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La strage dei medici spiegata con i numeri e con soluzioni per il dopo

Fabio Porru

Tra gli operatori sanitari il tasso di mortalità standardizzato è quasi doppio rispetto al resto della popolazione

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In queste settimane il numero di decessi da Covid-19 registrato in Italia tra i medici, che ha raggiunto quota 150 unità, ha attirato attenzione. Siamo davanti ad una strage di medici? Calcolatrice alla mano, la risposta è sì. Tra i medici, il tasso di mortalità standardizzato – indice di mortalità che tiene conto delle diverse fasce di età – è quasi doppio rispetto al resto della popolazione. Considerando il fatto che al momento oltre il 95 per cento dei decessi tra i camici bianchi è rappresentato da uomini, concentriamoci solo sui medici maschi e confrontiamo il numero di morti da Covid-19 tra i camici bianchi con quello nella popolazione. Primo risultato: mentre i medici rappresentano lo 0,7% di tutta la popolazione maschile italiana, i medici deceduti a causa del coronavirus rappresentano l’1 per cento di tutti i maschi italiani deceduti per Covid-10. Per confrontare in maniera più precisa i decessi registrati tra i medici con quelli nella popolazione possiamo fare un passo oltre. Escludiamo dai calcoli tutte le persone in età inferiore ai 20 anni e superiore ai 69, in modo da confrontare i medici con la popolazione di pari età. Se tra i medici della fascia 20-69 anni la mortalità da Covid-19 fosse identica a quella della popolazione generale, ad oggi avremmo dovuto registrare circa 28, mentre quelli effettivamente rilevati sono 55 (i dati presi in esame riguardano i primi 105 medici morti).

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In queste settimane il numero di decessi da Covid-19 registrato in Italia tra i medici, che ha raggiunto quota 150 unità, ha attirato attenzione. Siamo davanti ad una strage di medici? Calcolatrice alla mano, la risposta è sì. Tra i medici, il tasso di mortalità standardizzato – indice di mortalità che tiene conto delle diverse fasce di età – è quasi doppio rispetto al resto della popolazione. Considerando il fatto che al momento oltre il 95 per cento dei decessi tra i camici bianchi è rappresentato da uomini, concentriamoci solo sui medici maschi e confrontiamo il numero di morti da Covid-19 tra i camici bianchi con quello nella popolazione. Primo risultato: mentre i medici rappresentano lo 0,7% di tutta la popolazione maschile italiana, i medici deceduti a causa del coronavirus rappresentano l’1 per cento di tutti i maschi italiani deceduti per Covid-10. Per confrontare in maniera più precisa i decessi registrati tra i medici con quelli nella popolazione possiamo fare un passo oltre. Escludiamo dai calcoli tutte le persone in età inferiore ai 20 anni e superiore ai 69, in modo da confrontare i medici con la popolazione di pari età. Se tra i medici della fascia 20-69 anni la mortalità da Covid-19 fosse identica a quella della popolazione generale, ad oggi avremmo dovuto registrare circa 28, mentre quelli effettivamente rilevati sono 55 (i dati presi in esame riguardano i primi 105 medici morti).

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Analizzando in maniera ancora più precisa i dati, entrano nello specifico dei diversi gruppi di età, scopriamo che l’eccesso di decessi tra i medici non riguarda tutte le fasce d’età. Nelle fasce d’età tra i 20 e i 49 anni la mortalità dei medici è infatti in linea con quella della popolazione. Una mortalità appena più elevata si registra nei medici tra i 50 e i 59 anni. Ma a fare la vera differenza è il gruppo di medici uomini tra i 60 e i 69 anni, anche in virtù del fatto che in questa fascia rientra il 40% del campione analizzato. E’ qui che, se si può parlare di strage, questa si sta consumando. Se per questo gruppo la mortalità fosse uguale a quella della popolazione, allora i decessi a oggi dovrebbero essere 24, mentre quelli registrati sono 49, cioè più del doppio. Per ogni individuo la probabilità di morire a causa del coronavirus può essere calcolata come prodotto tra la probabilità di contrarre il virus e la letalità, ovvero la probabilità di morire una volta che il virus si è contratto. Entrambe le probabilità sono influenzate da numerosi fattori. Nel caso degli operatori sanitari, lavorare quotidianamente in ospedale in contatto con pazienti aumenta il rischio di esposizione al virus. Questa potrebbe da un lato correlare con un maggior rischio di infezione e dall’altro con un decorso clinico peggiore. Inoltre, lo stress che in queste settimane caratterizza (più del solito) il lavoro del personale sanitario riduce le difese immunitarie, rendendo il soggetto ancora più suscettibile all’infezione e, in generale, ad infezioni di maggiore gravità. E’ quindi fondamentale assicurare agli operatori sanitari tutta la disponibilità necessaria di dispositivi per la protezione individuale e assicurarsi che tutti i protocolli per la segnalazione, l’identificazione e la gestione di soggetti sospetti e positivi siano seguiti e funzionino correttamente. Nella crisi che stiamo vivendo, in cui una parte dei decessi è collegata all’enorme sovraccarico sul sistema sanitario, occorre prendersi estrema cura degli operatori sanitari, ricordandosi che un professionista della salute ammalato non è solo una persona sofferente in più, è anche un paziente in più da gestire con un operatore in meno. 

 

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Fabio Porru lavora al Department of Public Health, Olanda

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