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Roma Capoccia

Tutti fermi nella ricerca del sindaco, si attende l’esito della crisi di governo

Gianluca Roselli

Se a livello nazionale reggerà l'alleanza tra Pd e 5 Stelle, l'obiettivo è trovare un candidato unico nella Capitale. Altrimenti ognuno per la sua strada. E i tempi che si allungano non dispiacciono nemmeno al centrodestra

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La politica capitolina, va da sé, è quella più piegata agli umori del Palazzo. Quel che accade in Parlamento ha spesso ripercussioni dirette sulla vita del Campidoglio e della Pisana. A volte i due mondi s’intersecano e le sliding door sono ricorrenti. Basti pensare a Paolo Gentiloni, per anni braccio destro di Francesco Rutelli in Comune, diventato poi presidente del Consiglio e ora commissario europeo. O allo stesso Rutelli, candidato premier nel 2001. O Roberto Giachetti, anch’egli con la sua bella gavetta in Comune prima di diventare uno dei maggiori esponenti del Pd, prima, e di Italia Viva, poi. Lo stesso Walter Veltroni diede la sua scalata alla leadership del Partito democratico da sindaco di Roma. I passaggi di testimone tra parlamentari, consiglieri comunali e regionali non si contano. Con le dovute eccezioni, ovvero quelli che restano confinati nei loro ruoli. Prendiamo Davide Bordoni: una vita passata in consiglio comunale per Forza Italia senza mai riuscire a fare il grande salto in Parlamento. Chissà che non gli riesca adesso col passaggio alla Lega.

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La politica capitolina, va da sé, è quella più piegata agli umori del Palazzo. Quel che accade in Parlamento ha spesso ripercussioni dirette sulla vita del Campidoglio e della Pisana. A volte i due mondi s’intersecano e le sliding door sono ricorrenti. Basti pensare a Paolo Gentiloni, per anni braccio destro di Francesco Rutelli in Comune, diventato poi presidente del Consiglio e ora commissario europeo. O allo stesso Rutelli, candidato premier nel 2001. O Roberto Giachetti, anch’egli con la sua bella gavetta in Comune prima di diventare uno dei maggiori esponenti del Pd, prima, e di Italia Viva, poi. Lo stesso Walter Veltroni diede la sua scalata alla leadership del Partito democratico da sindaco di Roma. I passaggi di testimone tra parlamentari, consiglieri comunali e regionali non si contano. Con le dovute eccezioni, ovvero quelli che restano confinati nei loro ruoli. Prendiamo Davide Bordoni: una vita passata in consiglio comunale per Forza Italia senza mai riuscire a fare il grande salto in Parlamento. Chissà che non gli riesca adesso col passaggio alla Lega.

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A differenza di Milano, dove i ruoli di assessore comunale o regionale hanno più appeal che fare il peone a Montecitorio (vedasi il recente caso del leghista Guido Guidesi), i politici romani agognano lo scranno parlamentare fin dalla culla. Ma la differenza qualitativa tra la politica locale e il Parlamento è abissale. Basta aver seguito anche solo una seduta nell’Aula Giulio Cesare per rendersene conto. La pentastellata Roberta Lombardi, appena giunta in Regione dopo esser stata deputata, ammise candidamente che “alla Pisana il livello è molto più basso”. Se però c’è una città che subirà prima delle altre gli effetti della crisi di governo, questa è proprio Roma. Dove in Regione e Comune si segue col fiato sospeso quel che sta accadendo nei palazzi del potere. Così, mentre altrove le forze politiche iniziano a coaugularsi intorno ai candidati per le amministrative (ultimo il centrodestra con Paolo Damilano a Torino), qui è tutto fermo, immobile, paralizzato in attesa che la crisi si dipani. Gli occhi del Campidoglio, in queste ore, sono puntati sul colle del Quirinale.

 

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Ma non è detto che questo allungarsi dei tempi sia un male. Non lo è per il centrodestra, che ancora non ha individuato un candidato, né politico, né della società civile, per il Palazzo Senatorio. Tanto che l’unico in campo resta per ora Guido Bertolaso. Però, ecco, se la crisi di governo dovesse risolversi con una spaccatura della coalizione e un pezzo magari se ne andrà a sostenere un governo di unità nazionale, come evocato da Silvio Berlusconi, questo non potrà non avere ricadute sul centrodestra romano. Lo stesso vale nel fronte opposto. Qui lo stallo dura da settimane: una serie di candidati, i cosiddetti sette nani (Cirinnà, Caudio, Ciaccheri...), chiedono a gran voce le primarie; Carlo Calenda si è autocandidato con una sorta di “chi mi ama mi segua”, però rifiuta le stesse primarie e tratta un po’ tutti a pesci in faccia e ne viene ricambiato; Nicola Zingaretti che invece aspira ancora a estrarre dal cilindro il nome forte che consenta di replicare l’alleanza Pd-5 Stelle anche nella capitale. Col problema che Virginia Raggi, forte dell’assoluzione di fine dicembre, è però ancora in campo e non vuole farsi da parte. Risultato: gli unici manifesti in giro sono quelli del giovane Tobia Zevi (che era nello staff di Gentiloni a Palazzo Chigi).

 

Così si segue l’evolversi della crisi con un interrogativo in testa: l’alleanza tra Pd e 5 Stelle reggerà nonostante gli scossoni di Renzi e la caduta di Conte? Perché nel primo caso si tenterà il tutto per tutto per trovare un candidato comune nella Capitale. Altrimenti ognuno andrà da sé, con la prospettiva, forse, di convergere al ballottaggio.

 

A dire il vero, con il siluramento di Luca Bergamo (ex vicensindaco e assessore alla Cultura della giunta Raggi), un’idea balzana a qualcuno al Nazareno è venuta. Perché non candidare lui? C’è chi ci ha pensato, anche se la cosa è molto (ma molto) improbabile. Bergamo, intanto, è amareggiato per l’uscita dalla giunta. “Una scelta politicamente inaccettabile. Mi dispiace moltissimo non poter concludere il mio lavoro”, ha detto. Ma di fronte all’ipotesi di continuare a fare politica, magari con una candidatura, si schermisce. “Il mio nome non è in campo per un semplice motivo: ho sempre criticato il modus operandi della politica che prima parte dai nomi e poi dai progetti. Bisogna invece costruire un progetto e un percorso ideale, confrontarsi su quello e poi, solo alla fine, indicare un nome che possa realizzarlo”, spiega Bergamo al Foglio. Sì, ma se questo percorso s’invertisse in tal senso? Se le chiedessero di candidarsi? “Fare il sindaco non è il mio mestiere…”, risponde l’ex assessore. Però, chissà, mai dire mai. Molto dipenderà se Raggi sarà o no in campo. Nel frattempo, mentre nelle altre città si va avanti, a Roma tutti hanno inserito la marcia a scartamento ridotto. “Piano, vediamo come evolve la crisi…”. Perché se poi si dovesse scivolare verso il voto, allora cambierebbe tutto, un’altra volta.

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