovvio che ci dobbiamo comportare come se tutti fossero portatori sani. La nostra prima preoccupazione firmando l'accordo è stata la sicurezza dei medici, che poi è la sicurezza dei cittadini. Chi non avrà sistemi di protezione adeguati potrà rifiutarsi”. Come spiega anche Biasci, “l'articolato prevede che in caso di impossibilità di predisporre i test all'interno del proprio studio professionale per problemi logistici e di spazio, si possa far richiesta di sedi sostitutive, sia all'interno delle Asl sia in locali messi a disposizione dalla Protezione civile”. Anche se poi bisognerà capire come le Asl dovranno regolarsi in termini di responsabilità legale e di assicurazione nei confronti dei non dipendenti. Il tema semmai è un altro. “L'accordo quadro non è esaustivo e rimanda alle regioni. Quindi, dopo che abbiamo manifestato la nostra disponibilità, molto dipenderà dalla loro volontà di promuoverne il funzionamenoto. E insomma dal loro intervento passerà anche l'evoluzione del sistema della medicina generale, che può intervenire in prima linea, attraverso una diagnostica di primo livello, nella lotta che stiamo combattendo”, chiosa Crisarà.

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