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Roma Capoccia

One Man(cini) show. Il deputato chiama a raduno il Pd romano. C’è anche Bonafoni

Gianluca De Rosa

Due ore filate di analisi politica a metà tra una Leopolda e una riunione di sezione. Obiettivo: compattare il partito in vista delle europee contro una destra "che non è fatta di scappati di casa"

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 In platea le luci sono spente, 150 persone ascoltano attente. Sul palco un fascio di luce illumina un uomo in piedi e ben microfonato. Camicia blu, pantalone chiaro. Non è stand up comedy, non c’è Maurizio Battista, un po’ si ride, ma di battute non se ne fanno. Al teatro centrale, via Celso, traversa che collega piazza del Gesù a via delle Botteghe oscure, un passo dal Campidoglio, non si può fare altro: si parla di politica. Gesticolando e camminando da una parte all’altra sotto il faro che lo segue parla Claudio Mancini, deputato Pd e gran suggeritore del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che fu convinto a candidarsi proprio dall’insistenza del deputato e di Goffredo Bettini. Titolo: 12 mesi di opposizione. Spiega Mancini: “Era per raccontare quanto successo alle persone che mi hanno aiutato durante la campagna elettorale”. E’ un evento pop e antico insieme. Video incalzanti e analisi complesse. Un po’ Leopolda renziana, un po’vecchia riunione di sezione. Mancini parla due ore filate. Dal renzismo sono mutuate le forme (notevole il montaggio con le ripetute richieste di fiducia del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani con tanto  musica elettronica per introdurre il tema “svuotamento del potere delle Camere”). Dalla tradizione, invece, arrivano la struttura dell’analisi: si parte dalla situazione internazionale, poi si parla di quello che succede in Italia, infine si commenta il local,  Roma. Organicismo pieno, tutto si tiene.

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 In platea le luci sono spente, 150 persone ascoltano attente. Sul palco un fascio di luce illumina un uomo in piedi e ben microfonato. Camicia blu, pantalone chiaro. Non è stand up comedy, non c’è Maurizio Battista, un po’ si ride, ma di battute non se ne fanno. Al teatro centrale, via Celso, traversa che collega piazza del Gesù a via delle Botteghe oscure, un passo dal Campidoglio, non si può fare altro: si parla di politica. Gesticolando e camminando da una parte all’altra sotto il faro che lo segue parla Claudio Mancini, deputato Pd e gran suggeritore del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che fu convinto a candidarsi proprio dall’insistenza del deputato e di Goffredo Bettini. Titolo: 12 mesi di opposizione. Spiega Mancini: “Era per raccontare quanto successo alle persone che mi hanno aiutato durante la campagna elettorale”. E’ un evento pop e antico insieme. Video incalzanti e analisi complesse. Un po’ Leopolda renziana, un po’vecchia riunione di sezione. Mancini parla due ore filate. Dal renzismo sono mutuate le forme (notevole il montaggio con le ripetute richieste di fiducia del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani con tanto  musica elettronica per introdurre il tema “svuotamento del potere delle Camere”). Dalla tradizione, invece, arrivano la struttura dell’analisi: si parte dalla situazione internazionale, poi si parla di quello che succede in Italia, infine si commenta il local,  Roma. Organicismo pieno, tutto si tiene.

A suo modo Mancini è diventato un maestro. Governo, segreteria unitaria, battaglie... Giovani e vecchi lo ascoltano per avere un’interpretazione. In platea i posti sono finiti. Ci sono i segretari Pd di Roma e Lazio, Enzo Foschi e Daniele Leodori, c’è un buon numero di assessori,  c’è il capo segreteria di Gualtieri Giulio Bugarini, si rivede anche Enrico Gasbarra, ma soprattutto c’è Marta Bonafoni, coordinatrice del Pd di Elly Schlein. Toccherà a lei, si dice, fare coppia con Nicola Zingaretti nella lista Pd alle europee.
 “Questa destra – ammonisce Mancini – non è una destra di scappati di casa”. Anche su Roma . “Berlusconi –  dice Mancini – a Roma era un marziano, con lui non c’era solo un bipolarismo politico, ma anche territoriale”. Mentre Giovanni Donzelli, commissario melonianissimo di FdI a Roma, “spende in un giorno per le sponsorizzazioni social contro di noi quello che io, da tesoriere del Pd Roma, spendevo in un anno”. Mancini ha la sua versione dei fatti. “Nonostante dei 24 ministri del governo Meloni 12 c’erano ai tempi  Berlusconi,  questa destra non è la stessa, sanno usare il potere per consolidare il consenso”. Mancini fa l’esempio della scelta dei ministri. “Il più politico,  Lollobrigida, è stato messo all’Agricoltura, il ministero che più di tutti interloquisce con il consenso organizzato”. Ruolo simile, sostiene, per Andrea Abodi allo Sport, Gennaro Sangiuliano alla cultura (“Possiamo anche riderne per gli strafalcioni allo Strega, ma fa un uso propagandistico delle nomine per distruggere la nostra egemonia culturale”) . Poi ci sono i ministri “corporativi”, altra leva del consenso. “Un magistrato alla Giusitizia, un prefetto al Viminale, un medico alla Sanità, un consulente del lavoro al Lavoro.  Infine, i ministeri verso l’estero, con volti moderati dei partiti.  Lo stesso, teorizza Mancini, la destra avrebbe fatto  sulle società. “Prudente sulle quotate” e con un “ceto super di partito sulle nomine secondarie per gestire il consenso”. Una destra insomma tutt’altro che fessa. 

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